… Il fatto è che si è fatta strada nelle donne, ma prima ancora nel modello presentato da media e dibattiti pubblici, l’idea che l’impegno professionale, e l’attività di crescita dei bambini siano due lavori equiparabili. Coi loro classici parametri professionali: obiettivi, capacità di raggiungerli, tempi impiegati, costi, ricavi. Di qui frustrazioni infinite per le mamme.
Con i figli, infatti, gli obiettivi si rivelano difficili da ottenere in tempi stabiliti. I bambini sono spesso riluttanti a collaborare. Soprattutto però, diversamente dal lavoro, la cura materna è piena di aspetti non calcolabili: malattie, interazioni con altri (bimbi, i loro genitori, i propri stessi familiari, gli educatori), che rappresentano variabili imprevedibili, a differenza dell’ufficio, dove si è tenuti a comportamenti più o meno standard.
Il fatto è che stare e crescere i bambini è una situazione completamente diversa dalla professione. Il lavoro è caratterizzato dal fare: si compiono delle operazioni, sulla base delle proprie competenze, per ottenere risultati concreti: aumenti di stipendio, carriera, visibilità, prestigio. Accogliere e crescere i bambini ha invece al proprio centro non un fare, ma un essere: essere con loro, per loro, trasmettergli questa consapevolezza, su cui si fonderà poi tutta la loro sicurezza nello stare con gli altri, nella società (gli altri bambini, gli educatori, i maestri).
Nell’essere con i bambini (non il «lavorare» per loro), ogni risultato dipende innanzitutto da quanto pienamente tu sei con loro, ed essi lo percepiscono. Se il bimbo avverte con certezza la sensazione che tua madre è con te, ti ama per come sei e non a seconda di quanto ti mostri plasmabile dalle sue richieste, ogni problema prima o poi si risolve …
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