ANALISI CRITICA DEL SISTEMA DI PROTEZIONE SOCIALE IN ITALIA IN CINQUANTA ANNI, di Luigi Colombini, maggio 2025

ANALISI CRITICA DEL SISTEMA DI PROTEZIONE SOCIALE IN ITALIA IN CINQUANTA ANNI, di Luigi Colombini

ex docente di legislazione ed organizzazione del servizi sociali – Università Statale Roma TRE, corsi DISSAIFE E MASSIFE

Collaboratore del SUNAS – Redattore di ”OSSERVATORIO LEGISLATIVO SOCIO-SANITARIO SUNAS

PREMESSA

Nel secolo scorso, la complessa problematica di quello che nell’ avvicendarsi degli anni può essere definito il sistema di protezione sociale, ha preso avvio dagli eventi già maturati con l’avvento del secolo dei “lumi”, il ‘700, sfociato nella rivoluzione francese del 14 luglio 1789, e nella Costituzione del 1791, che in effetti ha prefigurato lo stato laico (del quale fu il primo vate Baruc Spinoza nel ‘660), nel quale ambito l’assistenza è stata intesa quale diritto, al pari dell’istruzione, e considerata “debito nazionale”.

In Italia l’analogo processo di laicizzazione dello Stato ha portato, alla fine dell’ 800, su impulso di Francesco Crispi, ex garibaldino e Primo ministro, alla sottrazione alla Chiesa dell’assistenza, con la conduzione nell’alveo del sistema pubblico delle “Opere Pie”, disseminate in tutto il territorio nazionale e trasformate in Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB) , e aventi quale “missione” l’assistenza a specifiche categorie di persone e loro famiglie, secondo una loro particolare condizione sociale (ciechi, sordomuti, disabili, orfani, orfane, vedove, poveri, indigenti, senza dimora, vecchi, ecc. ecc.).

In effetti tale “sistema” ha qualificato fino all’avvento del ventennio fascista lo stato assistenziale, che è proseguito con la politica dell’ entificazione” del bisogno: analogamente alla configurazione dello stato corporativo fascista, sono state individuate specifiche categorie di “sudditi” suddivisi per aree di bisogno a cui corrispondere servizi e prestazioni, sia nel settore sanitario che assistenziale: ECA, per l’assistenza generica, ONIG, ONAOPAG, ONC, ONMI, ENPAS, INAM, INAIL, ENPDEP, INADEL. ENAOLI, ecc. ecc.

A tale proposito si sottolinea che secondo una indagine fatta nel 1960, esistevano in Italia 45.000 enti o organismi assistenziali, a carattere nazionale o locale.

Nel dopoguerra con la Costituzione della Repubblica sono state gettate le basi per la costruzione di un rinnovato sistema di protezione sociale, nel contesto di politiche di “welfare”, con il riconoscimento sia del “diritto di cittadinanza”, sia del principio di sussidiarietà che di solidarietà (art. 2, 3, 5, 32, 38, 39, 116,117, 118, 119 in particolare).

A tale riguardo si ricorda Il basilare convegno di Tremezzo del 1946, promosso ed organizzato da Emilio Sereni, Ministro dell’assistenza e della ricostruzione post-bellica nel primo Governo De Gasperi 1946-1947, dove vennero indicate le basi da cui partire per definire lo Stato sociale, con il primo riconoscimento della figura dei “nuovi” Assistenti sociali, opportunamente preparati, intesi quali agenti di cambiamento volti a promuovere la “persona” ed emanciparla dalla condizione di disagio e di bisogno, nella prospettiva di organizzazione lo sviluppo della comunità secondo i principi, i metodi e le tecniche del Servizio Sociale Professionale, al quale diede poderoso impulso Adriano Olivetti, creatore sia della prima comunità di welfare aziendale nel contesto dello stabilimento di Ivrea, sotto la direzione di Paolo Volponi, assicurando agli operai ed alle loro famiglie tutto il complesso delle prestazioni sociali necessarie a corrispondere ai loro bisogni essenziali, sia del CEPAS, per la formazione degli Assistenti Sociali, e la collegata rivista “Comunità”.

Il presente saggio prende le mosse dalla legge 22 luglio 1975, n. 382, Norme sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione, (cinquanta anni or sono), che in effetti ha delineato, a seguito dei lavori della .Commissione presieduta a diretta dal prof. Massimo Saverio Giannini, il nuovo ordinamento ed assetto amministrativo della Pubblica amministrazione a livello statale, regionale e comunale.

I derivanti DPR n. 616/77, n. 617/77 e la Legge n.641/78, dopo l’ istituzione delle Regioni, in osservanza degli art. 2, 3, 5, 32, 38 e 117 della Costituzione, hanno pertanto posto le basi per la costruzione di un sistema strutturato di protezione sociale (peraltro già avviato ancor prima dalla Regione Lombardia con la L.R. n. 37/72, che ha istituito gli Enti Responsabili di Zona (ERZ), e dalla Regione Toscana con la L.R. n. 15/76, con l’istituzione dei consorzi socio-sanitari), dopo circa 90 anni dalla ricordata prima legge istitutiva della beneficenza pubblica (legge 17 luglio 1890, n.6890), e 40 anni dalla legge istitutiva degli Enti Comunali di assistenza. nella osservanza dei noti seguenti principi fondamentali:

° sussidiarietà verticale con la prefigurazione di servizi sanitari e sociali più vicini e prossimi ai cittadini, attraverso l’individuazione dei livelli istituzionali coinvolti: il Comune, singolo o associato, la provincia, la Regione, lo Stato;

° sussidiarietà orizzontale, con il riconoscimento delle espressioni della società civile, partendo dalla famiglia, fino al terzo settore;

° deistituzionalizzazione e mantenimento nel proprio familiare e sociale;

° domiciliazione degli interventi;

° superamento delle categorie assistenziali

° universalità dell’accesso ai servizi sociali

° compartecipazione al costo dei servizi°

° programmazione del sistema dei servizi sociali

° finanziamento statale con la compartecipazione finanziaria delle regioni e dei comuni.

LA DEFINIZIONE DEL SISTEMA

La strategia istituzionale adeguata ai principi costituzionali ed alle conseguenti leggi di riferimento per il sistema di protezione sociale e la sua reale costruzione, basata sulla individuazione del ruolo dello Stato (funzione di indirizzo e coordinamento, da svolgere con atti aventi forza di legge), delle Regioni (legislazione, programmazione e controllo) e dei comuni singoli o associati negli Ambiti Territoriali Sociali (ATS) (progettazione attraverso gli Uffici di Piano, attuazione e verifica, secondo i principi propri del Servizio Sociale di comunità), è stata incrinata dalla legge costituzionale n. 3/2001, e pertanto l’ assistenza è diventata una competenza esclusiva delle Regioni, venendosi a determinare un profondo squilibrio fra i cittadini, in relazione alla loro residenzialità, ed alla loro presenza su un determinato territorio regionale piuttosto che su un altro, con grave pregiudizio di quanto disposto dall’art. 2,3, 32, 38 e 97 della Costituzione, che in effetti avrebbero dovuto garantire ai cittadini italiani la parità di diritti sociali e di doveri, la promozione delle opportunità e il superamento degli ostacoli che impediscono la piena realizzazione dei cittadini, l’imparzialità della pubblica amministrazione e il superamento della disparità di trattamento fra i cittadini.

In tale contesto, peraltro, si sono comunque affermati cinque principi fondamentali che costituiscono i pilastri del sistema:

1)La funzione statale di indirizzo e coordinamento, con la definizione dei Livelli Essenziali delle prestazioni (LEP) e relativo fabbisogno finanziario, che la Corte Costituzionale con la recente Sentenza n. 192/2024 ha attribuito quale competenza specifica del Parlamento. A tale riguardo si sottolinea che con Decreto-Legge 27 dicembre 2024, n. 202, Disposizioni urgenti in materia di termini normativi, convertito con legge 21 febbraio 2025, n. 15, è stato disposto che il termine concernente l’attività istruttoria connessa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, sulla base dell’articolo 1, commi da 791 a 801-bis della legge 29 dicembre 2022, n. 197, e ferme restando le funzioni previste dall’articolo 2, comma 3, della legge 9 agosto 2023, n. 111, e dall’articolo 37, comma 1, del decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62 per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard, a decorrere dal 5 dicembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025, è svolta presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri. In altri termini viene surrettiziamente confermata la funzione “istruttoria” a livello governativo (e non già parlamentare) per la definizione dl LEP, fissando un termine molto ampio per la loro attuazione, per il quale comunque mancano sette mesi.

2)La funzione di programmazione, con l’elaborazione ed approvazione di “Piani Nazionali” articolati su specifiche aree di intervento, e con specifici finanziamenti, inaugurati dell’Onorevole Livia Turco, Ministra della solidarietà nel periodo 1996-2001, con il “Primo Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali” nel maggio 2001, a cui ha fatto seguito, dopo ben 18 anni, il secondo Piano Sociale Nazionale 2018-2020 e successivamente il terzo Piano sociale Nazionale 2020-2023, ormai scaduto ed in attesa del successivo Piano 2024-2026.

Gli altri Piani Nazionali, che costituiscono un impegno vincolante sia per lo Stato che per le Regioni, con la definizione di finalità, obiettivi, azioni, sono i seguenti:

  • Piano nazionale per la famiglia

  • Piano nazionale per la gioventù

  • Piano nazionale per le persone con disabilità

  • Piano nazionale per la non autosufficienza

  • Piano nazionale per la lotta alla povertà

  • Piano per l’immigrazione

3)Individuazione di specifici “fondi” dedicati e finanziati per aree di intervento con riferimento ai relativi Piani Nazionali, e destinati alle Regioni ed agli ATS sulla base di criteri e determinati cronoprogrammi.

  • I principali “Fondi”, attualmente in vigore, riferiti al 2023, sono i seguenti:

Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS)

Fondo nazionale per la non autosufficienza (FNA)

Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave o prive del sostegno familiare

(Dopo di Noi)

Fondo per il diritto al lavoro dei disabili

Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale

Fondo per le politiche della famiglia

Fondo nazionale per il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei

anni

Fondo per le politiche giovanili

Fondo nazionale per il sostegno all’accesso delle abitazioni in locazione

(Fino al 2022, e soppresso nel 2023), sostituito dal “bonus affitti”

Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità

Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

4l Riconoscimento della funzione strategica e tattica degli Ambiti Territoriali Sociali (ATS), che rappresentano la base di riferimento per la progettazione e attuazione dei servizi sociali e che sono costituiti attraverso specifiche convenzioni o accordi di programma fra i Comuni associati, con l’individuazione del Comune capofila, nell’osservanza del principio di sussidiarietà verticale, con l’istituzione dell’ Ufficio di Piano quale strumento operativo dei Comuni associati negli ATS .

5) Riconoscimento costituzionale del Terzo settore, secondo quanto disposto all’ art. 117, comma. della Costituzione, per favorire l’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, delineato con il decreto legislativo n. 3 luglio 2017 n. 117 ed articolato secondo quanto già era stato indicato con il decreto legislativo 196/97: Associazioni di Promozione Sociale; Organizzazioni di Volontariato; Cooperative Sociali; Fondazioni.

LA STRUTTURAZIONE DEL SISTEMA DEI SERVIZI SOCIALI E GLI ASSISTENTI SOCIALI

Nel corso di circa ottanta anni, a conclusione di un lunghissimo iter, che in effetti era già stato avviato negli anni ’70, portato avanti con tenacia e perseveranza dall’Assistente Sociale Paola Rossi Gatti, con la nascita e l’affermarsi del Sindacato Unitario degli Assistenti Sociali (SUNAS) da lei guidato, superando la rigida e vetusta logica sindacale tradizionale basata sul “peso” in termini di numeri, di collocazione e di ruoli prefissati dei lavoratori, e con il continuo impegno e sostegno dell’AssNAS (Associazione Nazionale degli Assistenti Sociali), si è finalmente pervenuti al riconoscimento ed alla definizione della professione di Assistente Sociale con la legge 23 marzo 1993, n. 84.

Inoltre, a partire dal 2021, con appositi decreti presidenziali sono stati definiti i finanziamenti per la realizzazione di servizi sociali e interventi sociali per aree di intervento, riferiti ai fondi sopra richiamati.

Gli ATS, peraltro, come sopra indicato, sono definiti, quanto a territorio e popolazione, dalle Regioni, e costituiti dai Comuni associati, tramite convenzione o accordo di programma, e con la scelta del “Comune capofila”, e con l’individuazione dell’”Ufficio di Piano” per la elaborazione del Piano Sociale di Zona, per la progettazione e l’attuazione dei servizi e degli interventi sociali.

CONSIDERAZIONI

Una prima considerazione induce a sottolineare l’importanza della funzione di indirizzo e coordinamento a livello statale (in effetti già disegnata con il DPR n. 616/77 e confermata nel corso degli anni ‘2000 con la adozione di specifici Piani nazionali di intervento e relativi finanziamenti con l’istituzione dei Fondi specifici) in una materia così complessa quale quella della costruzione di un sistema di protezione sociale nazionale, regionale e locale, che trova il suo caposaldo nei Livelli essenziali per l’esercizio dei diritti civili e sociali (LEP) che devono essere definiti e garantiti in tutto il territorio nazionale, come disposto dall’art. 117, lettera m) della Costituzione

Dopo le vicende scaturite dal tentativo di parte di alcune istanze politiche di appropriarsi della piena competenza a legiferare in materia di LEP, variabili da Regione a Regione, e con fonti di finanziamento basate principalmente sull’ appropriazione diretta dell’IVA (cuius regio, eius IVA, ci sarebbe da dire) con la legge n. 82/2024, e la richiamata Sentenza della Corte n. 192/2024, che l’ha dichiarata illegittima, così come la Cabina di regia sopra indicata, è stata confermata la funzione del Parlamento per la loro definizione ed approvazione.

Una seconda considerazione porta a sottolineare che in termini di programmazione alcuni di essi sono scaduti, e, a distanza di due anni, non sono stati ancora aggiornati.

Una terza considerazione si riferisce all’ attuale riferimento istituzionale rappresentato dagli ATS (che in effetti richiamano quanto già le Regioni avevano portato avanti negli anni ’70, con l’avvio della cosiddetta “politica territoriale dei servizi sociali”, consolidata nella Unità Locale dei Servizi Sociali e Sanitari, ULSSS), che comunque debbono essere rafforzati sul piano giuridico nelle loro funzioni, con la definizione ed il potenziamento degli Uffici di Piano, forniti di adeguate risorse umane (fra cui il programmatore sociale per l’analisi del bisogno e della domanda sociale, nonché la progettazione per aree di intervento) e finanziarie, che costituiscono il cardine fondamentale per lo svolgimento delle politiche sociali locali e che:

– supportano il Tavolo Politico in tutte le fasi del processo programmatorio;

– gestiscono gli atti conseguenti all’approvazione del Piano di Zona;

-sono responsabili dell’attuazione degli indirizzi e delle scelte del livello politico;

-organizzano e coordinano le fasi del processo di attuazione del Piano di Zona, con la funzione di studio, elaborazione ed istruttoria degli atti amministrativi conseguenti.

A tale riguardo si rileva che nel PNRR, mentre sono state date specifiche indicazioni sul sistema sanitario (case di comunità, ospedale di comunità, telemedicina, assistenza domiciliare, Infermiere di comunità), altrettanto non è stato operato per il rafforzamento degli Uffici di Piano con la definizione di linee-guida, pur individuando con vari decreti il fabbisogno di Assistenti Sociali per ATS, per i quali viene previsto un contributo finanziario, e non già piena copertura economica.

Una quarta considerazione porta alla conclamata affermazione costituzionale del Terzo settore, che si sostanzia nel RUNTS e nei conseguenti vincoli burocratico-amministrativi, e che pone una complessa problematica della collocazione al suo interno delle sue varie caratterizzazioni (già in effetti individuata nel d.lgs. 196/97), e vincolata alla indizione di bandi, avvisi, manifestazioni di interesse, protocolli, per lo svolgimento di specifiche attività assistenziali e sociali ai quali ricorrono le Regioni, che in ogni caso sono preposte alla valutazione, approvazione oppure diniego dei progetti presentati.

Tale condizione porta ad uno stato di precarietà e di incertezza negli enti di Terzo settore e degli operatori, e della stessa continuità degli interventi, tale da richiedere il superamento della “politica degli appalti”, per giungere alla “politica dell’avvalimento”, nel senso che la P.A. sulla base di una rigida e preventiva selezione di enti di Terzo settore, in relazione alla definizione di capitolati e verifica dei requisiti, possa essere in grado di definire con apposite linee-guida le modalità per la formulazione di “contratti di servizio” per lo svolgimento di attività assistenziali, in ordine ai quali la P.A. nelle sue articolazioni funzionali (Stato, Regioni, Enti locali associati negli ATS) si avvale degli enti del Terzo settore.

A tale proposito si richiama l’attenzione sulla dolorosa sequela di scioglimento di molte cooperative sociali, che in effetti significa perdite di posti di lavoro, scomparsa di un patrimonio sociale prezioso, scomparsa dal tessuto e dalla rete di offerta dei servizi sociali.

L’ ARTICOLAZIONE DELLE POLITICHE DI PROTEZIONE SOCIAE I PER AREE DI INTERVENTO

Nel corso di venticinque anni si sono susseguite o riprese specifiche azioni che, partendo dalla legge 328/2000, hanno determinato la definizione di linee-guida e finanziamenti per specifiche aree di intervento (che si riportano di seguito in ordine alfabetico), al fine di costruire un sistema strutturato delle politiche sociali, sulla base di specifici Piani nazionali in osservanza dei principi sopra menzionati:

anziani

famiglia e minori

migrazioni

persone con disabilità

povertà

ANZIANI

Nell’area degli anziani, a livello statale, è stato privilegiato il complesso degli interventi e delle azioni per la non autosufficienza, e fin dal 2007 è stato istituito e finanziato il Fondo per le non autosufficienze, che è stato concluso dal Piano per la non autosufficienza 2022-2024, con il quale si è disegnato sia il complesso dell’offerta del sistema dei servizi ed interventi socio-sanitari, con l’individuazione delle aree di intervento (distinguendo fra disabilità gravissima, vita indipendente, caregiver) sia i soggetti istituzionali coinvolti: Regioni, per la programmazione ed il finanziamento: gli ATS per l’attuazione degli interventi; le ASL per l’integrazione socio-sanitaria.

Con il decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29, recante: «Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge 23 marzo 2023, n. 33.», è stato definito un articolato complesso di interventi e di azioni che in estrema sintesi sono i seguenti: promuovere la dignità e l’autonomia, l’inclusione sociale, l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità della popolazione anziana, anche attraverso l’accesso alla valutazione multidimensionale unificata, a strumenti di sanità preventiva e di telemedicina a domicilio, il contrasto all’isolamento e alla deprivazione relazionale e affettiva, la coabitazione solidale domiciliare per le persone anziane (senior cohousing) e la coabitazione intergenerazionale (cohousing intergenerazionale), lo sviluppo di forme di turismo del benessere e di turismo lento, nonché volte a riordinare, semplificare, coordinare e rendere più efficaci le attività di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti, anche attraverso il coordinamento e il riordino delle risorse disponibili, e ad assicurare la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane e per le persone anziane non autosufficienti.

In tale contesto sono stati istituiti:

  1. Il Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana (CIPA), tenuto conto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) vigenti e previa intesa in sede di Conferenza unificata indica nel «Piano nazionale per l’invecchiamento attivo, l’inclusione sociale e la prevenzione delle fragilità nella popolazione anziana», i criteri generali per l’elaborazione dei progetti di promozione della salute e dell’invecchiamento attivo, degli interventi di prevenzione della fragilità e dell’esclusione sociale e civile, nonché dei servizi di carattere sociale, sanitario.

  2. Il Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente,(SNAA) costituito dall’insieme integrato dei servizi e delle prestazioni sociali, di cura e di assistenza necessari a garantire un adeguato e appropriato sostegno ai bisogni della popolazione.

Per ciò che concerne particolari condizioni di gravità psico-sociale, con Decreto 5 settembre 2024, sono stati stabiliti i criteri e le modalità di riparto del Fondo per l’Alzheimer e le demenze istituito ai sensi dell’art. 1, comma 330 della legge 30 dicembre 2020, n. 178 per gli anni 2024, 2025 e 2026.

Con il recente Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 21 febbraio 2025, è stata Istituita una prestazione universale in via sperimentale dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2026, subordinata allo specifico bisogno assistenziale al fine di promuovere il progressivo potenziamento delle prestazioni assistenziali, per il sostegno della domiciliarità e dell’autonomia personale delle persone anziane non autosufficienti.

L’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) provvede ad adottare ogni opportuna iniziativa di carattere informativo, attraverso i canali di comunicazione istituzionale, nonché ogni altro strumento di comunicazione efficace in relazione alla prestazione universale e alle relative modalità di accesso.

La prestazione universale è erogata dall’INPS stesso, ed è riconosciuta, previa espressa richiesta, alla persona anziana non autosufficiente, in possesso dei seguenti requisiti:

a) un’età anagrafica pari o superiore a 80 anni;

b) un livello di bisogno assistenziale gravissimo certificato;

c) un valore dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) per le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria, ai sensi dell’art. 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in corso di validità, non superiore ad euro 6.000.

La prestazione universale è erogata con cadenza mensile, a decorrere dal primo giorno del mese di presentazione della domanda e previa notifica all’interessato di avvenuta liquidazione del beneficio, ed è composta da:

a) una quota fissa monetaria corrispondente all’indennità di accompagnamento di cui all’art. 1 della legge n. 18 del 1980 che consiste nell’’erogazione di un sostegno economico agli invalidi civili che siano stati dichiarati totalmente inabili, con una percentuale di invalidità totale (100%) e che sono impossibilitati a deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore, oppure incapaci di compiere gli atti quotidiani della vita. Per il 2025, l’importo mensile è di 542,02 euro per gli invalidi totali e 1.022,44 euro per i ciechi assoluti. 

b) una quota integrativa definita «assegno di assistenza», di importo fino ad euro 850 mensili, nei limiti delle risorse disponibili, finalizzata a remunerare il costo del lavoro di cura e assistenza, svolto da lavoratori domestici con mansioni di assistenza alla persona titolari di rapporto di lavoro conforme ai contratti collettivi nazionali di settore di cui all’art. 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, o l’acquisto di servizi destinati al lavoro di cura e assistenza e forniti da imprese e professionisti qualificati nel settore dell’assistenza sociale non residenziale, nel rispetto delle specifiche previsioni contenute nella programmazione integrata di livello regionale e locale.

Infine viene istituito il Tavolo tecnico finalizzato allo studio e all’individuazione, di forme di incentivazione fiscale per i sistemi di protezione assicurativa rivolti ai singoli e alle famiglie per l’erogazione di servizi di cura e di assistenza alle persone anziane e alle persone anziane non autosufficienti, finalizzati a rafforzare la relativa offerta.

CONSIDERAZIONI

Nel corso di un cinquantennio, le Regioni hanno posto particolare attenzione alla popolazione anziana, sia con leggi regionali, sia nel contesto degli atti di programmazione sociale, ed hanno definito lo svolgimento di ampie politiche sociali ad essi rivolte: invecchiamento attivo, agricoltura sociale, centri anziani, attività ricreative e sociali, culturali, università della terza età, edilizia sociale, lavoro, ecc. ecc., precedendo i ogni caso quanto disposto a livello statale con la legge n. 33/2023.

In effetti, peraltro, viene ripresa una politica di accentramento a livello centrale delle azioni ed interventi rivolti alla popolazione anziana, ignorando il principio della sussidiarietà verticale e dell’osservanza dell’art. 5 e 117 della Costituzione, confinando il ruolo delle Regioni e delle Autonomie locali all’espressione di parere in merito, ed accentuando il ruolo dell’INPS quale ente erogatore dei benefici economici, non tenendo conto di quanto le Regioni già fanno a tale riguardo.

Con il più recente ultimo decreto 21 febbraio 2025, sopra indicato, si è portata avanti una azione volta a spezzettare la platea delle persone non autosufficienti, fino a definire “universale” una prestazione assolutamente limitata ad una ristretta categoria di persone anziane non autosufficienti e totalmente invalide, secondo rigidissimi criteri di accesso, ed ai quali si accede solo su propria iniziativa e richiesta da parte degli interessati.

Alle enunciazioni trionfalistiche di una misura universale (da “erga omnes” si passa ad “erga paucissimi”, visto che le persone interessate, è stato calcolato, sarebbero all’incirca 25.000) rivolta a “tutti” gli anziani, ha fatto seguito sia un rafforzamento di competenze anche operative dell’INPS, con il compito di diffondere la buona novella della prestazione universale, sia uno svilimento del servizio di Segretariato Sociale e di Sevizio Sociale Professionale quale porta di accesso e di trattamento del bisogno espresso, sia il ruolo dei PUA, secondo il principio della sussidiarietà verticale e del ruolo dei Comuni e degli ATS.

Infine con l’istituzione di un “tavolo tecnico” per studiare forme di protezione assicurativa, si inserisce surrettiziamente l’obiettivo di spostare verso un sistema di copertura del rischio da parte delle singole persone, il sistema di protezione universale per far fronte al gravissimo fenomeno della non autosufficienza (peraltro già affrontato da varie Regioni con provvedimenti assolutamente innovativi ed incisivi, sui quali ritorneremo: Basilicata; Calabria; Campania; Emilia Romagna; Friuli V.G.; Lombardia; Marche; Molise; Piemonte; Puglia; Toscana; Umbria; Veneto), come lumeggiato nell’ultimo piano nazionale 2022-2024, che ha tracciato le linee portanti del sistema di protezione socio-sanitaria per le persone non autosufficienti.

FAMIGLIA E MINORI

Nel corso di cinquanta anni (1971-2021), sono da una parte quadruplicate le famiglie monoparentali, raddoppiate quelle senza figli, aumentate di un quarto quelle con un figlio, con aumenti del 10-15% quelle con due-tre figli, e diminuite drasticamente quelle con quattro figli e più, fino all’80% in meno nel cinquantennio.

Analogamente nello stesso periodo i matrimoni sono passati da 440 mila matrimoni registrati nel 1971, attraverso i decenni successivi, che ne scandiscono l’inesorabile calo, a 189 mila nel 2022, ossia 251 mila in meno.

Il fenomeno della denatalità (da oltre 900.000 nascite nel 1971 a 379.000 nel 2024 (521.000 in meno), raggiunge livelli di angosciosa realtà, non assicurando il saldo naturale della popolazione, ma anche, in prospettiva l’indice di dipendenza degli anziani nei confronti dei giovani, e la prospettiva di una riduzione dei servizi sociali per l’infanzia e dei servizi scolastici.

A tale proposito si ricorda che per ciò che concerne le politiche familiari, il processo è stato avviato con l’ emanazione di prime leggi di riforma; la legge n. 1077/71 sugli asili nido, gestiti dai Comuni, che costituì il primo tassello per lo svolgimento di specifici interventi a favore delle famiglie e delle donne lavoratrici, grazie alla passione ed all’impegno dell’ Onorevole Adriana Lodi.

Secondo il trattato di Lisbona del 2001, il servizio degli asili nido dovrebbe coprire almeno il 30% della domanda, e, secondo gli orientamenti del Governo Conte del 2019, diventare comunque non più servizio a domanda individuale, con la compartecipazione al costo, ma come vero e proprio diritto delle famiglie a usufruirne, come peraltro già attuato dalla Regione Lombardia con la misura “nidi gratis”.

Va anche richiamata la legge 405/75 sui consultori familiari, che, per il fatto di essere stati istituiti quale strumento di supporto e di sostegno alla famiglia, nello svolgimento di attività di assistenza psicologica e sociale, rappresentano un riferimento funzionale idoneo a definire il quadro delle politiche familiari. Peraltro, va anche messo in evidenza che lo spostamento e lo sbilanciamento delle attività consultoriali verso il versante sanitario ha reso gli stessi sempre più caratterizzati da un servizio di consulenza e di erogazione di prestazioni sanitarie, piuttosto che sede per affrontare compiutamente la problematica familiare.

Con il Decreto Legislativo 21 dicembre 2021, n. 230, è stato disposto che a decorrere dal 1° marzo 2022 viene istituito l’assegno unico e universale per i figli a carico, che costituisce un beneficio economico attribuito, ai nuclei familiari sulla base della condizione economica del nucleo, in base all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

L’ Osservatorio nazionale sulla famiglia, istituito con DPCM 2009, n. 43, ha approvato il Piano nazionale per la famiglia il 10 agosto 2022, confermato dalla Conferenza unificata il 14 settembre 2022. Secondo gli estensori del Piano:

– costituisce uno strumento, frutto dell’azione svolta e concertata a favore delle famiglie con l’ individuazione di azioni integrate, organiche e coerenti con gli altri interventi normativi e gli strumenti di simile portata programmatica, approvati e resi esecutivi a livello centrale, territoriale e locale.

– raccoglie e affronta quattro grandi sfide del nostro tempo: la questione demografica, la parità di genere, il rapporto tra generi e generazioni, le diseguaglianze. Guardando con attenzione al ciclo di vita delle famiglie, individua priorità e obiettivi e 60 azioni concrete per realizzarli, con interventi di incentivazione all’autonomia giovanile e alla partecipazione al lavoro delle donne, di contrasto alla denatalità, di sostegno alle famiglie con figli e di promozione dell’invecchiamento attivo.

– restituisce centralità alle famiglie e lo fa al termine di un periodo di emergenza tra i più duri degli ultimi decenni, durante il quale le famiglie, pur duramente colpite, hanno dimostrato di essere la rete di salvezza del nostro Paese: luogo della relazione e della cura, soggetto di connessione dei legami sociali e di prossimità, messi alla prova e indeboliti dalla pandemia.

Infine con la Legge 7 aprile 2022, n. 32, nota come “Family Act” sono stati previsti specifici decreti legislativi per l’adozione, il riordino e potenziamento di disposizioni volte a sostenere la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie, per contrastare la denatalità, valorizzare la crescita armoniosa e inclusiva dei bambini e dei giovani, sostenere l’indipendenza e l’autonomia finanziaria dei giovani nonché favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro di entrambi i genitori e sostenere, in particolare, il lavoro femminile.

Per queste ragioni, l’impegno condiviso, assunto con l’adozione del Piano, è di costruire politiche familiari che attivino processi di contribuzione, condivisione, co-progettazione, monitoraggio.

Infine con la Legge 7 aprile 2022, n. 32, nota come “Family Act” sono stati previsti specifici decreti legislativi per l’adozione, il riordino e potenziamento di disposizioni volte a sostenere la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie, per contrastare la denatalità, valorizzare la crescita armoniosa e inclusiva dei bambini e dei giovani, sostenere l’indipendenza e l’autonomia finanziaria dei giovani nonché favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro di entrambi i genitori e sostenere, in particolare, il lavoro femminile.

Con DELIBERA 31 agosto 2024 è stata Istituita ai sensi dell’art. 82 della Costituzione, per la durata della XIX legislatura, la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto, con il compito di indagare sui fenomeni connessi ai mutamenti e alla prospettiva demografica del Paese (spopolamento, invecchiamento, longevità, famiglia, mobilità, lavoro, prospettive del welfare, immigrazione).

CONSIDERAZIONI

Nel corso dei cinquanta anni circa che hanno caratterizzato le politiche familiari, il riferimento finale è costituito da quanto disposto dal legislatore costituzionale, che ha determinato con la legge costituzionale n. 3/01 il riconoscimento della famiglia quale primo livello della sussidiarietà orizzontale, e con la legge 328/2000 all’art. 16 ha tracciato l’avvio e le linee portanti di decise politiche familiari, confermate nel Primo piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali del maggio 2001.

Tale scelta ha portato ad intendere la famiglia, anche alla luce di quanto sancito dalla Costituzione, quale organizzazione sociale primaria di riferimento, che ha una sua specificità anche in termini economici, così che come il riferimento di base per il calcolo del minimo vitale deve essere commisurato alla potenzialità economica espressa dal “nucleo” familiare, così la stessa famiglia diventa il riferimento fondamentale per la determinazione della situazione economica equivalente (ISEE) per l’accesso ai servizi sociali.

A tale riguardo si sottolinea che il livello ISEE è connesso alla composizione del nucleo familiare, riferito alla presenza di almeno tre figli se non addirittura quattro, per ottenere alcuni benefici, peraltro molto limitati: in altri termini si assiste ad una selezione alla rovescia, con una specificazione volta ad individuare specifiche “fasce” di famiglie, caratterizzate da certificate condizioni di disagio e di precarietà, verso le quali concedere benefici, peraltro limitati nel tempo.

Rimane peraltro tuttora aperto il quadro del finanziamento degli interventi e dei servizi rivolti alla famiglia, e in tale prospettiva si ritiene che sia importante definire e portare avanti un organico piano di interventi che passa attraverso la definizione di un “pacchetto famiglia” individuabile attraverso i “LIVEAS familiari”, nel quale ambito considerare tutte quelle politiche di tutele e di opportunità che di per sé stesse possono costituire il “valore” aggiunto riconosciuto e dato alla famiglia per garantirle lo svolgimento delle proprie funzioni, costituzionalmente riconosciute, verso la quale indirizzare il complesso degli interventi e dei servizi rivolti alle singole persone che la compongono (genitori in condizioni di povertà, di disagio abitativo, di fragilità, minori in condizioni di fragilità, di povertà educativa, persone con disabilità, di non autosufficienza), nel quadro della ricomposizione di un Servizio Sociale Professionale Familiare, con la presa in carico da parte dell’Assistente Sociale del “gruppo famiglia”: non a caso in Francia in tempi lontani veniva prospettato il rapporto di 1 Assistente Sociale ogni 500 famiglie.

A tale riguardo si assiste, peraltro, con i recenti provvedimenti dell’attuale Governo ad uno spacchettamento della dimensione familiare, individuandola da una parte quale riferimento di base per l’erogazione dell’ assegno di inclusione (che ha sostituito il Reddito di Cittadinanza), secondo limiti di reddito assolutamente bassi, nonché l’individuazione di famiglie ancora più povere con un bassissimo reddito, a cui erogare l’ assistenza alimentare (come una volta facevano gli Enti Comunali di Assistenza istituiti dal fascismo negli anni ’30, che distribuivano i pacchi viveri) per 500 euro per ogni famiglia, per un periodo temporale che è scaduto il 28 febbraio 2025.(Decreto 4 giugno 2024, Individuazione dei nuclei familiari in stato di bisogno, beneficiari del contributo economico previsto dall’articolo 1, commi 2, 3, 4 e 5 della legge 30 dicembre 2023 n. 213), così che le stesse famiglie sono messe nella condizione di attesa di messianiche successive elargizioni.

Manca, in ogni caso, l’ aggiornamento del Piano nazionale per la famiglia, con il quale programmare e pianificare, nel rispetto delle competenze che afferiscono allo Stato, alle Regioni ed agli Enti locali, con il coinvolgimento del Terzo settore, il complesso delle strategie e delle tattiche necessarie per il loro potenziamento e ruolo sociale fondamentale, segnando un cambio di passo rispetto al passato.

MIGRAZIONI

Si rimanda ai due saggi pubblicati sul sito per una analisi più approfondita sul fenomeno delle migrazioni: La legislazione sociale per gli immigrati fra diritti, doveri ed opportunità . parte prima: la legislazione internazionale, europea e statale, 8 novembre 2023; La legislazione sociale per gli immigrati fra diritti, doveri ed opportunità, parte seconda: la legislazione regionale, dicembre 2023.

A tale riguardo, avuto riguardo alla complessità e gravità del fenomeno migratorio, che coinvolge non solo l’Itala ma tutta l’Europa, si ritiene richiamare i risultati di un “Conclave” della sinistra francese (pubblicato sulla rivista “Nouvel Obs” n. 3160 del 17 aprile 2025), finalizzato a contrastare l’opinione dominante ed ostile sull’immigrazione, che tracciano un quadro strategico di azioni che da una parte tiene conto dell’espansione del fenomeno migratorio, e dall’altra le prospettive di un adeguato piano di interventi:

  1. Proporre sistematicamente l’insegnamento della lingua francese fin dall’arrivo sul territorio al fine d favorire una integrazione rapida e duratura;

  2. Permettere ai cittadini francesi di impegnarsi nel promuovere e sostenere il loro percorso rivolto alla naturalizzazione;

  3. Rendere concreta le intenzioni volte ad accordare il diritto di voto agli immigrati residenti alle elezioni locali;

  4. Riformulare il sistema di accesso al soggiorno ampliando i criteri di ammissione, invertendo la logica attualmente in vigore; fare dell’ammissione al soggiorno la regola e il rifiuto l’eccezione;

  5. Fondare l’immigrazione lavorativa in base ad un approccio in grado di associare i partener sociali e territoriali in rapporto e dialogo con oi paesi di origine.

  6. Ripensare alla governance delle politiche migratorie, garantendo un reale approccio interministeriale e la fine del monopolio del Ministero dell’Interno;

  7. Sperimentare una territorializzazione delle politiche di accoglienza e di integrazione in associazione con le collettività locali e il volontariato;

  8. Adottare una legge speciale al fine di permettere un programma massivo di costruzione o di recupero di alloggi, articolata su un periodo di cinque-dieci anni;

  9. Tale programma impegnerà i promotori e le collettività locali a privilegiare le politiche di integrazione sociale ed all’accoglienza, con l’obiettivo di mettere fine progressivamente all’iper – concentrazione della povertà;

  10. Organizzare una forza europea di soccorso n mare, per superare l’indifferenza e l’indignità nei confronti ni migliaia di immigrati che muoiono nel Mediterraneo;

  11. Creare un Gruppo Internazionale di Esperti sulle Migrazioni (Giem) per produrre una base di informazioni e di acquisizioni scientifiche accessibili a tutti, con la valorizzazione dei lavori dei ricercatori molte volte ignorati;

  12. Promuovere la creazione di “media” destinati a fare comprendere alle persone immigrate e ai loro accompagnatori, il quadro dei percorsi, le riuscite, le sperimentazioni positive come le difficoltà incontrate per quelli che hanno scelto la Franca.

PERSONE CON DISABILITA’

Nel corso degli oltre i cinquanta anni iniziando con il decreto-legge 30 gennaio 1971 n. 5, poi convertito in legge 30 marzo 1971, n.118, furono disposte “Provvidenze in favore dei mutilati ed invalidi civili”. In particolare all’art. 1 fu data la definizione di mutilati ed invalidi civili: “cittadini affetti da minorazioni congenite od acquisite, anche a carattere progressivo, compresi di irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico e dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti funzionali o sensoriali, che abbiano subito una diminuzione della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”.

Ai soli fini dell’assistenza socio sanitaria e della concessione dell’indennità di accompagnamento, si considerano mutilati ed invalidi i soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere compiti e le funzioni proprie della loro età”.

Il coevo avvio delle Regioni comportò una politica innovativa di azioni e di interventi nel complesso pianeta della disabilità, ed una ricomposizione al livello territoriale e familiare dell’offerta dei servizi, di cui è emblematica la legge n. 62/1974 della Regione Lazio che istituì le prime Unità Territoriali di Riabilitazione, indicate quali strutture in grado di offrire servizi di riabilitazione a persone con disabilità, sia in regime di ricovero intermedio e temporaneo che per assistenza domiciliare. 

Pertanto le politiche innovative, avviate con l’istituzione delle Regioni, iniziano proprio negli anni ’70, nella prospettiva dell’avvio delle politiche delle riforme, per costruire uno Stato moderno ed in linea con i principi costituzionali, e gli aspetti più importanti, possono essere riassunti nei seguenti:

* impetuosa richiesta di partecipazione dei cittadini e delle famiglie a richiedere profonde modifiche alle tradizionali modalità di erogazione dei servizi e degli interventi;

* avvio delle politiche sociali regionali per il perseguimento dei seguenti obiettivi:

-deistituzionalizzazione;

– integrazione sociale e lotta all’ emarginazione;

– unicità della gestione dell’offerta socio- sanitaria;

– progetti obiettivo integrati; programmazione;

– partecipazione.

Fu quindi avviata una politica volta a promuovere i diritti delle Persone con disabilità (pur con le varie definizioni intervenute nel corso degli anni che ne hanno caratterizzato la connotazione), venendosi a determinare una legislazione riferita a varie aree di intervento (sanità, istruzione, formazione, lavoro, urbanistica, barriere architettoniche, servizi ricreatici, turismo accessibile, ecc.), stante la complessità e la trasversalità delle problematiche rappresentate dalle condizioni esistenziali in cui vivono le stesse Persone, che in ogni caso richiedono una ricomposizione legislativa organica dei vari provvedimenti.

Avuto riguardo alle specifiche condizioni esistenziali e di proiezione di sostegni e di fruizione di diritti soggettivi e di opportunità offerte, si è configurato nel corso degli anni un progrediente quadro di riferimento concettuale ed operativo che può essere articolato nelle seguenti aree di intervento:

– integrazione scolastica

– integrazione lavorativa

– inclusione sociale

– durante e dopo di noi.

Con la legge agosto 1977, n. 517 relativa alle “Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico”, sono state previste forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps con la prestazione di insegnanti specializzati, assicurando la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive, competenze dello Stato e degli enti locali.

La Legge 11 febbraio 1980, n. 18, ha istituito l’”Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili”, per regolare l’erogazione di un sostegno economico agli invalidi civili che siano stati dichiarati totalmente inabili  (100%) e che sono impossibilitati a deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore, oppure incapaci di compiere gli atti quotidiani della vita, hanno diritto a un’indennità di accompagnamento.

La legge 5 febbraio 1992, n.104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, ha rappresentato e continua a rappresentare ed a tutelare i diritti delle persone con disabilità. La legge definisce chi è considerato una persona con disabilità e stabilisce una serie di diritti e benefici per questa categoria di cittadini, sui quali sia la Corte costituzionale che la suprema Corte di Cassazione si sono espresse con varie sentenze, che riguardano specificamente il diritto all’istruzione, all’assistenza e alla socializzazione, l’equità nel trattamento economico, al lavoro: sono diritti per i quale lo Stato è tenuto a erogare le relative prestazioni, a prescindere da vincoli di bilancio, perché si tratta di diritti soggettivi ed inalienabili ai quali lo Stato deve provvedere sia in termini risarcitori e di solidarietà, sia in termini di assistenza latamente intesa. 

Trattandosi di una legge-quadro, sono state puntualmente puntualizzate le linee portanti volte a definire il complesso delle politiche sociali, sanitarie, formative, del lavoro nei confronti delle persone con disabilità:

– Garanzia del pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata;

– Promozione della piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;

– Prevenzione e rimozione delle le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile;

– Promozione della partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;

– Perseguimento del recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;

– Predisposizione di interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata.

Sono stati altresì individuati gli ambiti di intervento articolati sulla prevenzione, la cura, la riabilitazione, inserimento e l’integrazione sociale, integrazione scolastica, e disposizioni sul collocamento al lavoro.

La legge  21 maggio 1998, n. 162, “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave.”, ha previsto l’attuazione di Piani Personalizzati a favore di persone con handicap grave con la finalità di promuovere l’autonomia e fornire sostegno alla famiglia in cui è presente la persona con grave disabilità, coinvolgendo il terzo settore con le cooperative sociali.

Con la legge n. Legge 12 marzo 1999, n. 68, sono state ulteriormente definite le “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.

Con la legge n. 18/2009 è stata recepita la Convenzione ONU sui diritti delle Persone con Disabilità, che costituisce un riferimento assolutamente condivisibile, anche in relazione a quanto portato avanti a livello statale con i Programmi biennali d‘azione per la promozione dei diritti e l’integrazione delle Persone con Disabilità” .

* importanza di includere nelle politiche ordinarie i temi della disabilità come parte integrale delle strategie pertinenti dello sviluppo sostenibile;

* la discriminazione contro qualsiasi persona sulla base della disabilità costituisce una violazione della dignità inerente e del valore della persona umana;

* riconoscimento della diversità delle Persone con Disabilità;

* necessità di promuovere e proteggere i diritti umani di tutte le Persone con Disabilità, incluse quelle che richiedono sostegni più intensi.

Nel prosieguo della enunciazione delle azioni che debbono poste in essere per promuovere una effettiva politica sociale volta alla piena loro integrazione sono, in estrema sintesi, indicate le seguenti considerazioni:

* importanza per le Persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte;

* opportunità per le Persone con disabilità di essere coinvolte attivamente nei processi decisionali inerenti alle politiche e ai programmi, inclusi quelli che li riguardano direttamente;

* i bambini con disabilità dovrebbero poter godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali su base di eguaglianza rispetto agli altri bambini, con riferimento agli obblighi assunti in tal senso dagli Stati Parte in base alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo;

* necessità di incorporare una prospettiva di genere in tutti gli sforzi tesi a promuovere il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte dalle Persone con disabilità;

* la maggior parte delle Persone con disabilità vive in condizioni di povertà, ed a questo proposito riconoscendo l’urgente necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone con disabilità:

* importanza dell’accessibilità all’ambiente fisico, sociale, economico e culturale, alla salute, all’istruzione, all’informazione e alla comunicazione, per permettere alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali:

* importanza della famiglia quale naturale e fondamentale nucleo della società e merita la protezione da parte della società e dello Stato, e che le persone con disabilità ed i membri delle loro famiglie dovrebbero ricevere la necessaria protezione ed assistenza per permettere alle famiglie di contribuire al pieno ed eguale godimento dei diritti delle persone con disabilità.

Nel corso degli anni successivi si sono ulteriormente definite specifiche politiche di settore, che hanno in particolare interessato il mondo scolastico con la Legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante

Nuove norme in materia di disturbi specifici d’apprendimento in ambito scolastico”, che ha indicato gli obiettivi – tutelare il diritto degli alunni e gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento all’istruzione e favorirne il successo scolastico – e i percorsi didattici per il recupero e la riabilitazione.

Con il DPR 4 ottobre 2013 l’Italia ha adottato il primo “Programma d’Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità” che ha aperto, di fatto, un nuovo scenario di riferimento politico e programmatico su tema. Per la prima volta, infatti, la condizione di disabilità di tanti cittadini del nostro Paese è stata rappresentata nella sua interezza e per il suo valore, non solo come un problema assistenziale confinato entro il perimetro delle politiche di “welfare” ma come un imprescindibile ambito di tutela dei diritti che investe la politica e l’amministrazione in tutte le sue articolazioni, nazionali, regionali e locali. Il Secondo Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, con DPR del 12 ottobre 2017.

Con la Legge 18 agosto 2015, n. 134, recante “Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie sono state previste, previa intesa in sede di Conferenza unificata, in applicazione dei livelli essenziali di assistenza all’aggiornamento delle linee di indirizzo specifiche azioni per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS).

Al riguardo si richiama il DPCM 12 gennaio 2017, che, innovando sui LEA introdotti con il d.lgs.502/92, all’art. 25, dispone che “Nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce ai minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico e del neurosviluppo, la presa in carico multidisciplinare e lo svolgimento di un programma terapeutico individualizzato differenziato per intensità’, complessità’ e durata, che include le prestazioni, anche domiciliari, mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, psicologiche e psicoterapeutiche, e riabilitative, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più’ avanzate evidenze scientifiche, necessarie e appropriate…”

Con un impegno e una tenace azione e sensibilizzazione intorno alla assoluta necessità di prefigurare un sistema di protezione sociale proiettato nel futuro delle persone con disabilità, l’on.le Ileana Argentin è stata promotrice della Legge 22 giugno 2016, n. 112, che ha dettato “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”.

Con tale provvedimento si è definito un percorso volto a definire la continuità e la prosecuzione dei programmi assistenziali rivolti alle Persone con disabilità ed alle loro famiglie, nell’ intento di prevedere, nella drammatica situazione provocata dalla perdita dei loro familiari, soluzioni e prospettive orientate alla definizione di garanzie sul loro futuro, superando l’incertezza ed il disorientamento per i necessari ricoveri nelle strutture residenziali.

E’ stato pertanto istituito il “Fondo per l’Assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (“Dopo di Noi”)” destinato alle seguenti finalità:

– attivare e potenziare programmi di intervento volti a favorire percorsi di deistituzionalizzazione e di supporto alla domiciliarità in abitazioni o gruppi-appartamento che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare e che tengano conto anche delle migliori opportunità offerte dalle nuove tecnologie;

– realizzare, ove necessario e, comunque, in via residuale, nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, interventi per la permanenza temporanea in una soluzione abitativa extrafamiliare per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza, nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi;

– realizzare interventi innovativi di residenzialità per le persone con disabilità grave, volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing;

– sviluppare programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile delle persone con disabilità grave.

Al fine di sviluppare e potenziare figure che svolgono opera di sostegno e di assistenza alle persone con disabilità, con la Legge 27 dicembre 2017, n. 205, «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2020» all’art. 1, comma 254,è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020, destinata alla copertura finanziaria di interventi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare, definito sul piano giuridico come persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di se’, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata, o sia titolare di indennità di accompagnamento.

In tale contesto è stata quindi data attenzione particolare alla disabilità gravissima, che richiede la presenza costante di una persona dedicata all’assistenza, il caregiver, con riferimento alla condizione di non autosufficienza, in una definita connotazione.

Con Decreto del 27 ottobre 2020 sono stati definiti “Criteri e modalità di utilizzo delle risorse del Fondo per il sostegno del ruolo di cura e assistenza del Caregiver Familiare per gli anni 2018-2019-2020”, trasferendo alle Regioni le risorse assegnate a seguito di specifica richiesta nella quale sono indicati gli indirizzi di programmazione per l’attuazione degli interventi .

A fronte di un variegato quadro legislativo, sottolineato anche nel contesto dei Programmi di Azione biennali per la promozione dei diritti e l’integrazione delle Persone con Disabilità” ( DPR 4 ottobre 2013; DPR 12 Ottobre 2017), già nel Governo 2018-2019 fu individuato nel Ministero per la famiglia e la disabilità il primo livello istituzionale per lo svolgimento di politiche integrate, e nel Governo 2019-2021, in sede di presentazione del programma venne affermata l’istituzione di un apposito Sottosegretariato alla disabilità, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per giungere alla formulazione di una riunificazione normativa di sostegno per la disabilità e la non autosufficienza, con l’istituzione di un “codice delle disabilità”, per l’inclusione sociale ed il pieno diritto ad una cittadinanza attiva.

Con la legge 22 dicembre 2021,n. 227, Il Governo è stato delegato ad adottare, entro venti mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità, in attuazione degli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione e in conformità alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18.

Con decreto legislativo 13 dicembre 2023, n. 222, Disposizioni in materia di riqualificazione dei servizi pubblici per l’inclusione e l’accessibilità, in attuazione dell’articolo 2, comma 2, lettera e) , della legge 22 dicembre 2021, n. 227, sono state disposizioni in attuazione dell’articolo 2, comma 2, lettera e), della stessa legge n. 227/2021, per garantire l’accessibilità alle pubbliche amministrazioni da parte delle persone con disabilità e l’uniformità della tutela dei lavoratori con disabilità presso le pubbliche amministrazioni sul territorio nazionale al fine della loro piena inclusione, nel rispetto del diritto europeo e internazionale, in conformità all’articolo 117 Costituzione e statuti regionali.

Con la legge 29 luglio 2024, n. 106, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2024, n. 71, recante disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca, sono state dettate disposizioni in materia di sostegno agli alunni con disabilità: potenziamento percorsi di specializzazione per le attività di sostegno; misure finalizzate a garantire la continuità dei docenti su posto di sostegno; tutela diritti delle persone con disabilità e formazione dei docenti per il sostegno; trasporto scolastico; Misure sostegno agli studenti universitari con disabilità gravissima.

Con il decreto legislativo 5 febbraio 2024, n. 20, è stata Istituita l’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, in attuazione della delega conferita al Governo, al fine di assicurare la tutela, la concreta attuazione e la promozione dei diritti delle persone con disabilità, in conformità a quanto previsto dal diritto internazionale, dal diritto dell’Unione europea e dalle norme nazionali, a decorrere dal 1° gennaio 2025, è istituita l’Autorità «Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità» con poteri autonomi di organizzazione ed indipendenza amministrativa.

Con il decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62, Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, in attuazione della legge 227/2021, sono state dettate diposizioni per assicurare alla persona il riconoscimento della propria condizione di disabilità, rimuovere gli ostacoli e attivare sostegni utili al pieno esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti, in coerenza con la specifica Convenzione delle Nazioni Unite.

Con la legge 16 dicembre 2024, n. 210, Disposizioni per il riconoscimento e la promozione della mototerapia, la stessa è riconosciuta e promossa in maniera uniforme nell’intero territorio nazionale, quale terapia complementare per rendere più positiva l’esperienza dell’ospedalizzazione, per contribuire al percorso riabilitativo dei pazienti e per accrescere l’autonomia, il benessere psicofisico e l’inclusione dei bambini, dei ragazzi e degli adulti con disabilità.

L’attuale Governo ha istituito il Ministro senza portafoglio per le disabilità.

CONSIDERAZIONI

Riferimento concettuale, al pari della legge n. 104/92 e della legge 328/2000, si ritiene che possa essere la definizione di una “legge-quadro”, da intendere quale norma federale che debbono osservare le Regioni e gli Enti locali, per lo svolgimento, nel contesto del rispetto delle autonomie, come previsto dall’art. 5 della Costituzione, ed alla luce dei principi del riconoscimento dei diritti delle Persone con disabilità, dei programmi, degli interventi e delle azioni ad esse rivolti, con la necessaria traduzione in termini di legislazione, programmazione, finanziamenti, monitoraggio e verifica, di quanto indicato nella auspicata legge quadro.

Tale disposizione, peraltro, avvierebbe a livello statale la ridefinizione di linee di intervento già operanti e che riguardano specifici settori della condizione delle Persone con disabilità (vita indipendente, durante e dopo di noi, integrazione socio-sanitaria, lavoro, istruzione, inclusione sociale, riabilitazione, assistenza protesica, ecc.) e che dovrebbero sfociare, come già indicato nella legge 328/2000, nella formulazione della programmazione organica del complesso degli interventi, peraltro già presenti nei Programmi biennali del 2013 e del 2017.

Tale definizione normativa integrata e coordinata, accompagnata da adeguati finanziamenti, articolati per aree di intervento, e da specifiche linee-guida (già in effetti operanti con appositi Decreti ministeriali e Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) avrebbe la propria ricaduta sulle Regioni, che, analogamente a quanto avveniva negli anni ’70 con la legge sugli asili nido, sui consultori familiari, sulle comunità montane, sul Servizio Sanitario Nazionale, dovrebbero con atti normativi specifici, provvedere a dettare le disposizioni per la loro applicazione.

Si sottolinea che a fronte di specifici programmi e finanziamenti già in atto (Piano nazionale sociale, Piano nazionale per le non autosufficienze, programma per i caregiver, programma “durante e dopo di noi”, programma per la vita indipendente, ecc.), le Regioni rispondono con prontezza e con provvedimenti di alta amministrazione, desumibili dall’ esame dei singoli atti deliberativi, alle direttive ed alle indicazioni da parte dello Stato, che riprende quindi una decisa azione di indirizzo e coordinamento, necessaria per garantire a tutti i cittadini della Repubblica l’uniforme fruizione dei diritti sociali.

POVERTÀ

Nel corso di oltre trenta anni, a iniziare dal 1997 con il decreto legislativo 18 giugno 1998 è stato introdotto, in via sperimentale, in talune aree, il reddito minimo di inserimento proposto dalla Ministra l’on.le Livia Turco. Nel lungo silenzio dei Governi succedutisi dal 1998 al 2015, è solo con Il Sostegno per l’Inclusione Attiva (S.I.A.) – istituito con l’articolo 1, comma 386, della legge n. 208/2015, che viene avviato un organico piano di lotta alla povertà.

Con il d.lgs. n. 147/2017, sopra richiamato, è stato introdotto il Rei (reddito di inclusione) individuato quale livello essenziale, e quindi obbligatorio e diffuso in tutto il territorio nazionale, superando le pregresse sperimentazioni, a cui sono seguiti due Piani nazionali per la lotta alla povertà, prefigurando un quadro di sistema basato sugli ATS.

A tale riguardo si sottolinea che il Rei è stato inteso quale organico riferimento per lo svolgimento di concertate politiche di lotta e di contrasto alla povertà, e connesso alla strategia europea volta a promuovere significativi programmi volti non solo a monetizzare interventi di sostegno al reddito, ma soprattutto di favorire e sostenere processi di inclusione sociale.

Con Il Decreto-Legge 28 gennaio 2019, n. 4 è stato istituito il Reddito di Cittadinanza che si connette ad una politica di protezione sociale che indica, secondo un orientamento che è presente in vari studi ed analisi condotte sia a livello europeo (Francia, Olanda, Germania. Olanda) sia a livello nazionale (in particolare gli sudi del Prof. Domenico De Masi) l’opportunità di superare modelli vetusti di lotta alla povertà (fra cui sono particolarmente discutibili i provvedimenti che si riferiscono all’utilizzazione degli scarti alimentari da destinare ai poveri “conclamati”), per avviare, con l’aiuto e l’orientamento di professionisti competenti (gli Assistenti sociali), a superare la condizione di “stagnazione assistenziale” onde costruire il proprio progetto di inclusione e di realizzazione, come sopra indicato.

In tale contesto è stato previsto il “Patto per il lavoro e Patto per l’inclusione sociale che assume le caratteristiche del progetto personalizzato articolato sugli interventi e i servizi sociali di competenza del Comuni.

Dopo i tre anni di vigenza dall’aprile del 2019 a dicembre del 2023, è stata disposta la chiusura del Reddito di Cittadinanza.

Il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali con il DM 26 luglio 2021, ha approvato il programma annuale di distribuzione di derrate alimentari per l’anno 2021, pari a 46,9 milioni di euro per l’anno 2021.

Analogamente con DM 17 maggio 2022, Programma di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti – anno 2022, è stato adottato il programma annuale di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti per l’anno 2022, utilizzando le risorse del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti.

Il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile con delibera 9 giugno 2021 ha approvato il programma operativo complementare (POC) di azione e coesione «inclusione 2014-2020». nel quale contesto è compreso il programma asse 1 “sostegno a persone in povertà e marginalità estrema.

Nel 2023 è stata portata avanti una decisa azione volta a ridefinire i parametri per la lotta alla povertà che sono stati articolati su vari livelli: un primo livello è consistito nella netta separazione fra le famiglie in condizione di disagio comprovato con anziani e disabili al suo interno, con un ISEE inferiore a 9.360, per le quali è disposto l’Assegno di inclusione a decorrere dal 1° gennaio 2024, istituito, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 48 del 2023, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro.

Per le famiglie in condizioni di assoluta indigenza con un ISEE inferiore a € 15.000 e con almeno tre componenti è stata introdotta nel 2023 “Social Card”, ossia la carta “dedicata a te” resa operativa a partire dal mese di luglio 2023, con un importo di € 382,50, erogato attraverso la rete Postepay.

Dal mese di settembre 2004 la “carta” è stata finanziata da un fondo ad hoc da 500 milioni di euro e da un secondo stanziamento di 100 milioni di euro, che ha raggiunto 1 milione e 200 mila nuclei familiari nel 2023, e 1,3 milioni nel 2024, con una dotazione per famiglia pari a . € 500, utilizzabile fino al 28 febbraio 2025.

Con la legge 18 novembre 2024, n. 176, Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora, è stato istituito un fondo, con una dotazione di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, per il finanziamento di un programma sperimentale, da attuare nelle città metropolitane, per assicurare progressivamente il diritto all’ assistenza sanitaria alle persone senza dimora, prive della residenza anagrafica nel territorio nazionale o all’estero, che soggiornano regolarmente nel territorio italiano.

Con il DPCM 21 gennaio 2025, n. 24, Regolamento recante principi e criteri per la definizione delle modalità applicative delle agevolazioni tariffarie in favore degli utenti domestici del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in condizioni economico-sociali disagiate, sono stati individuati i principi ed i criteri per le agevolazioni tariffarie in favore degli utenti i del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani che si trovino in condizioni economico-sociali disagiate, ai quali viene riconosciuto il “ bonus sociale per i rifiuti” con ISEE non superiore a 9.530 euro, elevato a 20.000 euro ai nuclei familiari con almeno quattro figli a carico.

Con la legge 24 aprile 2025, n. 60, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 febbraio 2025, n. 19, recante misure urgenti in favore delle famiglie e delle imprese di agevolazione tariffaria per la fornitura di energia elettrica e gas naturale nonché per la trasparenza delle offerte al dettaglio e il rafforzamento delle sanzioni delle Autorità di vigilanza, è stato disposto, per l’anno 2025, il riconoscimento di un contributo straordinario del valore di 200 sulle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con valori dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) fino a 25.000.

CONSIDERAZIONI

L’azione dei Governi succeditisi nel corso degli anni nei confronti della lotta ed al contrasto alla povertà, è caratterizzata da una fluttuazione di provvedimenti che specialmente nell’ultimo quinquennio hanno il carattere e l’approccio alla ricerca ed alla scelta di soluzioni.

Nel governo 2021-2022, sono state portate avanti specifiche azioni per la lotta ed il contrasto alla povertà, ed è stato approvato il Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà (con il DM 30 dicembre 2021 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), e ripartito il fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale relativo al triennio 2021-2023 – che fa seguito al precedente piano 2018-2020 – con un finanziamento di 619 mln di euro per il 2021, 552 mln per il 2022, 439 mln per il 2023.

Il piano, corredato da apposite linee guida e schede tecniche, si è proposto di definire su tutto il territorio nazionale omogenee ed uniformi azioni di intervento, collegate ai “LEPS”: rafforzamento dei servizi per l’attuazione del Reddito di Cittadinanza valutazione multidimensionale, progetto personalizzato e attivazione dei sostegni; pronto intervento sociale; servizi per la povertà e la marginalità estrema; accessibilità ai diritti esigibili: la residenza; presa in carico e accompagnamento per l’accesso alle prestazioni universali-centri servizi per il contrasto alla povertà.

In relazione all’emergenza COVID sono state introdotte diverse misure non solo in ambito sanitario ma anche sociale, da parte dello Stato e da parte delle diverse Regioni italiane.

Particolare attenzione è stata conferita allo sviluppo ed al finanziamento del Servizio Sociale Professionale realizzato negli Ambiti Sociali Territoriali.

Proprio con il decreto legislativo n. 147/2017 e con il Piano nazionale per la lotta alla povertà si è avviato un deciso percorso volto a rafforzare il Servizio Sociale Professionale negli Ambiti Territoriali Sociali, e quindi all’obiettivo, come già sostenuto da Abhijit V. Banejee e da Esther Duflo (premio Nobel per ‘economia nel 2019) nel libro “L’economia dei poveri”, di superare il concetto di sussidio per giungere alla prospettiva concreta attuazione di promozione dell’autonomia e della liberazione dal bisogno, con adeguati programmi di intervento sociale e di politiche volte ad orientare e sostenere le persone in stato di povertà e le loro famiglie.

L’attuale governo, entrato in carica nell’ottobre 2022, ha avviato una politica che ha in effetti limitato gli interventi nei confronti della lotta alla povertà, secondo una impostazione che, anche a seguito di clamorosi abusi e di una assoluta criticità nel governare il R.d.C,, ha condotto ad una separazione concettuale fra in poveri in condizione di occupabilità, colpevolizzati nel loro stato ed indotti a trovarsi un lavoro, e i poveri inabili e non occupabili, beneficiabili di un aiuto economico: il R.d.C. è stato soppresso e sostituito dall’assegno di inclusione, inteso quale possibile titolo a fruire del beneficio solo a certe condizioni.

Inoltre è stata evidenziata una netta separazione fra la condizione della povertà conclamata, certificata e stigmatizzata con apposite indicazioni, atte a definire l’area della stagnazione assistenziale, definita in appositi provvedimenti volti ad erogare limitatissimi finanziamenti di sostegno economico (circa un euro al giorno) ad 1.3000.000 famiglie, con la “Social Card”, (per spese alimentari; spese mediche; bollette luce e gas), e la riduzione finanziaria del Programma di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti – anno 2023, persone indigenti, che è passato da 7.900.000,00 euro per l’anno 2022 a 6.900.000 euro per il 2023.

Si è quindi determinato un complesso di azioni orientate da una parte alla monetizzazione del bisogno, e dall’altra e prevedere misure di sostegno per le persone e famiglie, certificate indigenti, di carattere alimentare ed energetico, peraltro assolutamente limitate.

CONSIDERAZIONI FNALI

In termini generali la protezione sociale va ritenuta una conquista propria dell’Europa, che fin dalla fine dell’800 ha avviato e progressivamente sviluppato politiche di protezione sociale.

La base di riferimento per il nostro paese è la Costituzione della Repubblica, ed in tale prospettiva varia è stata l’attenzione posta dai Governi, dalle forze politiche, dalle Organizzazioni sindacali, dalla società civile nelle sue espressioni organizzate (associazioni, volontariato, ecc.) a promuovere un sistema di protezione sociale basato sui tre pilastri fondamentali: Previdenza; Sanità; Assistenza, secondo i canoni classici del welfare europeo.

A fronte di quanto prospettato dalla legge 833/1978 sul Servizio Sanitario Nazionale e della legge 328/2000, si sta assistendo da una parte alla insostenibilità di un sistema sanitario non in grado d dare risposte adeguate alla richiesta di servizi, che trova nelle liste di attesa il più eclatante esempio di inefficienza, e dall’altra ad una surrettizia introduzione di tentativi di privatizzazione, alimentando in effetti un mercato socio-sanitario che assorbe risorse pubbliche a proprio vantaggio.

Dal quadro complessivo delle politiche di protezione sociale intervenute nel corso degli anni, e comunque con riferimento alla situazione attuale, si rileva quanto segue:

  • nel corso del 2024 sono già scaduti alcuni piani nazionali (piano sociale nazionale, non autosufficienza, povertà);

  • Il perseguimento di specifiche azioni e interventi per specifiche aree di intervento (anziani, famiglie, minori, persone con disabilità, persone non autosufficienti, sono accennate e comunque non pienamente definite e concretizzate;

  • Si è assistito ad un accanimento normativo nei confronti della povertà, spezzettando in categorie e sottocategorie i poveri in relazione alla “ricchezza” posseduta in base al “limes” dell’ISEE che varia da 15.000 a 9360, a 6.000 euro a cui destinare la concessione dei benefici, non più indicati quali livelli essenziali, bensì quali paternalistiche e provvisorie erogazioni, peraltro variabili di anno in anno, ed affidate ad un unico ente erogatore, l’INPS, con il ruolo dei comuni preposti all’elenco dei poveri (di venerata memoria) da trasmettere all’INPS stesso. Secondo la Caritas la povertà oggi è ai massimi storici ed è da intendersi come fenomeno strutturale del Paese.

  • Si è assistito ad un altrettanto accanimento normativo nei confronti delle persone immigrate, che peraltro sono ancora in parte tutelate dal d.lgs. 289/98, e che sono oggetto di limitazioni, ostacoli, costosissime misure di internamento e di espulsione (come il caso dell’Albania), costosissime misure di una specie di fidejussione da versare per non essere internato, di mancanza di autentiche politiche di accoglienza, mentre continuano a morire con uno stillicidio angoscioso vite umane.

  • Si sono peraltro ereditate politiche di protezione sociale avviate dai governi precedenti (assegno universale per i figli, sistema educativo bambini 0-6 anni, caregiver familiare, violenza di genere, persone con disabilità, nonché interventi finanziari agli Enti locali attraverso il Fondo solidarietà per lo sviluppo di specifici servizi sociali )asili nido) e il Fondo povertà per l’assunzione di Assistenti sociali, sulla base di fondi già prenotati da governi precedenti).

  • Si assiste ad un filo diretto Stato-cittadino, di napoleonica memoria, volto ad enfatizzare i provvedimenti attuati, e all’ impiego di Istituti centrali atti allo scopo, che mortifica il principio della sussidiarietà verticale e del più immediato rapporto cittadino e servizi di prossimità.

Infine si richiama quanto afferma il Prof. Piketty, secondo il quale lo Stato sociale non può prescindere dallo Stato fiscale, da cui viene alimentato, e nel corso degli anni, in relazione ai vari governi che si sono succeduti negli ultimi trenta anni, il sistema fiscale è stato oggetto di vari provvedimenti di condono e quindi con la rinuncia da parte dello Stato ed un effettivo perseguimento dell’evasione fiscale ed all’evasione dei contributi sociali e previdenziali, con la assoluta impossibilità di definire un sistema equo e sostenibile, che si basa sul concorso universale di tutti alla composizione della spesa pubblica.

La mancanza di una politica di equità e di rigore nella definizione delle politiche fiscali, da una parte conduce ad una iniquità contributiva e distributiva a vantaggio di molte categorie di evasori, e dall’altra, ignorando il principio che tante gocce fanno gli oceani, a condizione che nessuna sfugga o si evapori, e quindi la fissazione di una contribuzione giusta e diffusamente ripartita, si determina la costituzione di tanti serbatoi circoscritti e facilmente individuabili che in effetti sono destinati ad inaridirsi.

In ultima analisi il sistema fiscale deve essere inteso nella sua proprie funzione di “ritorno fiscale” in termini di servizi e di organizzazione della Pubblica Amministrazione, tale da ristorare il cittadino nel suo dovere di contribuire, in quanto produttore di reddito, alle spese dello Stato.

La mancanza di una decisa azione volta a definire un equo sistema fiscale secondo principi già indicati nella Costituzione, porta alla abnorme crescita del debito pubblico che fa del nostro paese il più esposto al pericolo di default (già adesso vengono pagati dai cittadini oltre 80 mld di euro per pagare gli interessi sul debito), e nelle attuali prospettive che vedono la soluzione nella “pace fiscale”, si ritiene che permangono molti dubbi sul perseguimento degli obiettivi di riduzione del debito pubblico, e conseguentemente la riduzione di fondi per lo svolgimento delle politiche sociali e del potenziamento dei servizi pubblici, privilegiando il ricorso alla privatizzazione dei servizi sociali.

Si ritiene assolutamente necessaria e non procrastinabile una decisa ripresa da parte dello Stato di una funzione di indirizzo e coordinamento da realizzare con il rilancio della Programmazione sociale pluriennale, con la per lo svolgimento di adeguate politiche strutturali e di sistema, con la definizione dei LEP e relativo finanziamento, il ruolo determinante delle Regioni e degli Enti locali associati negli ATS.

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