Nicola è un ragazzo nato nei “favolosi anni ’60”: un ragazzo difficile, una pecora nera, con molti problemi a scuola e nella vita, dovuti al difficile ambiente familiare in cui è cresciuto: un padre severo, una madre con problemi psichiatrici chiusa in manicomio e una nonna contadina. Nicola verrà presto considerato come pazzo e, nella sua solitudine, non gli resta che crearsi un amico immaginario
La pecora nera (2010)| Film.tv.it
da: http://www.italica.rai.it/index.php?categoria=cinema&scheda=celestini_pecoranera
Nella mente di Nicola, 35 anni di “manicomio elettrico” alle spalle, convivono in singolare cortocircuito realtà e fantasia. Nato negli anni ‘60, “i favolosi anni ‘60” come ama ripetere, egli è finito in manicomio a seguito di circostanze bizzarre e fortuite, che gli hanno procurato il marchio d’infamia di folle. Curato a colpi di elettroshock, come la psichiatria dell’epoca ancora suggeriva, egli è infine deragliato in una sorta di limbo, ritrovandosi dipoi nelle condizioni create dalla legge Basaglia, con la chiusura dei tradizionali ricoveri per malati di mente…
Inserito in concorso a Venezia quasi a sorpresa, suscitando parecchie polemiche, “La pecora nera” è il lungometraggio d’esordio di Ascanio Celestini, peraltro non per la prima volta dietro la macchina da presa (un documentario sui call center, “Parole sante”): alla base c’è l’omonimo spettacolo teatrale, concepito come monologo, che il nostro ha spericolatamente tradotto in celluloide (con l’ausilio di Ugo Chiti e Wilma Labate in sede di sceneggiatura). Il “metodo Celestini” resta sempre lo stesso, quello già sperimentato in spettacoli quali “Radio clandestina” o “Scemo di guerra”: si parte da un’inchiesta, da un’accurata raccolta di dati per poi affrontar un tema, perlopiù spinoso, in maniera affabulatoria ed ironica. In particolare, nel film il racconto si sdoppia, con echi surreali: su di un binario corre il passato d’un ragazzino che va con la nonna a portare le uova fresche in manicomio e per visitare la, rispettivamente, madre e figlia, ivi ricoverata; su un altro il presente, con Nicola ormai cresciuto ed ospite dell’istituto, a parlare con Ascanio – all’apparenza un paziente coetaneo, in realtà una proiezione del proprio sdoppiamento – ed a cercare un poco d’affetto in Marinella, amore d’infanzia ora impiegata in un supermarket. Messa da parte la querelle sul fatto che questo sia o meno cinema, si può dire che Celestini sia riuscito a conservare in celluloide il suo pregio principale: adoperando un linguaggio colto e popolaresco, la capacità d’ibridare comicità e tragedia (si veda la strepitosa sequenza in cui il protagonista ingolla ogni cosa, fino a rigettare). La trappola dei poeticismi viene abilmente scansata, grazie anche ad invenzioni stranianti (il tormentone delle “pasticche marziane”): ma giunti al tirar delle somme, inequivocabile si staglia la denuncia di “un’istituzione che è criminale in sé, come tutte le istituzioni totali. Quelle che riducono a uno stato infantile di deresponsabilizzazione”. Non ci pare poco, per un’opera prima oltretutto fresca ed originale.
Francesco Troiano
