Il problema è filosofico, prima ancora che ideologico. Da una parte, quel complesso di principi di galateo della convivenza politica contemporanea, che è venuto di moda definire “politically correct”, ha stabilito che la donna deve essere considerata su un piano di perfetta parità con l’uomo. Dall’altra, lo stesso principio del politically correct impone un rispetto altrettanto assoluto per la cultura dei popoli non occidentali: e questo si chiama invece multiculturalismo. Ma che succede, se questa cultura non occidentale da rispettare produce comportamenti non rispettosi della donna? La poligamia; l’escissione; l’infibulazione; il diritto di vita, morte e percosse attribuito a padri, mariti e addirittura fratelli e figli; l’obbligo del velo; la reclusione in casa… In qualche modo, si torna all’origine stessa del pensiero occidentale, quando i tragici greci si interrogavano su cosa fare di fronte a due norme in conflitto tra di loro: la legge dello stato contro la legge degli dei in “Antigone”; l’obbligo di vendicare il padre su una madre uxoricida e quello di rispettare la madre nell’“Orestea”… In verità, si potrebbero stabilire molti altri fronti di conflitto tra il dogma multiculturalista e altri capisaldi del politically correct: dal riconoscimento dell’omosessualità all’interdetto per pena di morte e punizioni corporali. La marocchina Souad Sbai, giornalista e attivista sui temi dell’immigrazione, cittadina italiana dal 1981 e deputata per il Pdl dal 2006, è però soprattutto una femminista.
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“L’inganno. Vittime del multiculturalismo” di Souad Sbai – [ Il Foglio.it
