…. Lanier, guru di internet e dei new media, celebre firma della rivista Wired, è perplesso. E nel suo ultimo libro «You are not a gadget: a manifesto», mette in guardia contro la deriva del Web 2.0 con toni preoccupati che faranno applaudire i vecchi professori che si vantano «Io? Io non ho mai usato un computer!». Cosa è accaduto perché uno dei leader della rivoluzione internet denunci il Web 2010? Lanier lamenta l’appiattimento dei contenuti online, che motori di ricerca come Google e l’enciclopedia scritta dagli utenti Wikipedia, importano sulla rete. Mettere ogni giorno insieme, senza alcuna selezione, gli argomenti dei filosofi e le arrabbiature del tizio davanti al cappuccino tiepido, l’analisi economica di un Nobel e lo sfogo del qualunquista di turno, può essere celebrato dagli ingenui alla moda come «open source» e «democrazia di rete». Il pericolo è invece riassunto bene nelle parole del guru Lanier: «I blog anonimi, con i loro inutili commenti, gli scherzi frivoli di tanti video» ci hanno tutti ridotti a formichine liete di avere la faccina su Facebook, la battuta su Twitter e la pasquinata firmata «Zorro» sul sito. In realtà questa poltiglia di informazione amorfa rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica ….
…. Lamenta Lanier: «Ai tempi della rivoluzione internet io e i miei collaboratori venivamo sempre irrisi, perché prevedevamo che il web avrebbe potuto dare libera espressione a milioni di individui. Macché, ci dicevano, alla gente piace guardare la tv, non stare davanti a un computer. Quando la rivoluzione c’è stata, però, la creatività è stata uccisa, e il web ha perso la dignità intellettuale. Se volete sapere qualcosa la chiedete a Google, che vi manda a Wikipedia, punto e basta. Altrimenti la gente finisce nella bolla dei siti arrabbiati, degli ultras, dove ascolta solo chi rafforza le sue idee» …
… è giusto che oggi mi faccia carico del dilemma: come è possibile riportare gerarchia di valori (il bene migliore del male), autorevolezza di tesi (il Nobel Amartya Sen la sa più lunga sulla crisi asiatica del suo anonimo aguzzino via blog), limpidezza di discussione (i siti e i Tersite che denunciano, a destra e a sinistra, in Italia e negli Usa, chi non è d’accordo con loro come «venduto» non sono «informazione»)?
La rete è e resterà il nostro futuro. I nostri figli ragioneranno sulla rete. L’informazione dell’opinione pubblica critica passerà sempre più dalla carta alla rete. Dunque non dobbiamo – come ci ammonisce Jaron Lanier – permettere ai teppisti di inquinarla con le loro farneticazioni e garantirne l’informazione, la cultura e l’eccellenza contro l’omogeneizzazione e il qualunquismo …
…. Riportare sulla rete quei canoni di serenità, autorevolezza, vivacità, impegno, buona volontà, dibattito, critica che sono da sempre trade mark della libertà, dell’onestà, della ragione. Senza perderne la ricchezza, la spontaneità, l’uguaglianza.
Per avere proposto questa discussione Lanier è già fatto a pezzi sulla rete come reazionario, traditore, snob, fallito, ferrovecchio ….

Egregio dott Riotta
ho appena letto il suo articolo Il declino del web
sono un 61 enne che qualche anno fa non ha voluto perdere il treno di queste tecnologie, che chiamo internettiane.
Mi sembrava che nell’ultimo tratto della mia vita, se avessi perduto questo treno, avrei perso delle grandi opportunità per continuare ad apprendere. Perchè – a me sembra – noi siamo in vita per apprendere, per allargare la sfera della nostra coscienza, senza esagerazioni e facendo valere ragioni e sentimenti.
Avverto con acutezza quanto quanto lei sostiene con Lanier. L’ho avvertito soprattutto nel passaggio dai blog a facebook e – per igiene mentale – ho evitato twitter: c’è un limite alla miniaturizzazione della scrittura.
Non so se prima o dopo quelle considerazioni di Lanier, anche Andrew Keen aveva argomentato in modo simile nel libro Dilettanti.com, De Agostini 2009 (edizione americana 2007)
Non so se anche Keen è stato lapidato per avere detto queste cose.
A me sembre, infine, che occorrerebbe sapere da dove viene questa pulsione a usare le parole internettiane (una tastiera e uno schermo) come armi per ferire.
La storia dei tempi lunghi di Braudel insegna che per capire il senso una trasformazione occorre un periodo ampio.
Noi siamo, ora , dentro la trasformazione e dunque prevalgono i gorghi, i mulinelli, il caos.
Spero solo che mella massa degli opinionanti continuino ad emergere le parole-bussola, gli autori sapienti, le intelligenze riflessive
grazie per l’attenzione
Paolo Ferrario
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