Maurizio Viroli, Come se Dio ci fosse. Religione e libertà nella storia d’Italia, recensione di Enzo Bianchi

Un libro pessimista, percorso da un irriducibile ottimismo. Con questo paradosso credo di poter sintetizzare il più recente lavoro di Maurizio Viroli, Come se Dio ci fosse. Religione e libertà nella storia d’Italia (Einaudi, pp. 376, euro 32).

Come ammette infatti l’autore, si tratta di un testo «scritto senza coltivare la benché minima speranza, e ancor meno la speranza di una rinascita della religione della libertà… Ho scritto, se mai, per disperazione, al solo ed esclusivo fine di raccontare una storia che pochissimi apprezzeranno». E non è semplice retorica, se così viene poi descritta la realtà dell’Italia contemporanea, svuotata della carica ideale della «religione della libertà che ha dato l’ultima prova di sé nella Costituente»: «un paese abitato da una larga maggioranza di individui con la mentalità dei cortigiani o dei servi, senza senso del dovere, senza amore di patria, incapaci di vedere ideali e di soffrire per realizzarli, felici sotto il sorriso rassicurante del demagogo».

Ma dov’è allora l’ottimismo in un quadro così cupo? Emerge pagina dopo pagina dall’attenta e accurata ricostruzione – capace di usare mirabilmente anche il registro della narrazione – di tre periodi significativi della storia moderna e contemporanea dell’Italia: la nascita delle repubbliche comunali nei secoli XI e XII, il Risorgimento e la resistenza al fascismo.

Periodi storici diversissimi fra loro, ma in cui Viroli – docente di teoria politica all’Università di Princeton e di comunicazione politica all’Università di Lugano – riesce a cogliere la tenace dimensione religiosa, presente in uomini e donne capaci di concepire e vivere «la vita come missione, vale a dire come dedizione a un ideale morale: l’ideale della libertà», capaci – per usare l’espressione di Ernesto Rossi assurta a titolo dell’opera – di vivere laicamente «come se Dio ci fosse», cioè convinte di poter condurre «una vita moralmente degna senza credere in una religione rivelata».

Oggi, quando vi è chi dubita perfino che sia possibile un’etica al di fuori dell’adesione a una fede, è davvero una boccata di fondato ottimismo quella che si respira in queste pagine. Infatti, non siamo di fronte a una semplice ipotesi di lavoro, bensì a una convinzione suffragata da documenti storici precisi, presentati con acume e sapienza, da Dante e Savonarola, fino a Calamandrei e La Pira.

La «religione civile» di cui si parla qui non è quella al centro del dibattito odierno, quel «rischio oggi diffuso», e stigmatizzato come tale dal cardinale Bagnasco, «di pensare il cristianesimo come fatto morale e non innanzitutto soprannaturale, come riserva di valori, una specie di religione civile». No, si tratta invece di «un particolare tipo di cristianesimo civile che poneva al primo posto la carità e quindi il principio che se vuoi essere buon cristiano devi essere buon cittadino, amare e servire il bene comune», è l’etica della convivenza.

Si può non condividere la radicalità della contrapposizione che l’autore fa tra difensori della «religione del dovere e della libertà» e istituzione ecclesiastica, ma è innegabile l’efficacia con cui la ricostruzione storica rende conto delle radici cristiane ed evangeliche di istanze percepite come fondamentali anche da persone che non necessariamente si dichiaravano cristiane e cattoliche. Del resto è questo il tessuto del nostro paese e possiamo essere grati a Viroli di averci ricordato una verità misconosciuta e scomoda per il conformismo cui, cristiani e non cristiani, siamo sempre tentati di cedere.

Autore: Maurizio Viroli
Titolo: Come se Dio ci fosse
Edizioni: Einaudi
Pagine: 376
Prezzo: 32 euro

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 4 luglio)

Buon cristiano buon cittadino – LASTAMPA.it

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2 commenti

  1. @Enzo Bianchi Cristianesimo civile come etica della convivenza… interessante, ma è davvero la posizione di Viroli o una suggestione più sua?

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