il bel libro di Alessandro Frigerio: Budapest 1956. La macchina del fango (con prefazione di Paolo Mieli, Lindau, Torino 2012). Lo sto leggendo in questi giorni, e tratta dei resoconti forniti dalla stampa del PCI in occasione della rivolta ungherese del ’56.
Come nota Mieli nella sua lucida prefazione, “i fatti sono noti”, io direi anzi notissimi. Innumerevoli i volumi dedicati all’argomento, tra i quali mi limito a citare quello di Enzo Bettiza: 1956. Budapest: i giorni della rivoluzione (Mondadori 2006). Il giudizio storico è ormai netto, con le autocritiche successivamente espresse da tanti esponenti di primo piano del Partito Comunista, da Pietro Ingrao all’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Ossessivo il rifiuto de “l’Unità”, “Vie Nuove” e “Rinascita” di parlare di rivoluzione. Veniva sempre usato, per descrivere ciò che stava accadendo in Ungheria, il termine “fatti”, con il fine di sminuire la portata della rivolta popolare. Assai note anche le crisi di coscienza che portarono Antonio Giolitti e altri ad abbandonare il partito sul quale Palmiro Togliatti esercitava un controllo ideologico ferreo, basato tra l’altro su categorie gramsciane interpretate secondo i canoni di una rigida ortodossia.
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