È morta Silvia Montefoschi, la psicanalista che, sulle orme di Jung e in una cultura psicologica al maschile, si è distinta come una delle voci più autorevoli, coraggiose e originali nell’elaborazione di modelli teorici, nella pratica terapeutica, nella formazione di professionisti, ricordo di Marco Garzonio, in Il Corriere della Sera

È morta Silvia Montefoschi, la psicanalista che, in una cultura psicologica al maschile, s’ è distinta come una delle voci più autorevoli, coraggiose e originali nell’ elaborazione di modelli teorici, nella pratica terapeutica, nella formazione di professionisti. Era nata a Roma nel 1926 e lì si formò alla scuola di Ernest Bernhard, il medico che introdusse Jung in Italia, ebbe per pazienti Federico Fellini e Natalia Ginzburg e tenne rapporti con Bobi Bazlen, trai fondatori di Adelphi, grazie a cui si diffuse un sapere psicologico attento a miti, irrazionale, sapienza orientale, religiosità e autonomo verso il freudismo allora dominante. Trasferitasi a Milano, la Montefoschi rappresentò un punto di riferimento importante negli anni 70 e 80. I suoi libri, pubblicati da Feltrinelli nell’ autorevole collana di Psichiatria e di psicologia clinica diretta da Gaetano Benedetti e Pier Francesco Galli, divennero un richiamo per una generazione di studiosi e di persone alla ricerca di sé e di un senso da dare alla vita nelle tensioni anche drammatiche d’ un passaggio che fu epocale. Erano gli anni frutto del ‘ 68, del femminismo, dei movimenti di liberazione a livello internazionale, di un marxismo che intercettava ancora le esigenze di cambiamento ma non riusciva a uscire da schematismi ideologici, di un post concilio che accendeva le speranze dei cristiani. Silvia Montefoschi seppe interpretare il momento storico con scelte di vita rigorose. Lasciò il rifugio delle istituzioni analitiche per essere più libera nell’ elaborazione del suo pensiero. Tese gli sforzi a ridare funzione «sociale» alla psicanalisi riportandola al suo compito essenziale: consapevolezza e trasformazione interiore; la convinzione era che solo dai cambiamenti interiori si può immaginare che fiorisca una nuova pratica umanistica e sociale. Meta della Montefoschi fu di operare perché l’ uomo e la donna lavorassero a una continua presa di coscienza della realtà e dei condizionamenti, non solo per risolvere i propri problemi personali, ma per diventare individui responsabili, che, insieme ad altri, pongono mano al cambiamento delle relazioni intersoggettive, del collettivo, delle culture di riferimento. Di lei resta di grande attualità una incondizionata fiducia nella dialettica dei saperi, nel dialogo tra le persone, nella vita interiore arricchita dal lavoro con l’ inconscio e i sogni, nell’ autorealizzazione di se stessi come destino che accomuna uomini, generazioni, epoche.

Silvia Montefoschi, la psicanalista che seguì Fellini e la Ginzburg.

Un commento

  1. Grazie a Paolo ho avuto notizia quasi in tempo reale della morte di Silvia Montefoschi, figura centrale nel mio percorso personale, negli anni di fermenti che Marco Garzonio così bene descrive.
    Grazie a Marco per le parole e il tono che ha trovato per ricordarla e a Paolo che, una volta ancora, svolge un ruolo prezioso nel creare una condivisione.

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