Ricordando Tommaso Padoa-Schioppa, di Antonio Padoa-Schioppa, scritto raccolto da Anna Tempia

Antonio Padoa-Schioppa, Milano, Chiesa di San Marco, 20 gennaio 2011

Ricordando Tommaso Padoa-Schioppa

Se Tommaso avesse dovuto programmare l’annuncio della sua morte, credo che gli sarebbe tornata alla mente la procedura immaginata in un breve racconto di Campanile, il suo diletto Campanile tante volte letto e citato agli amici, il racconto intitolato “il povero Piero”. Per non ferire la sensibilità dei parenti, la notizia del decesso dello zio viene data con un telegramma il cui testo, che nella prima versione suonava crudo, fu modificato con successive attenuazioni sulla gravità del male, sino alla redazione finale, nella quale, dopo aver comunicato che “lo zio Piero sta bene”, sempre per non allarmare i parenti, inizialmente convocati, si concludeva con la frase: “restate pure dove siete”.

Noi stasera invece siamo qui: per ricordare, attraverso l’ascolto di una musica sublime che Tommaso molto amava, la sua vita e la sua persona. Una persona che molti dei presenti hanno conosciuto: alcuni di noi per una vita, altri negli anni di studio milanesi ormai lontani, altri solo più tardi, attraverso i suoi articoli, i suoi libri, le sue interviste degli ultimi anni.

Tommaso, lo sappiamo bene, era ormai divenuto un personaggio di spicco non solo nazionale, ma europeo e internazionale. La traccia che egli lascia nella vita pubblica italiana ed europea è profonda. La dimostrazione della necessità della moneta unica, l’euro, al quale egli ha dato un impulso decisivo, ormai riconosciuto. Il rifiuto della politica di breve respiro in favore di un’azione di governo lungimirante, che guardi al futuro e prepari valide condizioni di vita per chi verrà dopo di noi, a cominciare dai giovani di oggi: un obbiettivo da lui tenuto ben fermo con mano sicura nei due anni in cui è stato al governo, pur nel frastuono assordante e desolante di un’Italia politica dalla veduta corta.

L’iniziativa, alla quale ha lavorato sino agli ultimi giorni della sua vita, di una riforma degli standards delle monete a livello planetario, concepita come risposta della politica agli squililbri indotti dalla globalizzazione. Sono, queste, alcune soltanto tra le imprese di rilievo storico alle quali Tommaso ha dato un contributo essenziale di pensiero e di azione.

L’efficacia indiscutile (lo dicono i fatti) del suo operare era legata ad almeno due elementi. Da un lato, ad una capacità eccezionale di analisi e di sintesi concettuale (un autorevole commentatore ha parlato a suo proposito di “cristal clear intellect”), e questo su temi anche tecnicamente complessi: che si trattasse di sistema dei pagamenti o di vigilanza bancaria, di mercati finanziari o di sistemi contabili, di borse o di derivati, Tommaso era in grado di descrivere con un limpido linguaggio comune la realtà dei fatti, i difetti del sistema, i rimedi necessari.

Anche i suoi articoli e i suoi libri sono modelli di chiarezza e di profondità. D’altro lato, Tommaso aveva un autentico dono per il rapporto con chi doveva e poteva decidere, al livello tecnico come al livello politico: che si trattasse di convincere un collegio o invece di colloquiare con un politico, Tommaso sapeva come condurre il discorso, con logica impeccabile, con convinzione, con realismo, con pacatezza, lungo i canali che avrebbero portato al consenso dell’interlocutore. Due doni ben rari a trovarsi in una stessa persona. A ciò si aggiungeva, nei rapporti di lavoro con i tanti collaboratori di ogni grado, un rispetto e un’attenzione per la persona di chi lavorava con lui che suscitava in ciascuno di loro entusiasmo e dedizione commoventi, che duravano poi immutati nel tempo. Sapeva, d’altronde, anche essere severo, caustico, sferzante; ma sempre con i forti, mai con i deboli, mai con chi riteneva in buona fede.

Se ora ci chiediamo se vi sia un filo conduttore, un filo rosso che lega tra loro questi caratteri distintivi della sua opera, la risposta è semplice e complessa ad un tempo. Non di un solo filo si tratta, ma di un intreccio di fili. La convinzione che non gli uomini, ma le istituzioni possano diventare più sagge se si abbia la capacità di adeguarle alla realtà che muta. La fiducia che un’argomentazione razionale, spiegata con chiarezza tale da essere intesa senza bisogno di ricorrere a tecnicismi, sia in grado di convincere un interlocutore capace di ascolto, purchè chi argomenta creda davvero in ciò che dice. La concezione del potere come servizio e del servizio pubblico come altissima funzione civile, a favore del cittadino: un’idea, quest’ultima, alquanto inusuale in Lombardia, che egli maturò giovanissimo ispirandosi ai modelli di altri paesi, in particolare della Francia, conosciuta e amata attraverso amicizie di una vita. La consapevolezza che in un mondo di violenze e di guerre solo il superamento delle sovranità nazionali nella prospettiva del federalismo politico possa preparare un futuro di pace, secondo l’intuizione che fu già di Dante, più tardi del Kant cosmopolitico e dei federalisti americani. E che nel Novecento, dopo la tragedia immane delle due guerre mondiali, nutrì il pensiero e l’azione politica di uomini come Altiero Spinelli e Jean Monnet. E’ l’ideale che ha generato l’Unione europea, dalla Ceca del 1950 sino all’Euro dei nostri giorni: una costruzione grandiosa, anche se tuttora incompiuta, alla quale Tommaso ha dato un luminoso apporto di pensiero e di azione. Credo di non sbagliare se affermo che egli ha esercitato, negli anni dell’euro, un ruolo analogo a quello che Altiero Spinelli, Jean Monnet e Mario Albertini hanno svolto nei decenni della genesi della Comunità europea, dell’istituzione del Parlamento europeo e del Mercato unico.

Perché per lui l’euro costituiva, al fondo, una via maestra, una tappa potenzialmente decisiva per raggiungere l’unificazione politica dell’Europa. Per questo si è battuto con successo per la moneta unica. Tommaso riteneva che la politica, la politica alta, la sola che lo interessasse, non sia l’arte del possibile ma sia invece la capacità di rendere possibile ciò che è giusto e necessario. Alla radice, alla fonte di un’attività senza soste dispiegata da Tommaso nell’arco di quattro decenni, sta una concezione precisa dell’uomo e della vita, che spiega tante cose di lui, della sua carriera, della sua opera. Alla base vi era la convinzione che il fine non giustifica mai i mezzi. E che pertanto non bisogna in nessun caso, per nessuna ragione al mondo, derogare alla correttezza personale e al rigore etico per conseguire posizioni di potere o vantaggi di quasiasi natura. Alla base vi era inoltre in lui la fiducia che la parte sana e morale di un individuo e di un popolo possa prevalere sulle pulsioni distruttive dell’egoismo e dell’interesse, che pure (egli lo sapeva bene) fanno parte della natura umana individuale e collettiva.

Un atteggiamento, questo, che il cittadino comune capiva molto meglio di tanti esponenti dell’élite: quanto spesso, negli ultimi anni – decine di volte, e rammento solo le occasioni in cui eravamo insieme nelle vie di una città itaiiana – ho assistito alla scena di persone che (sorprendendosi che egli andasse a piedi, senza auto e senza scorta) lo fermavano in strada, sempre e soltanto per dirgli semplicemente “grazie”. Questo era per lui, credetemi, più gratificante di ogni elogio pubblico, che peraltro in Italia gli è stato largamente risparmiato, almeno sino a un mese fa.

Mentre dall’estero, i riconoscimenti e i messaggi di questi giorni sono commoventi perché esprimono concordemente il rimpianto per una perdita che molti in Europa (ma anche negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone, in Brasile e in altri Paesi) ritengono grave, quando non addirittura irreparabile: in tanti messaggi si legge, in varie lingue, a proposito della sua scomparsa, la parola “tragedia”.

La fonte vera della sua azione scaturiva dunque da un sostrato di valori alti.

Anche il rapporto straordinario con i figli e con il padre, anche il legame profondo con il fratello e con le sorelle, anche il valore dell’amicizia erano per lui aspetti essenziali dell’esistenza. La sua vita, negli ultimi tredici anni Tommaso la ha vissuta in comunione perfetta con la persona incomparabile che è Barbara Spinelli, che stasera saluto qui con commozione. E’ stata, quella di Tommaso, una vita intessuta di vere sofferenze ma anche di vera felicità. Una vita nutrita, pur nel ritmo incalzante del suo lavoro, di ininterrotte riflessioni personali e di quotidiane letture e meditazioni sui grandi del pensiero, della religione e dell’arte.

Tommaso amava la vita. Si rideva spesso, con lui. E certo non solo leggendo Campanile. Anche per questo abbiamo scelto, con Barbara, una fotografia di Tommaso sorridente, accompagnata – nel cartoncino che avete trovato all’ingresso – dalla citazione di tre frasi da lui dettate in ricordo di Paolo Baffi, ma che a me paiono molto appropriate anche per descrivere alcuni aspetti di lui.

La sua vita è stata interrotta. Bruscamente, drammaticamente, quasi con un misterioso simbolismo preordinato dal destino, in una sera in cui avevamo contemplato per sua iniziativa il grandioso Michelangelo della Sistina e mentre egli si accingeva a salutare gli amici. Tommaso non sapeva di dover morire proprio ora.

Era al culmine delle sue capacità intellettive e costruttive. Ma era anche preparato alla morte. Chi lo ha conosciuto bene lo sa. Era cosciente di “aver combattuto la buona battaglia” e di “aver conservato la fede”, come ha scritto San Paolo. Era in pace con se stesso e col mondo.

Ora dobbiamo continuare senza di lui. E non sarà mai più la stessa vita,

almeno per alcuni di noi. Mai più. Ma la sua opera resta. Il suo esempio morale e civile resta. E resterà. La stessa sua fine prematura già comincia a mostrare segni di fecondità: da tante parti, anche inattese, non si vuole che le sue idee periscano con lui.

Stiamo per ascoltare il capolavoro di Mozart. Come sappiamo, è l’ultima

opera della sua vita, chiusa ad appena 35 anni. E le ultime note che egli ha scritto sono le prime note del Lacrymosa del Requiem. Avrei voluto che l’orchestra per un momento si fermasse. Ascoltiamo, pensando che, scritte quelle note, la vita del sommo artista si è spenta. Anche la vita di Tommaso si è spenta alle prime parole di saluto agli amici, quella sera.

Ma la musica del Requiem è stata completata. E l’opera di Tommaso continuerà.

Tommaso, non hai vissuto invano. Non sarai dimenticato.

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Caro Paolo

ecco il testo del ricordo di TPS fatto da suo fratello Antonio. Come vedi é un discorso che mescola vari piani tra il pubblico e il privato, e che io sento si deve portare a conoscenza di chi lo desidera ricevere.

Anna Tempia

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