Ma quello che in assoluto ho preferito è La corta notte delle bambole di vetro, del 1971, che vede tra i protagonisti celebrità come Ingrid Thulin e Mario Adorf. Anche qui all’atmosfera contribuisce l’ambientazione: una Praga ancora immersa nel grigiore del socialismo reale, con il quartiere di Malastrana spoglio di turisti. Qui un giornalista americano viene trovato apparentemente morto e portato in ospedale. In realtà non è morto: la sua coscienza è vigile, ma lui non riesce né a muoversi né a svegliarsi. Quello che è successo e lo ha portato lì emerge attraverso una serie di flashback che formano la spina dorsale del racconto. A scomparire stavolta è una ragazza ceca, amica e amante del giornalista, che nonostante gli avvertimenti della polizia si ostina a voler indagare per conto suo. Alla fine scopre che c’è un club segreto, composto per lo più di vecchi, che rapisce e droga le ragazze della città, le usa per le sue orge e infine le uccide. C’è anche un elemento di critica socio-politica nella rappresentazione di questi crimini e anch’esso rispecchia l’epoca in cui il film è stato girato: è la società vecchia e conservatrice che paralizza la vitalità dei giovani e ne succhia le energie. Inutile aggiungere che per il giornalista non c’è via di scampo, perché quando sta per risvegliarsi e, sul tavolo dell’autopsia, riesce a muovere una mano, il patologo gliela blocca e lo uccide definitivamente. Anche lui era partecipe del complotto. Il film si conclude sulla bocca dell’amica Ingrid Thulin spalancata in un urlo.
