Ho letto La casa delle belle addormentate del giapponese Yasunari Kawabata, che altrimenti non mi sarei mai sognato di leggere, seguendo un consiglio “blasonato”. Qualche tempo fa è apparso sul Corriere della Sera un articolo di Guido Ceronetti, dedicato al tema “eros e terza età”, che ne suggeriva caldamente la lettura. Ne sono rimasto molto incuriosito e mi sono ripromesso di procurarmelo. Ceronetti aveva ragione: questo breve romanzo di Kawabata è un gioiello meraviglioso che, tra l’altro, mi commuove perché tocca una delle mie corde più sensibili.
E’ un romanzo semplice, quasi spoglio, che racconta di una casa – quella del titolo – in cui vecchi uomini ormai impotenti vanno non per fare sesso con delle belle ragazze, ma per dormirci, letteralmente, assieme, in una stanza completamente rivestita di tendaggi rossi in cui filtra una luce soffusa. La narrazione è condotta da Eguchi, uno di questi uomini che, ci tiene a precisare, è meno vecchio dei clienti abituali della casa e non è ancora del tutto impotente. O almeno così lui sostiene, senza però mai contravvenire alle regole del luogo. Durante le sue quattro visite, la sera trova una bella fanciulla completamente nuda, già addormentata sul suo tatami – forse drogata perché non si svegli in nessuna circostanza -, vi si distende accanto, la guarda a lungo finché a sua volta, aiutato da un sonnifero, non dorme anche lui.
Tutto il libro ruota intorno al tema della vecchiaia e delle sofferenze che essa porta con sé. Su questo punto l’autore ritorna più e più volte, con grande insistenza, ma allo stesso tempo con un tono così oggettivo che sembra quasi lenire il dolore. Se c’è disperazione, è una disperazione silenziosa, senza urla, che soffoca (o annega) nell’atto della contemplazione
l’intero articolo qui:
