Peppe Dell’Acqua Psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, 10 domande al Direttore de “La Stampa” sull’articolo “L’Italia dei pazzi armati”L’Italia dei pazzi armati – LASTAMPA.it

10 domande al Direttore de “La Stampa” su “L’Italia dei pazzi
armati”
Caro direttore Calabresi,
faccio lo psichiatra e non il giornalista. Dirigo un Dipartimento di Salute Mentale perciò vorrei fare a lei, che invece dirige un
giornale, alcune domande. Riguardano l’articolo uscito lunedì 26 aprile sul quotidiano da lei diretto, con il titolo “L’Italia dei
pazzi armati”.
1. perché tra tutti i titoli possibili suggeriti dal contenuto dell’articolo, e tra le 3000 parole del lessico italiano in uso, si sono
scelti proprio quel titolo e proprio quelle parole?
2. Perché ancora una volta, grazie a tale titolo e a tali parole, la dignità, la verità e i diritti di centinaia di migliaia di cittadini
italiani che hanno un problema di salute mentale devono pagare le spese del gesto di un singolo?
3. Perché tra le tante sintesi possibili suggerite dalle opinioni raccolte dall’articolista, si è scelta per il sommario proprio quella
meno rappresentata: “Sale la protesta: la legge Basaglia va riformata, troppa gente pericolosa è libera di colpire”? E non per
esempio: “Mi rendo conto della preoccupazione crescente, ma mi sento di rassicurare”, come sostenuto nell’articolo da
Cristina Colombo specialista in psicopatologia forense e criminologia al San Raffaele di Milano? O magari lo stesso commento
dell’articolista alle parole di Colombo: “Rassicurare chi crede che i crimini compiuti in preda ai raptus avrebbero potuto essere
evitati con una riforma della legge 180, quella che impedisce ricoveri coatti e terapie forzate”? O quelle, più avanti, del
presidente di Psichiatria democratica Canosa: “Meglio potenziare i Centri incaricati di occuparsi dei pazienti ma che in molti
casi non funzionano come dovrebbero. Ovvio che per farlo servono investimenti”?
4. Perché ad avvalorare le dichiarazioni degli esperti interpellati non si è pensato di citare il ministro della salute Ferruccio
Fazio, che dall’ottobre scorso va ripetendo, categorico: “Nessun bisogno di riformare la legge 180 sul disagio mentale. Serve
piuttosto un monitoraggio costante della rete sanitaria – pubblica e privata – che garantisca una più equa distribuzione
dell’assistenza in tutto il Paese”?
5. Perché il programma di un ministro del governo italiano che apre uno spiraglio di possibilità non fa notizia, mentre la fa la
disperazione, ancorché comprensibilissima, di una donna e madre di una figlia con un problema di salute mentale, nonché
presidente da 40 anni dell’Associazione per la riforma dell’assistenza psichiatrica (Arap)?
6. Perché tra le molte associazioni di familiari di persone con disturbo mentale che nel nostro paese stanno lottando
instancabilmente per garantire ai propri cari quelle “cure più umane” citate nell’articolo, si è scelto di ascoltare (in apertura)
una voce sola, e oltretutto la più rassegnata, che a fronte delle centinaia e centinaia di altre che non accettano di rassegnarsi
rappresenta una sparuta minoranza?
7. Perché subito dopo, nell’elenco dei recenti crimini commessi da presunti “pazzi armati” che enfatizza la rassegnazione e la
disperazione di una singola madre, non si è spesa una sola parola sui presunti veri problemi di salute mentale che avrebbero
“armato” questi “pazzi” spingendoli a commettere il loro crimine, né si è fatto il benché minimo sforzo di indagare sul vero
movente del loro presunto “folle gesto”?
8. Perché l’articolista, il redattore e il direttore de “La Stampa” non si sono chiesti neppure una sola volta come mai i loro
colleghi negli USA o in Finlandia o in Germania nel riferire di atti di violenza efferatissimi (mi riferisco ad alcuni ben noti
recenti e meno recenti omicidi di massa) non hanno speso mezzo rigo per ascrivere quelle efferatezze alla “pazzia” di chi le
ha commesse? Senza dimenticare che in quei paesi non c’è stato nessun Basaglia e nessuna Legge 180 a chiudere i manicomi
lasciando i “pazzi” liberi di armarsi e colpire? E anzi, quei paesi spendono ogni anno milioni di dollari e di euro per aprire nuovi
Peppe Dell’Acqua
Psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste

ELENA LISA

«Pensino pure che voglio rinchiudere i pazzi e buttare via la chiave. E dicano che sono una reazionaria. In questo Paese le cose vanno così: per anni si lasciano questioni in balia della politica e poi non si risolve niente». Maria Luisa Zardini è il presidente dell’Arap, l’Associazione per la riforma dell’assistenza psichiatrica, e madre di una donna con gravi disturbi mentali. «Perciò parlo – dice – perché so che cosa significa convivere con la follia di chi ami. In tutte le sue forme: dall’autolesionismo alla violenza sugli altri, anche con l’uso delle armi». Poi, lapidaria, aggiunge: «La legge Basaglia va rivista. Pensare il contrario, specialmente davanti agli ultimi fatti di cronaca, dimostra solo un’ostinazione ideologica».

Alcuni mesi fa a Villa d’Adda, vicino a Bergamo, un uomo di 48 anni, dopo aver attirato con una scusa il sindaco a casa sua, l’ha tenuto in ostaggio per ore. Prima di liberarlo gli ha gettato acido muriatico in faccia. Poche settimane prima aveva sequestrato i figli minacciando di far saltare in aria l’appartamento. L’8 gennaio, a Luzzara, in Emilia, un giovane di 22 anni con disturbi mentali ha colpito con un coltello da macellaio un karateka di 43 anni. Quando i carabinieri gli hanno chiesto perché l’avesse fatto ha risposto che non c’era un motivo: la vittima l’aveva scelta a caso. In febbraio a Lucera, nel Foggiano, un uomo di 35 anni ha tenuto in ostaggio una ragazzina: diceva di voler parlare con Alessandra Mussolini. Nel 2007 aveva sequestrato una donna incinta, quella volta chiedeva di parlare con Rosy Bindi.

«Attenzione a non dare il via a una caccia alle streghe – dice Cristina Colombo, specialista in Psicopatologia forense e criminologia al San Raffaele di Milano – i dati nazionali dicono che la maggior parte dei delitti è commessa da persone “normali” con moventi specifici che niente hanno a che fare con la follia. Al primo posto ci sono i soldi, segue il sesso. Mi rendo conto della preoccupazione crescente, ma mi sento di rassicurare».Rassicurare chi crede che i crimini compiuti in preda ai raptus avrebbero potuto essere evitati con una riforma della legge 180, quella che impedisce ricoveri coatti e terapie forzate. Una norma del 1978, da molti definita illuminata, che ha preso il nome dal promotore, lo psichiatra triestino Franco Basaglia. Istituì i Centri d’igiene mentale e abolì, di fatto, i manicomi, in favore di un trattamento più umano dei malati. L’ipotesi di riformarla, ora, divide.

I contrari, come il presidente di Psichiatria Democratica, Rocco Canosa, sostengono che «rinchiudere i malati di mente è eticamente inaccettabile. Meglio potenziare i Centri, incaricati dalla legge di occuparsi dei pazienti ma che in molti casi non funzionano come dovrebbero. Ovvio che per farlo servono investimenti». Secondo l’Associazione italiana psichiatri, mentre in Europa la quota media della spesa sanitaria destinata alla psichiatria supera il 7%, in Italia raggiunge a stento il 5%. Tra i favorevoli a una revisione della legge Basaglia ci sono anche nomi illustri della psichiatria.

Oggi il ricovero è obbligatorio solo se si è in evidente stato di alterazione mentale – che può anche essere procurato da alcol o droghe – e per calmarsi si ha bisogno di cure, ma le si rifiuta. Allora il medico, d’accordo con un collega e con l’avallo del sindaco, può procedere con il Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, che salvo rari casi dura al massimo 7 giorni. Per la Società italiana di epidemiologia psichiatrica, però, mancano gli specialisti. Per questo, secondo un studio del 2008, il 69% dei pazienti viene visitato in media 9 volte l’anno, il 70% curato senza appoggio di medici e senza seguire le linee guida, e tra i familiari dei malati, il 62% ottiene supporto psicologico meno di 5 volte l’anno. «Solo durante il Tso mia figlia schizofrenica prende le pastiglie – denuncia Angela, mamma di Brescia, all’associazione di Maria Luisa Zardini – a casa lei non vuole curarsi. E diventa aggressiva. Aiutatemi, non so più che fare».

L’Italia dei pazzi armati – LASTAMPA.it

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