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Per i terroristi islamici, di radice mediorientale o europea, fa lo stesso, al posto del nulla c’è il paradiso, al posto del deprezzamento della vita sta la vita eternamente fiorente di un giardino delle delizie, e mentre i primi conquistano il nulla con il nulla, i secondi si trasferiscono nel bengodi coranico autocomprendendosi come fedeli, i migliori tra i fedeli. E in questo senso aveva invece ragione Manuel Valls, c’è qualcosa di inspiegabile nelle stragi islamiste, almeno per chi non è un credente islamico. Noi siamo accecati dalla scelta degli obiettivi dei terroristi, pensiamo che ci colpiscono il 14 luglio, nei caffè della movida parigina, alle Ramblas perché vogliono punirci dei nostri peccati di orgoglio occidentale, di sensualità e ricchezza del modo di vita. Ma prima di tutto la bella morte degli shahid è un dovere religioso, è la loro liturgia primigenia, quella che deriva dalla dottrina musulmana e dalle storie del Profeta. Per questo sono vane le razionalizzazioni storiche e ideologiche, come quella di Cercas, e sono inani tutti i tentativi di spiegazione che non partono dalla Sharia.
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Sorgente: Ciò che non capiamo dopo Barcellona: per gloro infliggersi morte è felicità – Il Foglio
