L’amicizia verso Israele, avamposto democratico in un Medio Oriente sconvolto dalla guerra, dal terrorismo e da dittature brutali, ora ci appare scontata. Centrodestra e Pd – vale a dire forze che ancora rappresentano il baricentro della politica italiana – hanno introiettato questa amicizia (che non significa chiudere gli occhi di fronte a scelte controverse come gli insediamenti) nel loro Dna costitutivo. Ma è necessario ricordare che non sempre è stato così, questa simpatia verso gli ebrei è un sentimento recente, diciamo degli ultimi vent’anni. Basta avere un po’ di memoria storica per ricordare che tutto l’arco politico italiano, con l’eccezione dei radicali, dei repubblicani e dei liberali, è stato completamente sbilanciato a favore della causa palestinese. In anni in cui, oltretutto, l’Olp e tutte le varie frange del nazionalismo palestinese ammazzavano civili in Europa, Italia inclusa. Nemer Hammad, ambasciatore Olp in Italia, era di casa al Sismi e alla Farnesina di Giulio Andreotti ed Emilio Colombo. Per non parlare del Psi di Craxi e, soprattutto, del Pci berlingueriano. Proprio nella sinistra comunista si consumò la frattura più profonda e dolorosa con l’ebraismo politico, fino ad allora (e a ragione) considerato una costola del movimento socialista e democratico internazionale, dai tempi di Herzl e Mazzini. Un trauma che ebbe origine dalla guerra del 1967 e dalla decisione del Pci, presa a Mosca, di schierarsi con i Paesi arabi che provavano a cancellare un giovane Israele dalla mappa geografica.
Da allora e per merito anche di personalità come Achille Occhetto, Giorgio Napolitano, Piero Fassino, Walter Veltroni, Umberto Ranieri, quella ferita è stata rimarginata e la sinistra italiana del Pds e poi del Pd è tornata amica di Israele. Così come, grazie a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, lo è stata la destra, Lega compresa.
Sorgente: Testacoda in Medio oriente – La Stampa
