In questi giorni avrete sicuramente sentito parlare della denatalità italiana. Questo perché sono state pubblicate le ultime rilevazioni di ISTAT su natalità e fecondità nel Paese che, in breve, dicono che nel 2023 le nascite sono state 379.890. È il numero più basso da quando l’Italia è unita.
Ed è un dato che conferma un trend negativo che dura ormai da anni (rispetto al 2008 il calo è del 34%) e che pare si confermerà anche nel 2024.
Sembrerebbe una notizia e molti infatti l’hanno trattata come tale, anche con una certa enfasi. Per noi, che seguiamo il tema da tempo con la serie giornalistica Denatalitalia, non lo è.
È infatti un problema strutturale complesso le cui conseguenze, a partire dal welfare, paiono però poco note alla maggior parte della popolazione.
Ma, ancor più grave, sembrano non essere chiare alla politica, che appare incapace di comprendere e affrontare il problema.
Nell’ultimo biennio, nonostante gli annunci, il Governo Meloni non ha varato misure significative a sostegno della natalità e i segnali in vista della Legge di Bilancio non sono incoraggianti.
Eppure la denatalità mette a forte rischio la tenuta del nostro sistema sociale. Proprio per questo stiamo studiando il suo impatto sull’Italia e sull’Europa, le politiche che (non) adottiamo per affrontarla e le soluzioni – anche di secondo welfare ovviamente – che potremmo mettere in campo per provare a cambiare le cose.
Anche guardando al contributo dei migranti e alle iniziative adottate da altri Paesi come Francia, Germania, Ungheria, Svezia e Portogallo.
Oggi abbiamo pubblicato un nuovo articolo di Denatalitalia che speriamo sia utile a continuare la riflessione. Partendo dalle imminenti elezioni americane e con il contributo di esperti autorevoli, Paolo Riva riflette su come il dibattito politico in diversi Paesi tocchi (e strumentalizzi) sempre più la denatalità. E come le politiche che questo dibattito produce finiscano per essere fuori fuoco, insufficienti e inefficaci.
