Patrizia Taccani recensisce: Luciana Quaia, Intime erranze. Il familiare curante, l’Alzheimer, la resilienza autobiografica, Nodo Libri, Como 2012, pp.209 In Prospettive sociali e sanitarie n. 10, 2012, pag. 9

Patrizia Taccani recensisce:

Luciana Quaia, Intime erranze. Il familiare curante, l’Alzheimer, la resilienza autobiografica, Nodo Libri, Como 2012, pp.209

In Prospettive sociali e sanitarie n. 10, 2012, pag. 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il termine “resilienza” che compare nel sottotitolo accompagna il lettore per molte delle pagine di questo testo dedicato a rielaborare un percorso di accompagnamento del tutto particolare, ricco di riferimenti teorici, letterari, esperienziali. Luciana Quaia, infatti, operando da anni presso il Centro Donatori del Tempo di Como, per buona parte della sua attività ricopre il ruolo di tutore di resilienza nei confronti di persone che si prendono cura di un loro familiare colpito da demenza. Sarà forse per questo, sarà perché l’immagine della casa è colma di significati per ciascuno di noi, ma nel ripensare alla lettura di Intime erranze per scriverne su questa rivista, mi è sorto spontaneo il desiderio di presentarne la struttura come quella di una casa, molto vicina alla “Casita”, metafora usata per rendere immediatamente comprensibile lo svilupparsi della resilienza in una persona.

Il volume poggia su un solido terreno, quello dell’Associazione Donatori del Tempo di cui il libro celebra un anniversario significativo: 35 anni di vita, di radicamento nel territorio, di esplorazione coraggiosa – pionieristica viene definita – dei modi plurimi con cui si possono tutelare le persone più fragili in un ambito di volontariato. Questo è il terreno, e qui si gettano le fondamenta per quanto verrà dopo ( capitolo primo). Quando all’interno dell’Associazione, infatti, si fa strada il convincimento che tra le persone fragili emergono con sempre maggior evidenza i familiari che vivono accanto a un congiunto colpito dalla malattia di Alzheimer o altra forma di demenza, ecco che inizia a delinearsi il piano terra: nei capitoli successivi (secondo, terzo e quarto) l’Autrice ci porta così a conoscere sia la sua profonda motivazione a intraprendere un Gruppo di reciproco aiuto tra familiari (ma anche i suoi timori, le incertezze, le inquietudini, gli interrogativi), sia il formarsi del gruppo che sempre più si sente tale, dove “le parole dell’altro diventano occasione per conoscere se stessi ”, sino al momento in cui dalla parola parlata i protagonisti passano alla parola scritta. La malattia dell’altro diventa narrazione. “Scrivere le ferite dell’anima in una «zona di sicurezza» è servito a integrare pensiero e sentimento, liberando da un senso di oppressione e aiutando a comprendere meglio l’esperienza vissuta e il rapporto con essa” (p.60). A questo punto Luciana Quaia esplicita un dubbio che prima o poi attraversa molti facilitatori di gruppi di automutuo aiuto di familiari curanti: quanto il lavoro fatto è riuscito a dare spazio alla soggettività e alla storia (anche quella lontana) di ogni partecipante, il cui dolente racconto è per lo più rivolto al malato e alla sua malattia? Da qui il passaggio alla parte centrale del libro, quella che giustifica il suggestivo titolo di Intime erranze. Si sale quindi al primo piano della casa, spazio che va esplorato con attenzione, tempo, pazienza, sguardo aperto sui particolari oltre che sulla struttura complessiva. Insomma, va esplorato con cura. Si tratta della descrizione e della riflessione sul Laboratorio di scrittura autobiografica: cinque incontri guidati nei quali l’Autrice accompagna anche il lettore, dopo avere accompagnato il piccolo gruppo di familiari che hanno volontariamente aderito al percorso. Impossibile dar conto compiutamente in questa breve presentazione della metodologia, dei materiali offerti, di quelli prodotti. Occorre attraversare con lentezza i cinque capitoli (dal quinto al nono compreso) per cogliere il significato di ciascuna tappa, tenendo sempre presente che l’esperienza ha le sue basi nella fiducia che la scrittura autobiografica diventi per ciascun partecipante strumento di approfondimento o di avvicinamento ad aspetti di sé ancora in parte ignoti e diventi luogo e tempo per se stessi: intime erranze, appunto. Mi pare importante citare un pensiero di chiusura che dovrebbe essere sempre presente in tutti, familiari e operatori. Si tratta del richiamo ad accettare che i risultati di un lavoro dedicato alla crescita della resilienza individuale, divengano misurabili a fondo soltanto in un tempo “più in là”, oltre il gruppo.

Il lettore – soprattutto se già operante nei gruppi di automutuo aiuto di familiari curanti – può sentire al termine della lettura un suggestivo richiamo a sperimentarsi in analoga esperienza, data la sua originalità, la bellezza e la pertinenza di molti dei materiali letterari (particolarissimo il richiamo costante alla mitologia, toccante l’inserto di alcune pagine fotografiche), la coinvolgente semplicità con cui l’Autrice mette a parte degli accadimenti all’interno del gruppo, pur nel totale rispetto della privacy. Insomma, potremmo essere in molti a voler provare ad abitare autonomamente questo primo piano della casa, così densamente popolato di soggetti, oggetti, suoni, colori, parole, emozioni. In questo caso il rischio di riprodurre, e non di costruire, c’é. Questo potrebbe accadere perché la lettura del testo ci sorprende stanchi delle strade già percorse, o in stallo con i nostri gruppi, ma soprattutto a fronte di una rielaborazione ricca e complessa che ci tocca e ci stimola. Non credo tuttavia che tale semplicistico esito sia quello auspicato da Luciana Quaia. Credo piuttosto che, riandando ancora  una volta al titolo di “intime erranze”, l’atteggiamento più corretto sia quello di lasciar lavorare dentro di noi – in modo anche errabondo – i pensieri e le emozioni suscitati da questo libro, per arrivare a sentire e a capire da quale parte ci possano portare. E salire così al solaio della nostra casa, punto più alto da cui ri-guardare alle esperienze che ci appartengono, per modificarle, migliorarle e fare passi avanti nell’essere accompagnatori sempre più adatti per i nostri gruppi. Aiutati, in questo caso, da “Intime erranze”.

Patrizia Taccani

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