È molto probabile che non sapremo mai la verità sulla morte di Vittorio Arrigoni, l’attivista italiano rapito, torturato e poi ucciso a Gaza da un gruppo salafita, come è stato scritto. Una storia che, fin dal suo inizio, ci era già sembrata troppo poco credibile, per non destare sospetti. Gaza è governata con il pugno di ferro da Hamas, una branca locale dei Fratelli musulmani, difficile immaginare che un gruppo ancora più estremista possa essersi radicato fino al punto di organizzare un rapimento finalizzato a ottenere la liberazione di alcuni carcerati. Anche ammesso che questo sia stato davvero il motivo del rapimento, non si capisce come Hamas avrebbe potuto accettare il ricatto «o liberate i prigionieri entro trenta ore oppure uccidiamo l’ostaggio», come avevano chiesto i rapitori, quando l’intero territorio della Striscia è sotto il suo totale controllo. Ma se questo era il loro fine, perché ucciderlo praticamente subito dopo averlo rapito?
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