Però la ragione più importante per cui i dati non sono quasi mai duri, bensì ballerini, incerti, flessibili, elastici, è che le parole con cui ne parliamo sono spesso quelle del linguaggio comune, che è per sua natura vago, impreciso, e quindi ampiamente stiracchiabile in una direzione o nell’altra. Prendiamo il numero dei poveri in Italia. Quanti sono?
Ebbene, potrà sembrare incredibile ma la risposta a questa domanda può tranquillamente oscillare fra 2 milioni e mezzo e 45 milioni, ossia fra il 4 e il 75 per cento della popolazione, a seconda dei dati che decidiamo di utilizzare. In pratica vuol dire che, qualsiasi cosa vogliamo credere, non è difficile trovare una conferma alle nostre credenze. Vogliamo provare?
Supponiamo di essere il governo e di voler credere che le cose vadano bene. Allora ci basterà usare i dati Istat della povertà assoluta (vivere in una famiglia che guadagna meno del paniere di sopravvivenza: il 4,9 per cento nel 2008) lasciando perdere quelli della povertà relativa (guadagnare meno della metà della famiglia mediana: 13,6 per cento).
E se invece siamo i sindacati, o la Chiesa, o un’associazione benefica, e ci verrebbe naturale credere che i poveri siano tantissimi? Nessun problema, possiamo giocare un po’ sulle parole. Possiamo definire la povertà come deficit, ovvero spendere più di quello che si guadagna (non arrivare alla fine del mese): usando la rilevazione mensile dell’Isae sui bilanci delle famiglie possiamo salire al 18,1 per cento. Oppure possiamo, con un piccolo salto semantico, definire la povertà come il rischio di diventare poveri: usando i dati Eurostat possiamo arrivare al 19 per cento.
Non ci basta ancora? Siamo insaziabili? Vogliamo strafare? Nessuna paura, per i più esigenti è stato inventato il concetto di «povertà soggettiva»: sei povero se pensi che il tuo reddito non sia «adeguato», ovvero inferiore alla cifra che consentirebbe di condurre un’esistenza «senza lussi ma senza privarsi del necessario». In questo caso i poveri diventano il 70 per cento della popolazione italiana.
Una domanda, cinque risposte. È un problema? Assolutamente no, perché più definizioni di povertà si usano più cose siamo in grado di imparare sulla realtà. L’importante è non farsi incantare dalle cifre, specie se sono estreme (troppo piccole o troppo grandi). Di fronte a qualsiasi cifra sui poveri, alta o bassa che sia, conviene fermarsi un attimo e farci un’altra domanda: perché, fra le molte definizioni di povertà, è stata scelta proprio quella?

breve lezione di metodologia della ricerca sociale o semplice onestà intellettuale?
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entrambi, direi
essere perlomeno d’accordo sui dati dovrebbe essere la prima operazione per le politiche sociali. e invece ….
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