i nazisti lo hanno reso cane e lui trasformerà un “cane” in un bambino
tema: sopravvivere, solo sopravvivere
“la sanità mentale è piacevole e calma, ma non c’è grandiosità, nè vera gioia, nè il dolore terribile che dilania il cuore”
il film affronta uno dei nodi meno conosciuti e paritempo più complessi nella tragedia della shoah . Quanti sopravvissuti , infatti , dopo Auschwitz hanno vissuto una sorta di prolungamento negli anni della loro sofferenza causata dai gravi traumi , dalle gravi perdite e soprattutto dalle torture subite ?
Sicuramente la stragrande totalità dei superstiti della shoah ha subito ciò , eppure pochissimi libri si sono incanalati negli anni in questo universo inesplorato .
“Adam resurrected” il romanzo di Yoram Kaniuk da cui il film di Paul Schrader è tratto , è uno di questi .
Pubblicato in Israele nel 1968 , il romanzo ( e quindi anche il film ) è imperniato sulla figura malinconica di Adam Stein , un artista
circense ebreo che negli anni ’40 è deportato nei campi di sterminio con tutta la sua famiglia . Risparmiato alla camera a gas , vedrà morire non solo moltissime persone , famiglia compresa , ma si ritroverà a dover “servire” con scketch da circo il comandante del lager nazista , suo accanito ammiratore . Come non bastasse , Adam dovrà intrattenere con numeri da circo altri deportati ebrei che di li a pochissimi minuti vengono avviati alla camera a gas . Una storia che per molti versi ha ricordato ( anzi è parsa identica ) a quella del film di Jerry Lewis “ il giorno che il clown pianse” ( the day the clown cryed ) , pellicola mai uscita nelle sale in quanto rimasta inedita e nascosta per volontà dello stesso Lewis , e ancora oggi circondata da un alone di leggendarietà negli studious di Hollywood .
Mentre la storia del Picchiatello di Hollywood finiva nel lager di Auschwitz , quando lo stesso clown decideva di suicidarsi entrando nella camera a gas con le piccole vittime dell’ennesima selezione , questo film porta una storia a metà strada tra sopravvivenza e mantenimento di una condizione di prigionia in un mondo dove la follia sembra essere ancora in vita , solo nascosta al primo sguardo . Il povero Adam Stein infatti , sopravvive al lager , e si ritrova negli anni ’60 a vivere in un manicomio nel pieno deserto del Negev in Israele , dove sono ricoverati solo superstiti dello sterminio affetti da gravi turbe mentali o problemi di varia natura , che impediscono ancora a vent’anni di distanza dalla fine della guerra , a essi di vivere una vita “normale” . Ed è qui che verrà per Adam( un Jeff Goldblum sublime ) la prova del fuoco , egli , infatti , che era stato costretto dal comandante Klein a comportarsi come un cane , ora si ritrova a tentare di aiutare un bambino che cammina a quattro zampe e abbaia.
Un film quindi pesante , chiaroscuro , impietoso , che fa capire come dopo la shoah molti superstiti abbiano trascinato dentro di se una marea di segni dell’offesa mai facilmente rimovibili . Un film complesso , tanto complesso che lo stesso romanzo da cui è tratto è stato accolto non molto bene negli anni ’60 .
Se ne sarebbe già da tempo produrre un film , ma il romanzo in questione è stato reputato per moltissimi anni “inadatto allo schermo” , probabilmente non solo per la sua complessità , ma anche per la velata accusa che nasconde verso la società del dopoguerra , spesso disattente nell’ascoltare le storie e i bisogni dei superstiti della shoah .
Non è un caso che il romanzo e il film siano ambientati negli anni ’60 in Israele, e non è un caso che questi superstiti si trovino proprio nel deserto del Negev , isolati quindi dal resto del mondo .
Il film ha anche un collegamento non secondario con la concezione storica che Israele ha avuto della shoah .
Se infatti da un lato La memoria della shoah è alla base dell’identità di Israele e la Shoah è presente nella legislazione, nelle preghiere, nei tribunali, nelle scuole, nei monumenti , e proprio in Israele vi è il Museo Numero Uno al mondo quanto a conservazione e raccolta di documenti sulla shoah : lo Yad Vashem , dall’altro lato la società Israeliana proprio fino agli inizi degli anni ’60 non ha considerato la shoah col giusto spessore .
Israele ha infatti iniziato anche essa a comprendere la complessità della tragedia e la sua unicità solo nel maggio 1961 , col processo al Criminale nazista Adolf Eichmann , catturato in Argentina , dove viveva sotto falsa identità , grazie a un blitz del Mossad nel 1960 . E’ questo lo spartiacque storico molto importante che ha fatto risvegliare non solo Israele , ma anche il mondo Occidentale in genere , sulla unicità della shoah , e ha dato inizio a quella che gli storici definiscono “era del testimone” , era entrata nel vivo a partire poi dagli anni ’70 grazie al successo di produzioni Internazionali come lo sceneggiato tv “Holocaust” di Marvin J. Chomwsky . Ovvero , è proprio dagli anni ’60-70 che i testimoni , sollecitati dalle nuove generazioni , iniziano a parlare il più delle volte per la prima volta dalla fine della guerra , sulla loro esperienza . Le nuove generazioni prestano per la prima volta orecchio alle parole dei superstiti.
Questo però non accade negli immediati inizi degli anni ’60 , nel deserto del Negev e nel film di Schrader , dove i sopravvissuti alla shoah sono stati isolati , messi lontano , quasi come un non volerli sentire , ascoltare , ricordare . Come non vedere in questo film anche un ritratto del Mondo Israeliano a cavallo tra i silenzi del dopo shoah e l’inizio dell’era del testimone .Altre recensioni: http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1381
