Visto che si sta facendo strada l`idea che il peggio della crisi economica`sia in via di superamento, è possibile analizzarne con relativa calma gli effetti di natura sociopolitica.
Un talmudista francese ha di recente affermato che le crisi nascono dal «timore dei cieli», cioè dalla paura delle sfere alte del potere di non saper controllare le forze disordinate ed opache operanti in terra, nel sottosuolo e nel sommerso. Le crisi nascono quindi quando la legalità non controlla gli istinti e le furbizie criminali; quando la coscienza non controlla la violenza dell`inconscio; quando la razionalità non controlla la dispersione egoistica dei comportamenti umani.
La crisi che stiamo attraversando è di segno totalmente contrario, visto che sono i cieli che l`hanno provocata. L `infatti la crisi della globalizzazione, della sua governane, delle lucide previsioni degli organismi internazionali, della razionalità del mercato, dei controlli sopranazionali, delle grandi banche mondiali e delle mondiali agenzie di rating, dell`unidirezionalità illuministica del processo di occidentalizzazione. E una crisi esplosa in alto e poi discesa per li rami; una crisi quindi della verticalizzazione del potere.
Ad essa hanno resistito solo i sistemi «terra-terra», con le loro componenti a lungo condannate come provinciali, pre-moderne, irrazionali. Se evitiamo di farci esaltare dagli attuali ed inattesi apprezzamenti internazionali, possiamo citare il caso italiano: abbiamo sopportato meglio la crisi perché siamo più economia reale che finanziaria, siamo un Paese manifatturiero, siamo un Paese di imprese piccole e flessibili, siamo un Paese di economia sommersa, siamo un Paese di osmosi fra impresa e famiglia, siamo un Paese di famiglie altamente patrimonializzate (con la proprietà della casa e la disponibilità di risparmio), siamo un Paese articolato su territori a diversissima vocazione economica, siamo un Paese a forte coesione sociale, specie a livello locale.
Le presunzioni siderali hanno condensato e trasmesso un uragano, ma questo è atterrato su un sistema a baricentro basso, che non ha sbandato.
Se la prima lezione sociopolitica di questi mesi è che la verticalizzazione non paga, la seconda risiede nella riscoperta delle dimensioni nazionali del potere. Dalla globalizzazione non si è scesi di un gradino, verso entità intermedie di governo, ma di due gradini, verso gli Stati tradizionali. Basta pensare all`integrazione soprannazionale che ci è più vicina, quella europea, che si è dimostrata troppo fragile ed incapace di leadership di sistema; e che ha quindi lasciato spazio alle paure, agli egoismi, alle autonomie decisionali dei vari governi.
Qualcuno dirà che è una regressione rispetto alle crescenti esigenze di integrazione soprannazionale, ma è esattamente quel che è avvenuto. Se l`interpretazione è corretta avremo sempre meno spirito e prassi di stampo europeistico e l`annunciato disamore per il voto europeo ne è il sintomo preoccupante.
Il revival degli Stati nazionali rilancia (è la terza lezione sociopolitica che viene dalla crisi) la politica e l`intervento pubblico, fun- zioni indispensabili per compensare e contrastare i danni del mercato spesso selvaggio e per collegare i meccanismi decisionali con le difficoltà, le attese, i comportamenti dei diversi soggetti economici e sociali. In virtù di tale collegamento declina lapolitica centrata sulle grandi scelte di sistema o sulle grandi ambizioni progettuali e cresce la politica degli interventi singoli, specifici, appropriati (dai bonds per le banche agli ammortizzatori per i precari agli incentivi per i terremotati, ecc.,). Si tratta di una lezione non di secondo livello per la nostra cultura politica, da sempre abituata alle nobili intenzioni e poco propensa a risolvere pazientemente le esigenze concrete.
Resta comunque sul tappeto una quarta possibile lezione: la riscoperta degli egoismi (ma anche delle responsabilità) dei poteri e delle comunità locali. Oggi abbiamo governi municipali e provinciali che sono molto attivi nel mettere a punto interventi anticiclici, abbiamo Regioni che si danno carico di fronteggiare i pericoli di disoccupazione, abbiamo grandi e medie città che riscoprono un sano egoismo urbano e comninciano a pensare in grande come mai nel recente passato. La discesa verso il basso dei meccanismi decisionali è arrivata al pian terreno, con tutta la conseguente carica di vigile attenzione ai problemi collettivi.
Certo questo diversificato processo di atterraggio dei processi decisionali è fenomeno complesso e difficile da gestire in una realtà emotivamente dominata dalle verticalizzazioni mediatiche che occupano le nostre giornate; ma è il processo che imporrà nel tempo medio una revisione, magari terra-terra, del pensiero sociopolitico anche oltre l`obiettivo oggi di moda del federalismo.
Governo Italiano – Rassegna stampa
