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Ho già avuto più volte modo di evidenziare quello che a me sembra un risvolto ideologico, di stampo vetero-femminista, del considerare negativamente la decisione di molte donne di dedicare il loro tempo in prevalenza alla famiglia, al coniuge, ai figli, a genitori o altri familiari bisognosi di cura, anziché di porsi sul mercato del lavoro, delegando il lavoro educativo e di cura a istituzioni quali asili nido o case di riposo o a istituzioni residenziali sanitarie per anziani. Non si capisce, in sintesi, perché un lavoro (educativo, di cura) sia autorealizzativo per la donna se svolto come dipendente e invece sia mortificante se svolto per familiari. Semmai da proporre sarebbe che almeno una parte del denaro che la collettività risparmia per il lavoro educativo e di cura dei familiari sia data alla stessa donna (o anche, se del caso, peraltro raro, all’uomo), per rendere economicamente meno gravosa economicamente tale scelta.
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