Antonio Golini, Paola Pilati, In pensione si andrà a settant’anni, L’Espresso 6 agosto 2009

È come se l’anno durasse 15-16 mesi, di cui 12 vissuti lì per lì, e gli altri messi da parte per allungarsi la vecchiaia… Antonio Golini, di professione demografo (insegna alla Sapienza di Roma), ma anche accademico dei Lincei, e gran consulente sull’evoluzione numerica del genere umano per vari governi incluso quello del Vaticano, è entusiasta della decisione di Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi di modificare l’età della pensione secondo l’aspettativa di vita. “È un’idea giustissima”, afferma, “visto che negli ultimi anni la durata della vita media si è allungata di 3-4 mesi ogni anno”. La rivoluzione, introdotta senza troppe discussioni, né echi polemici (forse perché andrà a regime nel 2015), si accompagna all’altra innovazione che il governo ha dovuto adottare, quella dell’innalzamento dell’età della pensione per le donne del pubblico impiego, parificate ai maschi per volontà dei guardiani europei.

Golini non ha dubbi: la pensione si deve allontanare non tanto in nome della parità dei sessi, ma perché è la demografia che lo vuole. Il trend mondiale dice che nei prossimi quarant’anni l’allungamento della vita sulla terra potrebbe essere di 10 anni, arrivando a 75, che è la media fra i 65 degli africani e gli 88 dei giapponesi, popolazione che vanta il record assoluto. Con una conseguenza terrificante: gli ultra sessantenni si avviano a diventare la metà della popolazione, sorpassando i lavoratori attivi. La popolazione sotto i 14 anni diventerà invece la porzione più sottile degli abitanti del mondo, con meno del 10 per cento. Scenari che sono il risultato di fenomeni che si svolgono in aree molto diverse e lontane del globo, ma ciò che inquieta è che vanno tutti – anche se con passo diverso – nella stessa direzione. Cosa c’entra questo con le nostre pensioni? C’entra, perché in Italia, dove siamo già a una durata rispettabile dell’aspettativa di vita per i sessantacinquenni (17 anni per i maschi e oltre 20 per le femmine) l’evoluzione demografica metterà a dura prova la tenuta del nostro welfare fino a farlo esplodere.

Perché, professore?
“Il sistema attuale è a ripartizione. Cioè si basa sui contributi di quelli che lavorano: se ogni sessantenne vive due mesi di più ogni anno che passa, chi paga per quei due mesi? Perché chi lavora si deve sobbarcare l’onere di quei due mesi, che sono un beneficio goduto da chi non lavora più?”.

Con le riforme, quella firmata da Dini e poi da Damiano, questi difetti spariranno.
“La riforma Dini ha fatto sì che il rateo della pensione sia funzione dei contributi versati. Quando nel 2015 andrà a regime la riforma Dini, il rateo della pensione sarà completamente parametrato ai contributi versati. Ad esso verrà applicato un ‘coefficiente di trasformazione’: cioè i versamenti fatti verranno suddivisi tra gli anni che ci si aspetta di vivere. Se la prospettiva di vita si allunga, occorre rivedere la pensione”.

È appunto dal 2015 che il governo prevede di rendere automatico l’adeguamento dell’età della pensione alle aspettative di vita. Il calcolo verrà rifatto ogni tot anni: se si vive di più, si incassa di meno?
“I coefficienti servono appunto a ridurre la pensione. Ma se si vuole evitare il paradosso per cui, allungandosi la vita, si riduce l’assegno incassato, dobbiamo allungare il tempo passato lavorando”.

Facciamo un po’ di calcoli: lei cosa prevede?
“Per un neonato l’aspettativa di vita si allunga di quattro mesi all’anno; per un sessantenne di due: se si facesse una revisione ogni tre anni, si tratterebbe di procrastinare l’andata in pensione di mezzo anno ogni triennio. Ogni cinque anni, di dieci mesi”.

Così il sistema starebbe in equilibrio?
“Sì. Ma in Italia c’è un problema di fondo: solo il 33 per cento delle persone tra i 55 e i 65 anni lavora; in Svezia o in Norvegia sono il 70 per cento. E non credo che la Volvo, tanto per fare un esempio, si costruisca con metodi diversi della Fiat…”.

Il governo ha detto che rinviando l’età della pensione si avranno dei risparmi, un tesoretto con cui finanziare altre forme di welfare. Da quello che lei dice, invece, non ci sono risorse da mettere da parte, ma solo risorse scarse da amministrare per una vecchiaia più lunga.

“Con la riforma Dini, cioè con il pieno metodo contributivo, è proprio così. Solo se l’età al pensionamento aumentasse già da adesso, allora si avrebbero risparmi; così come si avrebbero se in futuro l’età del pensionamento aumentasse a un ritmo maggiore della durata della vita”.

Lavorare a oltranza, dunque. Ma di quanto si può allungare la nostra vita?
“L’allungamento della vita non viene come la manna dal cielo. È una conquista che costa soldi, organizzazione, comportamenti individuali e collettivi. E non è detto che continui per sempre. Se si cambia il sistema del welfare, per esempio, l’aspettativa di vita potrebbe diminuire”.

È già successo?
“Sì. In Russia, dopo la caduta del muro: la durata media della vita degli uomini è crollata di circa cinque anni. La causa? Il sistema socio-assistenziale è cambiato, il mercato del lavoro non offriva più sicurezze”.

Anche la crisi in corso, quindi, potrebbe interrompere l’allungamento delle vita nei paesi occidentali.
“Il futuro è pieno di ‘se’. Nel 2003 l’ondata di caldo fuori dal normale provocò un’ondata di decessi tra gli ultra sessantacinquenni (soprattutto in Francia), e questo ha funzionato nel senso di ridurre le aspettative di vita. E se arrivasse una pandemia meno benevola di questa attualmente in corso? Ancora: stiamo adottando comportamenti virtuosi per vietare il fumo, ma si diffondono alcol e droga. Insomma: ci sono elementi che funzionano per allungarci la vita, ma anche elementi che possono aggredirci in senso contrario”.

Le donne oggi vivono più degli uomini. Le cose potrebbero cambiare?
“Per ora sono supercorazzate: più di un terzo di loro muore dopo i 90 anni”.

Le previsioni demografiche dicono che la natalità diminuisce e che dimagrisce l’esercito della ‘working class’, la parte attiva del paese. Chi inizia a lavorare oggi, dovrà continuare a farlo a oltranza: quando potrà andare in pensione, secondo lei?
“Un venticinquenne che inizia oggi la sua vita lavorativa non potrà uscirne prima dei 70 anni. E a quella età dovrebbe poter decidere se se la sente di lavorare ancora, e semmai restare in attività”.

Così il problema delle pensioni si risolve davvero…
“Ho il dato di una indagine recente condotta tra lavoratori. La domanda è stata: fino a quando vorresti lavorare? Quelli di 50 anni hanno risposto: fino a 60; quelli di 60: fino a 65-70; quelli di 65: fino a 70-75. Morale? L’età in cui ci si sente maturi per la pensione scivola avanti con l’età”.

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