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Le residenze per anziani del nostro paese faticano a diventare “farfalle”. Molte restano ostinatamente bruchi con la loro “indefinita” bruttezza, i loro arredi di comunità, la loro incapacità di creare giornata di vita degne di essere vissute per residenti, professionisti e famigliari e soprattutto per le persone che vivono con demenza per le quali la contenzione fisica e farmacologica spesso restano l’unica strada percorsa. Cosa porta nel cuore chi crede che una persona sia “de-mente” ovvero “fuori dalla propria mente”? Pensa che queste persone non capiscano, non percepiscano emozioni e sensazioni, siano “vuote” e che, persa la ragione e il linguaggio esse siano “ridotte a nulla”. E con questi pensieri nel cuore costruirà la “non relazione”. L’idea drammatica è che nella mente di chi assiste si fa così strada la viscida credenza che mina ogni possibilità di cura, ovvero che per queste persone non si possa fare nulla e che solo un “farmaco” possa “tranquillizzarle”. In “Appunti sulle politiche sociali, n. 1/2023 (242)
