Luigi Colombini, L’ INTERVENTO DELLA GIUSTIZIA SUL FENOMENO DELL’IMMGRAZIONE ALLA LUCE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E NAZIONALE, marzo 2025

L’ INTERVENTO DELLA GIUSTIZIA SUL FENOMENO DELL’IMMGRAZIONE ALLA LUCE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E NAZIONALE

Di Luigi Colombini

Già docente di legislazione ed organizzazione dei servizi sociali presso Università Statale Romatre – Corsi DISSAIFE  e MASSIFE

PREMESSA

Intorno alla complessa condizione degli immigrati e delle immigrate, e delle loro famiglie, dei bambini e delle bambine immigrati, ritengo opportuno richiamare la testimonianza di Magdi Allam, egiziano divenuto cittadino italiano, che nella sua autobiografia “Io amo l’Italia, ma gli italiani la amano?” (Edizione Mondadori, 2006), oltre a narrare la propria esperienza di studio e di lavoro come giornalista, vissuta nel nostro paese, mette in assoluta evidenza, in quanto sociologo, lo stesso concetto dell’esistenza umana, sottolineando dapprincipio “il proprio rifiuto ad una concezione della vita che non metta la “persona” nella condizione di essere artefice e protagonista della propria esistenza. Dove la distanza tra il sistema dei valori che regolamenta l’ attività e determina il destino della collettività da un lato, e l’interesse concreto del singolo, dall’ altro, è tale da annullare e calpestare il valore e la dignità della persona”.

Le enunciazioni suddette si attagliano direttamente agli articoli 2, 3, 13,16 della Costituzione, nonché alla Dichiarazione dei diritti dall’uomo di New York del 1948, alla Carta sociale europea del 1999, i regolamenti europei intorno alla complessa problematica delle persone immigrate e le loro famiglie, nonché il CEDU, pilastro europeo dei diritti umani.

Per converso, nella assoluta ignoranza e ostinazione nel considerare l’ immigrato “clandestino” e/o “illegale”, “irregolare”, “sommerso” che prova a venire nel nostro paese per esprimere il proprio diritto all’esistenza ed alla protezione, non già una “persona” ma un nemico, un intruso, un soggetto in ogni caso pericoloso per la sicurezza nazionale, e quindi perseguitarlo e colpevolizzandolo nella propria condizione di disagio e di assoluto bisogno e diritto di vivere, sono state portate avanti norme legislative ed atti amministrativi che sono state oggetto di ricorsi e di reazioni a tutela dei loro propri diritti ed interessi, a fronte dei quali la magistratura, essendo l’Italia uno Stato di diritto, ha espresso in molteplici occasioni sentenze che hanno sottolineato e confermato l’obbligo all’osservanza delle legislazioni internazionali, europee che l’Italia ha sottoscritto, nonché quelle italiane, e quindi in definitiva l’illegittimità di molteplici provvedimenti disposti contro le persone immigrate, scatenando l’ira funesta di forze politiche che non hanno esitato ad additare ed individuare alla loro opinione pubblica addirittura i magistrati che hanno applicato la legge, a loro avviso, in contrasto con la decisione “politica” presa per ostacolare ed impedire l’ingresso in Italia degli stessi immigrati, nonché a lumeggiare in prospettiva una magistratura “servente” alla politica, ignorando addirittura che Carlo Secondat, Barone di Montesquieu, circa tre secoli or sono nella sua fondamentale opera “L’esprit des lois”, distinse i tre poteri assolutamente indipendenti ed autonomi l’uno all’altro, ossia il potere legislativo (il Parlamento), il potere esecutivo (il governo, che secondo il Presidente degli Stati Uniti Abramo Lincoln era da considerare del popolo, per il popolo, con il popolo) ed il potere giudiziario (la magistratura), assolutamente ripresi pienamente e fatti propri nella Costituzione della Repubblica italiana.

LA VICENDA DEL CASO DICIOTTI

L’ accoglienza

Il 16 agosto 2018 (oltre sei anni or sono) la Nave “U. Diciotti” della Guardia Costiera prendeva a bordo 177 migranti e fino al 20 agosto 2018 rimaneva al largo di Catania in attesa dell’autorizzazione ad approdare in un porto italiano, e quindi alla fonda. Il 20 agosto 2018 la nave riceveva l’autorizzazione all’attracco nel porto di Catania, ma i migranti non venivano autorizzati a lasciare la nave, rimanendo quindi confinati sulla stessa fino al 25 agosto 2018.

Per aver impedito lo sbarco, l’ allora ministro dell’Interno fu accusato di sequestro di persona, omissione di atti d’ufficio e arresto illegale.

La consapevolezza dei diritti

Una volta sbarcate, un gruppo di persone era stato intercettato a Roma dal team di Legal Aid – Diritti in Movimento: qui era stato informato dell’illegittimo trattenimento e della grave violazione dei loro diritti fondamentali, tra i quali la violazione della libertà personale e la mancata possibilità di presentare richiesta di protezione tempestivamente come previsto dalle normative costituzionali e internazionali.

L’avvio della vertenza

Con l’avvocato Alessandro Ferrara, membro del team, furono informate della modalità di poter far valere i loro diritti in sede civile.

I migranti intraprendevano dinanzi al Tribunale di Roma una azione civile finalizzata a ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa della restrizione della loro libertà individuale in quanto, secondo la legge italiana e la normativa europea, internazionale e consuetudinaria, la nave della Guardia Costiera doveva essere fatta attraccare nel porto di Catania o, comunque, in un porto italiano.

La causa in primo grado si arenava dinanzi alla affermazione del difetto di giurisdizione sollevato dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero degli interni, convenuti dai migranti, e accolto dal Tribunale.

Il Tribunale, infatti, riteneva che l’atto di diniego all’attracco e, successivamente di autorizzazione allo sbarco, fosse da intendersi come atto politico e quindi non soggetto alla giurisdizione ordinaria.

La sentenza veniva impugnata dai migranti, e la Corte di appello di Roma, rigettava la domanda non essendo individuabile una “colpa” della pubblica amministrazione.

Il ricorso in Cassazione

La pronuncia veniva impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione, il cui presidente assegnava il fascicolo alle Sezioni Unite, che si è espressa con Ordinanza, 7 marzo 2025, n. 5992.

Il principio della separazione fra discrezionalità politica ed atti amministrativi

La Suprema Corte dapprima ha vagliato il ricorso incidentale, riconoscendo la giurisdizione della magistratura ordinaria, affermando infatti, “che trattasi di condotta meramente materiale e non connotata da discrezionalità tipica delle decisioni politiche, non potendo la stessa rientrare nelle scelte di politica migratoria che compete al Governo”.

Nel contesto di tale affermazione la Suprema Corte ha richiamato in estrema sintesi i capisaldi giuridici di riferimento, che di seguito si riportano.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente fornito, con la sentenza n. 27177 del 22/09/2023, indicazioni particolarmente chiare su tale nozione, che in questa sede giova interamente richiamare”

L’art. 7, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. amm. ─ riprendendo una previsione già contenuta nell’art. 31 del Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato (approvato con il regio decreto n. 1054 del 1924), e, prima ancora, nell’art. 3, comma 2, della legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (legge n. 5992 del 1889) ─ esclude dall’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo gli atti ed i provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico. Per qualificare un atto come politico, la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2022, n. 4636) richiede due requisiti:

sotto il profilo soggettivo, l’atto deve provenire da un organo preposto all’indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello;

sotto il profilo oggettivo, l’atto deve essere libero nel fine perché riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici, deve concernere, cioè, la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione”.

È ritenuto tale non l’atto amministrativo che sia stato emanato sulla base di valutazioni specificamente di ordine politico, ma solo l’atto che sia esercizio di un potere politico”.

La nozione di atto politico è di stretta interpretazione e ha carattere eccezionale, perché altrimenti si svuoterebbe di contenuto la garanzia della tutela giurisdizionale, che la Costituzione assicura come indefettibile e con i caratteri della effettività e della accessibilità”.

Nel prosieguo delle più ampie esplicazioni di quanto assunto, la Suprema Corte richiama altresì la sentenza n. 81 del 2012, con la quale la Corte costituzionale ha stabilito che gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto.

Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.

E tra tali vincoli rilievo primario ha certamente il rispetto e la salvaguardia dei diritti inviolabili della persona.

L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, “va certamente escluso che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale.

Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione.

Non si è di fronte, cioè, ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali.

Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini”

Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo”.

In definitiva la Suprema Corte, si sofferma sul rapporto fra “politica” (scienza dell’ arte dei governo, che definisce le strategie dell’azione in relazione agli obiettivi da perseguire nel rispetto della Costituzione, e le tattiche, ossia la traduzione concreta delle strategie, a cui provvede la Pubblica Amministrazione, secondo quanto preconizzava Fayol nel 1916, con l’osservanza di tre principi fondamentali: Prevedere, Programmare, Provvedere.

La priorità dell’obbligo di soccorso in mare e il principio di umanità

Indi la Corte è passata a vagliare il ricorso principale, che consta in un unico motivo, proposto dai migranti.

La contestazione, in sostanza, verte sulla mancata valutazione della violazione di molteplici norme che imponevano lo sbarco, dando priorità alla tutela della vita umana e della sua dignità, rispetto a scelte politiche e amministrative che mirano a tutelare interessi di rango inferiore.

Pertanto lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco «nel più breve tempo ragionevolmente possibile» (Convenzione SAR, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso.

Le modalità dell’accoglienza

Per inciso nel contesto della sentenza vengono richiamate le due informative inviate alle Procure di Agrigento e Catania dal Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, salito a bordo della Nave Diciotti in data 23 agosto 2018, nelle quali tra l’altro si legge: «alle persone non è consentito scendere dall’imbarcazione malgrado non vi sia alcun atto motivato di limitazione della libertà personale disposto nei loro confronti da parte della competente Autorità, né alcuna apparente ragione pratica di impedimento»; «[vi è a bordo] … la presenza sia di un dispositivo di vigilanza interno a bordo della nave composto da squadre di quattro membri dell’equipaggio, di cui uno armato, che alternandosi sorvegliano costantemente il ponte dove sono alloggiati i migranti, sia di un nucleo di Forze di Polizia armato appostato sulla banchina ai piedi della scaletta di accesso al vascello»; «sul ponte funziona un sistema di videosorveglianza che rende visibile dalla plancia di comando ogni area della zona di vita dei migranti»; «nel momento della salita a bordo nella nave ai migranti soccorsi, insieme agli effetti personali, sono stati requisiti i telefoni cellulari e … non si era proceduto alla loro restituzione», essendo così ad essi impedita la «comunicazione con l’esterno, inclusa la possibilità di mettersi in contatto con i propri familiari e affetti».

Il richiamo all’osservanza delle Convenzioni internazionali

La Corte richiama nelle sue linee essenziali il quadro normativo all’interno del quale occorre collocare la vicenda ai fini della valutazione:

l’obbligo del soccorso in mare corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità;

come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare;

le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono, dunque, un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga sulla base di scelte e valutazioni discrezionali dell’autorità politica, poiché assumono, in base al principio “pacta sunt servanda”, un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna;

tale obbligo trova una più dettagliata enunciazione, con riguardo alla specifica attività di soccorso in mare, nella Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (c.d. Convenzione SOLAS, acronimo di Safety Of Life At Sea, del 1974, ratificata dall’Italia con legge 23 maggio 1980, n. 313), nella Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (c.d. Convenzione SAR, acronimo per Search And Rescue, anche nota come Convenzione di Amburgo: Data pubblicazione 06/03/2025 ratificata dall’Italia con legge 3 aprile 1989, n. 147, ha trovato concreta attuazione con il d.P.R. n. 662 del 1994, che ha attribuito il servizio di ricerca e soccorso alla competenza primaria del Ministero delle infrastrutture e trasporti che, all’uopo, si avvale del Corpo delle Capitanerie di Porto/Guardia costiera), nonché nella Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay sul Diritto del Mare del 1982 (c.d. Convenzione UNCLOS, acronimo per United Nations Convention on the Law of the Sea, ratificata dall’Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689);

in particolare la Convenzione di Amburgo, nel rispetto del principio di cooperazione internazionale, obbliga gli Stati costieri ad assicurare un servizio di “Search and Rescue” nelle zone marittime di competenza, ripartite d’intesa tra gli stessi, ed a coordinare tra di loro i vari servizi SAR; a tal fine, ciascuno Stato membro è tenuto a dotarsi di un Centro nazionale di coordinamento delle attività di soccorso (MRCC – Maritime Rescue Coordination Centre) nonché di appositi piani operativi che prevedano le varie tipologie di emergenza e, in relazione a queste, le competenze dei centri preposti; ciò al fine di «garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” (Capitolo 2.1.10); di «[…] fornirle le prime cure mediche o di altro genere» e di «trasferirla in un luogo sicuro» (Capitolo 1.3.2);

lo Stato responsabile di un’area SAR, in caso di emergenza in mare nella propria area di responsabilità, ha l’obbligo di intervenire assumendo, per il tramite del proprio Rescue Coordination Center (RCC) o Rescue Sub Centre qualora designati (RSC), il coordinamento delle operazioni di soccorso con l’impiego di unità SAR, ma anche con unità militari e/o civili;

ciò non toglie che tanto la Convenzione SAR (capitolo 3.1.9), quanto la Convenzione SOLAS, come interpretate dalla dottrina maggioritaria, prevedano un dovere di attivazione sussidiario in capo agli Stati che ne sono parte, nel senso che la mancata attivazione dello Stato competente impone agli altri Stati di collaborare per supplire alle necessità dei naufraghi e per portarli in salvo, e ciò a prescindere dalla nazionalità della nave che opera il salvataggio e, dunque, dai doveri dello Stato di bandiera…..

lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco «nel più breve tempo ragionevolmente possibile» (Convenzione SAR, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso; è solo con la concreta indicazione del POS, e con il successivo arrivo dei naufraghi nel luogo sicuro designato, che, infatti, l’attività di Search and Rescue può considerarsi conclusa;

nell’ottica della Convenzione SAR, sulla base dei successivi interventi che ne hanno integrato i principi fondamentali, per “luogo sicuro” si intende un “luogo” in cui sia garantita non solo la “sicurezza” – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo; nel caso di operazioni di soccorso a favore di migranti, il POS è determinato secondo le procedure concordate con il Ministero dell’interno (procedure operative standard n. 9/2015 del settembre 2015), quale dicastero competente Data pubblicazione 06/03/2025 in materia di immigrazione, anche per permettere gli specifici adempimenti di cui all’art. 10-ter del T.U. dell’immigrazione (identificazione dei cittadini stranieri soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare).

La risarcibilità

Riferendosi alla ricaduta in termini civilistici delle surrichiamate affermazioni, la Corte evidenzia che “sono tuttavia i connessi profili legati alla violazione della libertà personale dei migranti a segnare più propriamente la prospettiva nella quale occorre valutare la fattispecie in relazione alla dedotta responsabilità civilistica.

In tale contesto la libertà personale, oltre ad essere tutelata dall’art. 13 Cost. quale diritto inviolabile della persona, presidiato dalla riserva di giurisdizione e dalla riserva assoluta di legge, è riconosciuta quale garanzia minima ed imprescindibile di ogni individuo ai sensi dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948, ha trovato una dettagliata tutela, sul piano regionale in seno al Consiglio d’Europa, ai sensi dell’art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, e successivamente, a livello internazionale in seno alle Nazioni Unite, ai sensi dell’art. 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966.

La Corte, pertanto, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, la quale, attesa la completezza della pronuncia, non dovrà fare altro che quantificare l’entità del risarcimento.

OSSERVAZIONI

L’estrema complessità e gravosa situazione della condizione delle persone immigrate che si caratterizza quale fenomeno che ormai caratterizza non solo l’Italia ma anche i paesi europei, con conseguenti politiche di governabilità, di accoglienza, di integrazione, di osservanza del quadro del diritto internazionale, europeo, nazionale, porta a condividere quanto ipotizzato a suo tempo auspicato da Magdi Allam, con la istituzione di un Ministero dell’Integrazione, Identità nazionale e Cittadinanza, con il compito di definire, sovrintendere e finanziare una “via italiana all’integrazione”, affermare e valorizzare l’identità nazionale, perseguire il traguardo della cittadinanza secondo un nuovo modello di convivenza sociale e civile, con una strategia complessiva volta a favorire nell’immediato l rispetto delle leggi da parte degli immigrati, e da parte loro l’assunzione dei requisiti linguistici, culturali per integrarsi.

Secondo Magdi Allam, che è stato membro del Parlamento europeo dal 2019 al 2024, il governo, da parte sua, dovrà prendere atto che la materia dell’immigrazione non potrà più essere trattata dal Ministero dell’Interno, come è finora accaduto, perché esula e trascende la dimensione strettamente legata alla sicurezza.

Secondo Allam, sono tre i pilastri per una reale politica rivolta alle persone immigrate:

  • L’integrazione intesa come un dovere e non un atto facoltativo per chiunque scelga l’Italia come Stato di emigrazione dove migliorare la propria condizione esistenziale o come patria di adozione.

  • L’integrazione si realizza come processo di integrazione obbligatoria attraverso cui l’immigrato diventa gradualmente ma necessariamente parte integrante della nostra realtà giuridica, economica, culturale, sociale, fino ad acquisire diritti politici nel momento in cui diventa cittadino italiano condividendo la lingua , la cultura, i valori, l’integrazione sociale, il lavoro.

  • La consapevolezza che il traguardo dell’integrazione e della cittadinanza basata sull’identità nazionale italiana forte e coesa intesa come una cornice unitaria al cui interno possono convivere religioni, culture e lingue diverse.

La conclusione della vicenda “Diciotti”, per come ha avuto origine, si è svolta si è conclusa mette in evidenza che nello svolgimento delle azioni e dei programmi volti a definire le politiche proprie espresse dai governi che si sono succeduti nell’arco di circa quaranta anni, l’aspetto assolutamente fondamentale è connesso all’osservanza ed alla tutela, in ogni caso, dei diritti fondamentali della persona, sanciti solennemente nei consessi internazionali (Dichiarazione universale dei diritti umani, New York, 1948, Corte europea per i diritti dell’uomo – CEDU, 1950, Carta sociale europee (1999), Costituzione della Repubblica italiana (1948), intorno ai quali gli stessi governi sono tenuti all’osservanza, pena (come è avvenuto) alla soccombenza in caso di ricorsi e di vertenze.

In tale contesto è stata evidenziata la separazione fra atti politici (sui quali interviene la Corte costituzionale) ed atti amministrativi (sui quali interviene il Giudice ordinario e, in ultima istanza, la Cassazione), conferendo comunque ai titolari di diritti universalmente riconosciuti la titolarità a ricorrere in via giudiziaria.

Inoltre è stata implicitamente riconosciuta la valenza e l’importanza della società civile, per come si esprime ed agisce a tutela delle persone fragili ed indifese, come gli immigrati.

L’ ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, come peraltro già successo per la Sentenza n. 192 sull’autonomia differenziata) si configura quale vera e propria lezione di diritto, che anche per il futuro deve essere osservata.

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