Invecchiare è una tragedia, anzi la vecchiaia è l’inferno: lo sanno i protagonisti del romanzo di Yehoshua Kenaz, Voci di muto amore, ambientato – almeno nella prima parte, la più sostanziosa – in una casa di cura per lungodegenti nei pressi di Tel Aviv. Sono tutti lì dentro da tempo e non sanno quando e se usciranno. Qualcuno di loro non uscirà mai. Sono soli, o quasi, e non hanno più nessuno al mondo o, quando hanno dei famigliari, questi non sono poi così ansiosi di ritrovarseli in casa. Eppure, anche all’interno dell’ospedale e malgrado gli screzi e le difficoltà relazionali, tra di loro si crea una strana sorta di solidarietà e un legame che assomiglia all’affetto e che viene cementato dall’abitudine. I vecchi di Kenaz suscitano pietà nel lettore anche perché non rappresentano tanto una condizione “metafisica” – come, per esempio, certi personaggi vecchi e senza tempo di Samuel Beckett, per fare un esempio -, ma perché sono ritratti con una concretezza terribile. Oltretutto, chi legge il romanzo e se li trova davanti non può fare a meno di interrogarsi sul proprio rapporto con l’invecchiare: come reagiremmo noi se ci trovassimo nella stessa situazione?
Il romanzo di Kenaz è polifonico: tanti sono i personaggi e l’autore ne registra le voci, le manie, i tic, le caratteristiche.
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tutto l’articolo : cadavrexquis: “Voci di muto amore”: l’inferno dell’invecchiare.

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