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la cosa che più sorprende è il fatto che il mondo musulmano abbia voluto esprimere in maniera totalmente autonoma una propria concezione dei diritti umani tramite la promulgazione di «dichiarazioni» proprie quali la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo nell’islam, promulgata nel 1981 per iniziativa del Consiglio Islamico per l’Europa, e la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo nell’islam approvata al Cairo il 4 agosto 1990 dai Ministri degli Esteri dei 45 Stati che aderiscono all’Organizzazione della Conferenza Islamica. Nei due testi la questione della libertà religiosa viene affrontata in maniera diversa, anche se non è difficile rilevare il comune sostrato. La Dichiarazione di Parigi esprime, infatti, la salvaguardia delle minoranze religiose, affermando che «la condizione religiosa delle minoranze è fondata sul principio coranico: ‘Non c’è costrizione nella religione’ (Cor. 2, 256)» (art.10), e sottolinea che «ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia» (art. 12), citando poi la frase coranica: «A voi la vostra religione, a me la mia» (Cor. 109, 6). Tuttavia ad essa aggiunge un’affermazione che rende tutto il discorso ambiguo: «Fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito. La Dichiarazione del Cairo d’altro canto afferma che «l’islam è la religione della natura dell’uomo» (art. 10), sottintendendo con ciò che va applicato ancor oggi per i non musulmani il «regime di minoranze protette» ( dhimma ). Si lascia così immutato il quadro classico della shar’îanell’ambito dell’organizzazione della società e si prendono le distanze da una visione egualitaria del pluralismo religioso e dalla laicità dello Stato, che è un principio fondante per molti Stati moderni.
