| Era forse l’occasione giusta per dichiarare la guerra all’Austria.
Carlo Alberto pretese, prima di intervenire, che i milanesi gli chiedessero ufficialmente aiuto. Così perse giorni preziosi. Le truppe sarde varcarono il Ticino il 23 marzo 1848. La guerra durò pochi mesi: ad agosto gli austriaci avevano riconquistato Milano e i piemontesi chiesero un armistizio. Quando ci riprovarono, nel marzo del 1849, furono battuti in tre giorni. Fine delle illusioni.
Come mai?
Incapacità assoluta del re. Ufficiali malissimo preparati. Il Papa, che era stato quasi costretto dalla piazza a inviare un’armata, ebbe un sussulto e dichiarò che non poteva approvare una guerra contro una nazione cattolica come l’Austria. Le popolazioni temporaneamente conquistate— cioè i lombardi e i veneti— risultarono alla prova dei fatti molto meno patriottiche di quanto s’era pensato. I contadini veneti accolsero molte volte i piemontesi al grido di «Viva Radetzky». La sconfitta indusse Carlo Alberto ad abdicare in favore del figlio ventottenne, Vittorio Emanuele II. Un’ultima notazione: nel breve periodo in cui era sembrato che Carlo Alberto potesse vincere era scoppiata una lite furiosa tra milanesi e torinesi su dove si dovesse collocare la capitale in caso di unione dei due regni.
La guerra aveva cancellato lo Statuto, il Parlamento, le elezioni?
Sì, negli altri stati italiani. Ma non in Piemonte. Che usciva dal conflitto pesantemente indebitato, però senza aver perso territori e con le istituzioni liberali intatte. Anzi, tra il 1848 e il 1849 — cioè mentre si combatteva — il Paese era stato chiamato alle urne quattro volte.
Con che sistema votavano?
Maggioritario secco a due turni, cioè i candidati si presentavano e se uno prendeva più del 50%dei voti era eletto, se no si andava al ballottaggio tra i primi due. Erano ammessi al voto solo quelli che avevano compiuto 25 anni e pagavano almeno 40 lire di tasse all’anno. 80 mila elettori su 4.600.000 abitanti. Meno del 2 per cento. Lo Statuto aveva permesso ai borghesi di contare qualcosa. Prima non potevano nemmeno entrare a corte. Una volta che Carlo Alberto aveva permesso ai non-nobili di visitare la quadreria reale era scoppiato un putiferio. Il problema di amalgamare aristocratici e borghesi (borghesi ricchi, s’intende) era uno dei più acuti. L’amalgama, o almeno il punto d’incontro tra le due classi, era però a portata di mano: Cavour.
Non era aristocratico?
Sì, era conte, figlio del marchese Michele Benso di Cavour, un gran personaggio che a Torino era stato capo della polizia. Il titolo di marchese andava al primogenito e quello di conte al secondo nato. Camillo col titolo di conte ci avrebbe fatto ben poco: essendo cadetto non aveva il diritto di ereditare neanche una lira del cospicuo patrimonio familiare. Ma s’era dato parecchio da fare: negato alla vita di corte (detestava Carlo Alberto e le monarchie assolute), negato alla vita militare, aveva fatto i soldi con l’agricoltura, speculando sul grano, mettendo su zuccherifici e mulini, comprando e rivendendo traversine per le ferrovie, che in Piemonte si cominciavano a costruire allora. Importava guano, fondava banche, prestava soldi. Un vero uomo dei tempi nuovi, a suo agio col denaro e gli affari, forte di una solidissima preparazione economica. In questo stava la sua natura profondamente borghese. Diventò ministro nel 1850 e presidente del Consiglio due anni dopo.
Che cosa cambiò con Cavour?
Ci limiteremo a ricordare questo: che la Chiesa, padrona di tante parti dell’amministrazione civile, venne tenacemente respinta nell’ambito che le era proprio, cioè quello della religione. I preti, prima dello Statuto, avevano in mano l’istruzione, la stampa, i registri dello stato civile, erano loro a unire le coppie in matrimonio (cioè non ci si poteva sposare in municipio), avevano tribunali loro propri, se un assassino si rifugiava in convento non poteva più essere perseguito, i gesuiti dominavano a corte e determinavano la politica del sovrano. Cavour “svolse”(come si diceva allora) lo Statuto in senso anticlericale, spazzando via, anno dopo anno, tutto questo, e arrivando al punto di sopprimere ordini religiosi, requisire proprietà ecclesiastiche e chiudere conventi. Lui e Vittorio Emanuele furono scomunicati, le relazioni diplomatiche con Roma a un certo punto si interruppero.
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