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Minniti crede legittimamente d’incarnare una svolta culturale nel suo campo politico, quell’idea che fa dell’ordine pubblico, a sinistra, sempre materia di accademia sociologica, un ordine di pensiero all’interno del quale purtroppo ancora prevale l’idea che l’immondizia sociale sia un prodotto del capitalismo cattivo, che i banditi siano rivoluzionari mancati, e che l’immigrazione sia solo materia di carità, e non la sfida del secolo. Così Minniti rovescia l’identità veltroniana del multiculturalismo, la stagione che spinse Enrico Letta a nominare Cecile Kyenge ministro. “Sicurezza è libertà”, ripete. E questo ministro di sinistra sembra allora voler dire che la sicurezza è bipartisan, come l’acqua e i binari del tram. Ecco allora l’accordo con la Libia sull’immigrazione, ecco i patti con l’Islam italiano perché le moschee siano registrate, perché gli imam predichino in italiano. “C’è una evidente correlazione tra terrorismo e mancata integrazione. Sull’immigrazione si giocano gli equilibri dentro le democrazie occidentali nei prossimi anni. Non è un tema di ordine pubblico, né può essere affrontato con soluzioni facili, spot”, che siano quelle dell’accoglienza spensierata o quelle torve del filo spinato. “La visione riformista deve essere insieme complessa e popolare. Riformismo, secondo me, significa avere una visione, e intorno a questa visione costruire un consenso. Fuori da questo campo ci sono i fascismi e i populismi”.
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