La nuova pelle che abita Almodóvar

Dopo aver leggiucchiato, qua e là, critiche non troppo lusinghiere, sono andato a vedere l’ultimo parto cinematografico di Pedro AlmodóvarLa pelle che abito. Aspettandomi qualcosa di molto noioso e di poco riuscito, qualcosa di non-almodovariano – una sorta di scivolone nel cursus honorum del regista spagnolo -, ho avuto invece la sorpresa contraria di vedere un film che a me sembra sia stato giudicato troppo severamente. Ho la sensazione che, quando ci si aspetta che un artista faccia “sempre quella cosa lì” – il suo marchio di fabbrica? – e per una volta non la fa (o non del tutto), la delusione e quindi la stroncatura siano in agguato.

Anni fa avevo letto Tarantola, il romanzo di Thierry Jonquet a cui si è ispirato Almodóvar, ma, come spesso accade, avevo completamente dimenticato la trama, finché non ho visto il trailer di La pelle che abito: la scena in cui il protagonista, il medico Roberto (Antonio Banderas), lava con la canna dell’acqua Vicente (Jan Cornet), che ha fatto prigioniero e tiene incatenato in una sorta di cantina cavernosa, mi ha fatto tornare in mente il fatto centrale del racconto. Al cinema, quindi, gran parte della sorpresa era già svanita – anche se mi sono chiesto (e ho chiesto a M., che era con me) quando uno spettatore ignaro avrebbe compreso quello che stava succedendo.

 

Non posso raccontare l’intero sviluppo della storia, perché rovinerei la visione

segue qui: cadavrexquis: La nuova pelle che abita Almodóvar.

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