L’assistente sociale non è un poliziotto, non è un medico, non è uno psicologo, non è terapeuta, ma è uno che cerca di connettere le varie esperienze e metodologie che si intersecano e che caratterizzano il lavoro di aiuto e sostegno delle persone fragili, marginali o marginalizzate e “deboli” che si rivolgono a lui o lei, possibilmente senza diventare troppo un burocrate. Lo dice un giovane assistente sociale che cercava il libro sul metodo di Edgar Morin a Fahrenheit durante le giornate di ‘clausura’ da “coronavirus”.
Ma questo excursus che ci apprestiamo a redigere sulla figura dell’assistente sociale nel cinema, nella rappresentazione visiva, non è una storia completa o un’analisi sociologica, statistica o antropologica di come viene vista questa figura professionale nel cinema contemporaneo (nota 1), ma una più modesta proposta di visione e re-visione di alcuni film importanti, da vari punti di vista, degli ultimi 40 anni che li e le hanno come protagonisti, co-protagonisti e co-protagoniste, o comunque come figure che hanno un ruolo importante nella storie e nelle vicende raccontate nei films.