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Sulle orme degli antichi che hanno equiparato la moderazione con la saggezza pratica, Montesquieu ha sostenuto in Lo spirito delle leggi (1748) che la moderazione è la virtù suprema del legislatore, insistendo allo stesso tempo sul fatto che la moderazione è molto più che il giusto mezzo tra due estremi. Scrivendo in questi termini il filosofo si riferiva contemporaneamente a più questioni: a un certo tratto caratteriale (moderazione come prudenza, temperanza e autocontrollo), a uno stile di azione politica (contrariamente all’estremismo e al fanatismo) e a un insieme unico di accordi istituzionali e costituzionali. Le dimensioni istituzionali della moderazione sono emerse chiaramente in The Federalist Papers (1787-88), i cui autori si sono riferiti a Montesquieu in numerose occasioni come «l’oracolo». Gli autori, James Madison, Alexander Hamilton e John Jay, hanno capito che la libertà e la prosperità in qualsiasi stato dipendono dall’esistenza di un saggio equilibrio tra gruppi e classi nella società, nonché su una architettura di potere che includa l’equilibrio e la separazione dei poteri: federalismo, revisione giudiziaria e bicameralismo. È questo equilibrio, fragile e costantemente minacciato, a impedire a ognuna di queste fazioni di sconfinare nel campo altrui ottenendo il potere assoluto sulla società – cosa che Washington temeva per il futuro della sua repubblica statunitense.
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Sorgente: E se la moderazione fosse la miglior virtù? | L’indiscreto
