- sta cercando di dar vita a una destra “moderna”, rispettosa delle “regole del gioco” democratiche, che vada oltre il populismo demagogico di cui si sono fatti portavoce in questo ultimo ventennio la Lega Nord, Forza Italia e il Pdl, puntando a ridisegnare in senso “gollista” il sistema politico italiano.
- Altro punto essenziale del programma politico finiano è la richiesta di una trasformazione in senso federalista dello stato, in quanto, secondo lo statista bolognese, essa è «una scelta obbligata e irreversibile e già adottata dalla maggior parte degli Stati democratici di grandi dimensioni». Fondamentale, a suo parere, sarà l’adozione di un efficace federalismo fiscale, che «dovrà necessariamente cambiare l’assetto della finanza pubblica» e comporterà una ridefinizione in senso liberale dei compiti delle istituzioni: «dobbiamo […] passare da una concezione dello Stato interventista e “tuttofare” a una nuova visione in cui le funzioni statali coincidano con gli aspetti essenziali per il governo del sistema».
- di rilanciare un progetto europeo incentrato sia sulla sicurezza che sui diritti civili. Ad esempio, sarà necessario contrastare in modo sempre più efficace «il traffico di immigrati irregolari, controllato da organizzazioni criminali», ma nello stesso tempo semplificare «le procedure per la concessione del diritto d’asilo» nei confronti dei profughi che scappano dalle guerre o dalle dittature.
- In passato, Fini fu tra i promotori della severa legge n. 189 del 2002, meglio nota come “Bossi-Fini”, che prevedeva l’invio degli extracomunitari senza permesso di soggiorno nei Centri di permanenza temporanea e, dopo l’identificazione, la loro immediata espulsione verso i paesi di origine. Ne L’Italia che vorrei, al contrario, il leader del Fli assume posizioni più aperte, sostenendo che non c’è «una giustificazione alla chiusura ermetica delle frontiere» e che «non esistono più Nazioni che abbiano una popolazione omogenea dal punto di vista etnico». Pertanto, pur respingendo il relativismo culturale più radicale, Fini ritiene che non si possa imporre agli stranieri la rinuncia alla propria identità culturale, sebbene sia doveroso chiedere loro «di esprimerla in modo non conflittuale con gli altri […] nel totale rispetto della legalità».
- non si devono, pertanto, enfatizzare per scopi meramente propagandistici «paure e insicurezze sociali», ma tenere sempre ben presente, sul piano legislativo, quanto previsto dall’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali della Ue: «Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza».
- Secondo Fini, è innegabile che la globalizzazione presenti aspetti negativi, come ad esempio «un aumento della precarietà e dell’incertezza sulle prospettive future». Nel contempo, però, egli ne mette in risalto anche i lati positivi, che a suo parer consistono soprattutto in quattro fattori: «la riduzione delle barriere alla circolazione di beni e fattori produttivi […]; lo sviluppo dellainformation technology, con la disponibilità di informazioni in tempo reale; la liberalizzazione dei flussi commerciali e degli investimenti internazionali […]; le privatizzazioni e i processi dideregulation che hanno creato nuove opportunità per gli investimenti diretti all’estero».
- riconosce l’importanza di garantire uno sviluppo armonico tra le due dimensioni economiche, «un equilibrio tra “globale” e “locale”», che, senza stravolgere le regole del libero commercio, attribuisca agli enti locali una maggiore autonomia amministrativa per potersi inserire nei mercati mondiali e garantire lo sviluppo economico del proprio territorio.
- Il leader del Fli considera la Costituzione «il “centro di gravità permanente” della nostra democrazia» e «la stella polare che può guidare la nostra società», asserendo che debba essere insegnata ai giovani per far loro comprendere «quali sono quei valori fondamentali in assenza dei quali il vivere civile è più complesso».
Come fa giustamente notare Giuliano Amato nella Prefazione, tuttavia, L’Italia che vorrei lascia irrisolto un interrogativo che scaturisce dall’intricato contesto politico dell’Italia odierna, cioè «se un destra liberale e pragmatica possa esplicare in Italia il suo ruolo nella collocazione che è per lei naturale o se […] debba allearsi con il centro-sinistra». Per realizzare il suo progetto di trasformazione dello stato, infatti, il Fli dovrà necessariamente trovare alleanze solide e sarà costretto a confrontarsi non solo con le forze politiche di centro (Udc, Api, Mpa), ma anche con il Pd con cui potrebbe coalizzarsi alle prossime elezioni politiche, le quali, pur essendo previste per il 2013, potrebbero tenersi già nel 2012, se il governo Monti dovesse entrare presto in crisi).
Vedremo se il progetto politico finiano, finalizzato alla creazione di una destra liberale scevra dai retaggi del berlusconismo e del leghismo, riuscirà a ottenere adesioni consistenti e saprà proporsi come credibile alternativa alla destra populista più radicale, oppure se è destinato a smarrirsi nel clima di sfiducia e di disincanto che, in questo frangente, sta attanagliando gran parte dell’elettorato nostrano.
di Giuseppe Licandro
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