Le riflessioni di Ferruccio De Bortoli:
«Ci siamo illusi in tutti questi anni che il 25 Aprile diventasse veramente una giornata di memoria comune. La Repubblica ha ormai la vita media di un italiano. Il tempo di una generazione dovrebbe essere la garanzia della formazione di una coscienza collettiva.
Un così lungo periodo di democrazia repubblicana non è però bastato per provare insieme —senza amnesie o inutili distinguo — orrore e vergogna per la tragedia di una dittatura che trascinò l’Italia in guerra. Cioè per fare i conti, fino in fondo, con la Storia, scrollandoci di dosso, per esempio, l’autoconsolatoria retorica degli “italiani brava gente”.
Ottant’anni non sono stati sufficienti perché tutti maturassero orgoglio e riconoscenza, senza troppa retorica, per il coraggio dei partigiani e di tutti coloro che si ribellarono al nazifascismo. Né per esprimere meglio la gratitudine nazionale per i militari che dissero no a Salò, finirono internati e dimenticati nel Dopoguerra.
Noi italiani del secolo dopo, che respiriamo un’aria di libertà come se fosse una condizione naturale della Storia, avremmo avuto lo stesso coraggio di quei nostri concittadini? E rischiare la vita, anche dei familiari, per il proprio Paese?».
De Bortoli invita a «recitare una sorta di preghiera laica: rileggere le Lettere di condannati a morte della Resistenza… Parole strazianti, profonde, di grande amore per l’Italia… Quasi 80 anni dopo dovremmo domandarci se non sia il caso, almeno qualche volta nella nostra immemore attualità, di chiedere noi perdono a loro».
