L’ASSISTENZA PENITENZARIA ED IL SERVIZIO SOCIALE PENITENZIARIO,  di Luigi Colombini, dicembre 2025

L’ASSISTENZA PENITENZARIA ED IL SERVIZIO SOCIALE PENITENZIARIO

di Luigi Colombini

già Docente di legislazione ed organizzazione dei servizi sociali – Università statale UNITRE – Roma – Corsi di laurea in DISSAIFE e MASSIFE

Collaboratore del Sindacato Nazionale Unitario Assistenti Sociali – SUNAS – e del Centro Studi IRIS Socialia e redattore di OSSERVATORIO LEGISLATIVO SUNAS

PREMESSA

Il complesso, doloroso ed angoscioso fenomeno sociale della vita carceraria, pur connessa all’espiazione di una pena conseguente ad un reato, è pur tuttavia tale da dover essere inquadrato nella prospettiva di poter avviare, a fronte della difesa sociale che la società pone attraverso il diritto, rispetto alle misure restrittive, un percorso volto alla prospettiva della redenzione e della re-inclusione sociale.

È in tale contesto che va richiamato l’articolo 27 della nostra Costituzione che, dopo la turpe esperienza del fascismo, che istituì i tribunali speciali per perseguire gli oppositori al regime, fino all’epilogo finale di un tribunale appositamente costituito per condannare a morte i suoi presunti oppositori interni nel processo di Verona, recita che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Per inciso, quale premessa fondamentale, si ritiene necessario ricordare che il concetto di “assistenza” si è venuto a determinare nella sua piena distinzione dalla beneficenza, assumendo comunque una sua identità assolutamente differente; infatti la beneficenza propone una attività volta ad erogare un beneficio, in senso paternalistico ed unilaterale, mentre l’assistenza postula l’esistenza di un rapporto fra chi presta – in base al proprio sapere e preparazione – aiuto e chi lo riceve, in una dimensione interattiva, secondo la stessa etimologia del termine: ad-sistemy: stare presso), significando con ciò l’attenzione, la cura e la premura di un operatore qualificato a offrire la propria prestazione professionale rivolta a persone, a gruppi, a famiglie in condizioni di bisogno, e nella prospettiva di un suo deciso superamento e quindi il raggiungimento della piena autonomia.

Pertanto l’ assistenza, nella prospettiva di un suo ruolo rinnovato rispetto al passato, secondo le linee di intervento tracciate nel Convegno di Tremezzo dell’0ttobre 1946, voluto dal Ministro Emilio Sereni, è stata qualificata “sociale”, e in tale contesto rilanciata la figura dell’Assistente Sociale.

Il primo riferimento costituzionale è posto dall’art. 38 della Costituzione della Repubblica, dove è affermato che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

LA PRIMA AFFERMAZIONE DEL SERVIZIO SOCIALE E DEGLI ASSISTENTI SOCIALI NEL DIRITTO PENITENZIARIO

Al riguardo è fondamentale porre l’attenzione all’ affermarsi del DIRITTO PENITENZIARIO che si occupa della disciplina giuridica dell’esecuzione della pena, sia carceraria che alternativa alla detenzione, e della tutela dei diritti dei detenuti. 

Si basa sui principi di rieducazione della pena, come sancito dalla Costituzione, e regola l’esecuzione della pena attraverso il trattamento penitenziario, le misure alternative, i permessi e le altre garanzie per il reinserimento sociale.  

Nel complesso percorso storico che ha portato all’attuale quadro normativo in materia penitenziaria, si ritiene doveroso ricordare che a fronte di una conclamata ed evidente situazione di disagio personale, familiare e sociale, foriero di devianza e di criminalità, sono noti gli studi di Cesare Lombroso, di Salvatore Ottolenghi, fino al prof. Benigno di Tullio, che ha rilanciato gli studi in materia  legandoli alla Medicina sociale e Neuropsichiatria, e con la collaborazione del prof. Sante de Sanctis, primo docente dell’ Istituto di Psicologia all’ Università La Sapienza di Roma, e direttore della cattedra di Neuropsichiatria, creò il primo “Consultorio di medicina pedagogica emendativa per minori irregolari nella condotta”, che ben presto divenne un riferimento per la rieducazione e il contenimento di giovani portati a delinquere.

È bene anche ricordare che con R.D.L. del 20 luglio 1934 n.1404,  convertito con modificazioni dalla L. 27 maggio 1935, n. 835 fu disposta l’istituzione del Tribunale dei minorenni, con una specifica una competenza in materia di rieducazione dei minori con manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere.

A tale riguardo, si richiamano le indicazioni e gli studi del Prof. Alfredo Carlo Moro, già presidente del tribunale dei minorenni di Roma, “Manuale di diritto minorile”, dove sono tratteggiati i rapporti “minore-famiglia”, “minore e recupero sociale”, “minore e salute”; “minore e lavoro”; “minore e scuola”; “minore e mass media”.

Correlativamente a tale orientamento politico-istituzionale volto a dare piena attuazione all’art 27 della Costituzione sopra citato, fin dai primi anni del secondo dopoguerra si giunse alla progressiva affermazione del Servizio Sociale Professionale, e della professione di Assistente Sociale, e la sua prima ufficializzazione è stata costituita dalla Legge 16 luglio 1962, n. 1085, “Ordinamento degli uffici di servizio sociale e istituzione dei ruoli del personale del predetto servizio”.

In tale contesto è stata disposta la istituzione degli uffici di servizio sociale, peraltro già previsti dall’art. 1 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, costituiti in ciascun capoluogo di distretto di Corte d’appello o di sezione di Corte d’appello.

Gli uffici di servizio sociale, nell’ambito dei centri di rieducazione per minorenni e in relazione a provvedimenti penali, civili e amministrativi dell’autorità giudiziaria, “svolgono inchieste e trattamenti psicologico-sociali ed ogni altra attività diagnostica e rieducativa, concorrendo, ove occorra, con i competenti organi del Ministero dell’interno o di altre amministrazioni ed enti”.

Gli uffici di servizio sociale possono altresì essere incaricati di studi e di inchieste sociologiche aventi attinenza con la prevenzione della delinquenza minorile. 

Fondamentale è la disposizione che ha istituito i ruoli del personale degli uffici di servizio sociale:

Personale direttivo e personale di concetto di servizio sociale, in base all’ allora vigente DPR n. 3 del 10 gennaio 1957.

Veniva in proposito specificato, fra i requisiti per l’accesso, il riferimento al certificato di qualificazione professionale rilasciato da una scuola biennale o triennale di servizio sociale, e la  specificazione delle qualifiche della carriera direttiva di servizio sociale:

  • ispettore di servizio sociale;

  • dirigente superiore di servizio sociale;

  • dirigente di servizio sociale;

  • dirigente aggiunto di servizio sociale;

  • vice dirigente di servizio sociale.

Le qualifiche della carriera di concetto di servizio sociale erano le seguenti:.

  • assistente sociale superiore;

  • primo assistente sociale;

  • assistente sociale;

  • assistente sociale aggiunto;

  • vice assistente sociale.

Da notare che tale riconoscimento della professione dell’Assistente Sociale è intervenuto ancor prima (circa trenta anni) della legge 23 marzo 1993, n. 84, istitutiva dell’Ordine degli Assistenti Sociali, e peraltro limitata ad un settore particolare della Pubblica Amministrazione.

LA RINNOVATA VISIONE DELL’ ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Nel prosieguo della crescente attenzione sia al dettato costituzionale ed all’art. 27, sia ad una necessaria rimodulazione del sistema carcerario, con la legge 26 luglio 1975, n. 354, sono state dettate le disposizioni relative all’ ordinamento penitenziario in Italia

La suddetta legge ha disciplinato l’esecuzione delle pene e delle misure privative della libertà, stabilendo che ”il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e dignità, imparziale, e finalizzato al reinserimento sociale del reo”.

I più importanti principi direttivi indicati nella legge sono possono delineate secondo quanto illustrato di seguito.

Principi del trattamento

Il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona. Esso è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a sesso, identità di genere, orientamento sessuale, razza, nazionalità, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi.

Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.

Le finalità del trattamento: 

Lo scopo del trattamento è favorire l’autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l’integrazione, con l’obiettivo finale del reinserimento sociale, e si conforma a modelli che favoriscono l’autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l’integrazione.

Il riconoscimento dei diritti fondamentali: 

La legge garantisce i diritti fondamentali delle persone private della libertà e vieta ogni forma di violenza fisica e morale in suo danno.

La disciplina interna

L’ordine e la disciplina all’interno degli istituti devono essere mantenuti nel rispetto dei diritti dei detenuti e non possono essere imposte restrizioni non giustificabili con le esigenze di ordine e disciplina, o non indispensabili per fini giudiziari (nel caso degli imputati). 

Negli istituti l’ordine e la disciplina sono mantenuti nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà.

L’identificazione

I detenuti e gli internati devono essere chiamati o indicati con il loro nome. 

Le misure alternative

La legge ha introdotto strumenti importanti come:

  • l’affidamento in prova ai servizi sociali

  • la semilibertà

la detenzione domiciliare. 

L’assistenza volontaria: 

Viene prevista la possibilità di organizzare un sistema di assistenza volontaria per il sostegno morale e il reinserimento sociale dei detenuti.

L’ assistenza alle famiglie:

Di estrema importanza nel contesto della legge è l’istituzione di una assistenza rivolta sia alle famiglie alle famiglie degli internati, rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolarne il reinserimento sociale.

L’assistenza post-penitenziaria:

I detenuti e gli internati ricevono un particolare aiuto nel periodo di tempo che immediatamente precede la loro dimissione e per un congruo periodo a questa successivo.

Il definitivo reinserimento nella vita libera è agevolato da interventi di servizio sociale svolti anche in collaborazione con gli enti pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale.

Le misure alternative alla detenzione e remissione del debito: il ruolo del servizio sociale

Il definitivo riconoscimento del servizio sociale è indicato dall’articolo 47 della legge, dove è disposto che se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.

L’istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell’esecuzione.

Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, se il soggetto è recluso, e mediante l’intervento dell’ufficio di esecuzione penale esterna, se l’istanza è proposta da soggetto in libertà, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

IL SERVIZIO SOCIALE E L’ASSISTENZA PENITENZIARIA

Nel contesto della legge sono istituiti gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) sono articolazioni territoriali del Ministero della giustizia e si occupano dell’esecuzione di misure e sanzioni di comunità, supportando il reinserimento sociale di persone in esecuzione penale esterna.

Svolgono indagini sociali, elaborano e verificano programmi di trattamento, conducono inchieste per la magistratura di sorveglianza e si interfacciano con le comunità locali e gli enti del territorio. 

Funzioni principali

  • Indagini sociali: Esaminano la situazione socio-familiare dei soggetti che richiedono misure alternative, pene sostitutive o messa alla prova.

  • Programmi di trattamento: Elaborano e verificano i programmi di trattamento da applicare alle persone coinvolte.

  • Supporto nella giustizia riparativa. 

  • Consulenza agli istituti penitenziari: Forniscono consulenza agli istituti di pena per favorire il buon esito del trattamento penitenziario.

  • Esecuzione di sanzioni: Si occupano dell’esecuzione di sanzioni come il lavoro di pubblica utilità e le pene sostitutive.

  • Collaborazione: Lavorano a stretto contatto con enti locali, associazioni di volontariato e cooperative sociali per realizzare il reinserimento sociale. 

All’interno degli U.E.P.E operano figure professionali come assistenti sociali, psicologi, criminologi, educatori.

Di particolare rilievo si segnalano le pubblicazioni di Celso Coppola e di Giuseppe Certomà intorno alle loro esperienze professionali ed umane negli Uffici di Esecuzione Penale Esterna.

IL SUCCESSIVO SVILUPPO DEL DIRITTO PENITENZIARIO: LA GIUSTIZIA RIPARATIVA

Con la legge 27 settembre 2021, n. 134, Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari – (Riforma del processo penale), sono stati introdotti riferimenti specifici   e principi e criteri direttivi connessi alle direttive europee in materia.

a) introdurre, nel rispetto delle disposizioni della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, e dei principi sanciti a livello internazionale, una disciplina organica della giustizia riparativa quanto a nozione, principali programmi, criteri di accesso, garanzie, persone legittimate a partecipare, modalità di svolgimento dei programmi e valutazione dei suoi esiti, nell’interesse della vittima e dell’autore del reato;

b) definire la vittima del reato come la persona fisica che ha subito un danno, fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono state causate direttamente da un reato; considerare vittima del reato il familiare di una persona la cui morte è stata causata da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona; definire il familiare come il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, nonché i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle e le persone a carico della vittima;

c) prevedere la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l’esecuzione della pena, su iniziativa dell’autorità giudiziaria competente, senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità, sulla base del consenso libero e informato della vittima del reato e dell’autore del reato e della positiva valutazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’utilità del programma in relazione ai criteri di accesso definiti ai sensi della lettera a);

d) prevedere, in ogni caso, che le specifiche garanzie per l’accesso ai programmi di giustizia riparativa e per il loro svolgimento includano: la completa, tempestiva ed effettiva informazione della vittima del reato e dell’autore del reato, nonché, nel caso di minorenni, degli esercenti la responsabilità genitoriale, circa i servizi di giustizia riparativa disponibili; il diritto all’assistenza linguistica delle persone alloglotte; la rispondenza dei programmi di giustizia riparativa all’interesse della vittima del reato, dell’autore del reato e della comunità; la ritrattabilità del consenso in ogni momento; la confidenzialità delle dichiarazioni rese nel corso del programma di giustizia riparativa, salvo che vi sia il consenso delle parti o che la divulgazione sia indispensabile per evitare la commissione di imminenti o gravi reati e salvo che le dichiarazioni integrino di per sé reato, nonché la loro inutilizzabilità nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena;

e) prevedere che l’esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa possa essere valutato nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena; prevedere che l’impossibilità di attuare un programma di giustizia riparativa o il suo fallimento non producano effetti negativi a carico della vittima del reato o dell’autore del reato nel procedimento penale o in sede esecutiva;

f) disciplinare la formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa, tenendo conto delle esigenze delle vittime del reato e degli autori del reato e delle capacità di gestione degli effetti del conflitto e del reato nonché del possesso di conoscenze basilari sul sistema penale; prevedere i requisiti e i criteri per l’esercizio dell’attività professionale di mediatore esperto, in programmi di giustizia riparativa e le modalità di accreditamento dei mediatori presso il Ministero della giustizia, garantendo le caratteristiche di imparzialità, indipendenza ed equiprossimità del ruolo;

g) individuare i livelli essenziali e uniformi delle prestazioni dei servizi per la giustizia riparativa, prevedendo che siano erogati da strutture pubbliche facenti capo agli enti locali e convenzionate con il Ministero della giustizia; prevedere che sia assicurata la presenza di almeno una delle predette strutture pubbliche in ciascun distretto di corte d’appello e che, per lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa, le stesse possano avvalersi delle competenze di mediatori esperti accreditati presso il Ministero della giustizia, garantendo in ogni caso la sicurezza e l’affidabilità dei servizi nonché la tutela delle parti e la protezione delle vittime del reato da intimidazioni, ritorsioni e fenomeni di vittimizzazione ripetuta e secondaria.

A tale legge ha fatto seguito il decreto legislativo n. 150 del 2022 e la disciplina organica della giustizia riparativa, che approfondisce ancora di più il quadro normativo.

La definizione della giustizia riparativa

Consiste in ogni programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore

La conclusione del percorso è l’ esito riparativo, che consiste in qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti.

L’accordo evidenzia da un lato la natura ontologica dello strumento giuridico fondato sul consenso, la volontà e l’incontro delle pretese delle posizioni personali di più parti e dall’altro l’aspetto dinamico – il dialogo e l’incontro – del programma di Giustizia Riparativa.

L’accordo con il fine della riparazione deve essere idoneo a rappresentare il riconoscimento reciproco, la ricostruzione delle relazioni tra i partecipanti.

Il riconoscimento reciproco, la ricostruzione delle relazioni sono concetti aperti non predeterminati e perciò stridono con il diritto penale – che al contrario necessita di determinatezza, tipicità e di tassatività – e con il processo penale in cui il principio di legalità è principio cardine specie per l’applicazione e la valutazione da parte del giudice.

I servizi di giustizia riparativa:

Consistono in tutte le attività relative alla predisposizione, al coordinamento, alla gestione e all’erogazione di programmi di giustizia riparativa.

Il Centro per la giustizia riparativa è la struttura pubblica cui competono le attività necessarie all’organizzazione, gestione, erogazione e svolgimento dei programmi di giustizia riparativa.

Vi operano esclusivamente i mediatori esperti indicati nella definizione di giustizia riparativa.

Ai Centri pubblici, almeno uno in ogni corte di Appello è anche affidata, in parte qua, la formazione dei mediatori esperti sia sotto il profilo teorico che pratico

IL RUOLO DEL SERVIZIO SOCIALE NELLA GIUSTIZIA RIPARATIVA

Il servizio sociale collabora con la giustizia riparativa focalizzandosi sulla riparazione del danno, la rieducazione, il reinserimento sociale e il supporto a vittime e autori di reato, spesso attraverso la mediazione.

L’assistente sociale può svolgere un ruolo cruciale nei percorsi di giustizia riparativa, sia all’interno degli istituti penali che sul territorio, promuovendo la costruzione di relazioni, la risoluzione pacifica dei conflitti e la partecipazione comunitaria. 

Analisi delle funzioni:

  • Supporto a vittime e autori: l’assistente sociale si occupa di assistenza alle vittime e di programmi di riabilitazione per gli autori di reato, con l’obiettivo di riparare il danno sia materiale che emotivo.

  • Mediazione: può facilitare incontri tra le persone coinvolte per favorire dialogo e comprensione, in un processo di riconciliazione e reinserimento sociale.

  • Partecipazione comunitaria: promuove iniziative comunitarie per la risoluzione pacifica dei conflitti e il supporto ai percorsi di giustizia riparativa.

  • Lavori socialmente utili: può coordinare i percorsi di volontariato e i lavori socialmente utili, contribuendo al reinserimento sociale e alla sicurezza della collettività, riducendo il rischio di recidiva. 

Aree di intervento

  • In ambito penale: l’assistente sociale partecipa a programmi di giustizia riparativa per reati di diversa gravità, sia in fase istruttoria che di esecuzione.

  • In ambito minorile: può includere i processi riparativi nei progetti educativi personalizzati per i minorenni.

  • Fuori dal carcere: interviene nel territorio per supportare il reinserimento di persone che scontano pene alternative. 

Obiettivi comuni

  • Riparazione globale del danno: non si limita al risarcimento economico, ma mira anche a una riparazione emotiva e sociale del reato.

  • Responsabilizzazione e reintegrazione: aiuta l’autore del reato a riconoscere l’impatto delle proprie azioni e la comunità a integrarlo.

  • Sicurezza sociale: mira a rafforzare la sicurezza della comunità attraverso il reinserimento sociale e la riduzione del rischio di recidiva. 

I CARDINI FONDAMENTALI DELL’ASSISTENZA PENITENZIARIA

IL SERVIZIO SANITARIO PENITENZIARIO

l Servizio Sanitario Penitenziario garantisce l’assistenza sanitaria a detenuti e internati, integrando il Servizio Sanitario Nazionale nelle strutture carcerarie.

La sua responsabilità è assicurare cure e profilassi, basandosi sulla normativa italiana ed europea, con il coinvolgimento delle Regioni e delle Aziende Sanitarie Locali (ASL).

L’obiettivo è fornire livelli di assistenza analoghi a quelli dei cittadini liberi, anche attraverso risorse dedicate come infermerie, farmacie e, negli istituti più grandi, Centri Diagnostici Terapeutici. 

Obiettivi e principi

  • Tutela del diritto alla salute: deve essere garantito il diritto fondamentale alla salute dei detenuti, in linea con i principi costituzionali e le normative internazionali.

  • Assistenza equiparata: I livelli di prestazione devono essere il più possibile equiparabili a quelli offerti all’esterno, promuovendo salute e cure.

  • Integrazione con il SSN: Il servizio è parte della rete dei servizi regionali e si integra con il Servizio Sanitario Nazionale per garantire continuità e completezza delle cure. 

Funzionamento e organizzazione

  • Responsabilità delle Regioni: Le Regioni sono responsabili del controllo e del buon funzionamento dei servizi sanitari negli istituti penitenziari.

  • Strutture interne: Ogni istituto è dotato di un servizio medico e farmaceutico, che può includere infermerie, armadi farmaceutici e attrezzature per la diagnosi.

  • Personale e visite: È prevista la presenza continuativa di un medico, con visite quotidiane ai detenuti malati e a richiesta. Vengono svolte visite mediche all’ingresso per accertare le condizioni di salute e verificare eventuali segni di maltrattamenti.

  • Assistenza specialistica: Qualora non sia possibile offrire cure specialistiche all’interno del carcere, i detenuti vengono trasferiti in strutture sanitarie esterne, con la dovuta supervisione e, dove possibile, evitando il piantonamento.

  • Promozione della salute: Vengono promosse iniziative per correggere stili di vita e fattori di rischio, attraverso l’uso di spazi idonei, diete specifiche e informazione sanitaria, spesso con l’ausilio di figure come i promotori della salute. 

Aspetti specifici

  • Salute femminile: Negli istituti penitenziari femminili sono presenti servizi speciali per l’assistenza sanitaria di gestanti e puerpere.

  • Malattie infettive: In caso di diagnosi di malattia contagiosa, vengono attivate misure di controllo, come l’isolamento, e viene fornita informazione sui modi di trasmissione.

  • Telemedicina: Si sta lavorando per estendere l’uso della telemedicina e del teleconsulto, per garantire la continuità assistenziale ed evitare trasferimenti non necessari. 

IL SERVIZIO SOCIALE PENITENZIARIO

Dall’analisi della normativa intorno all’assistenza penitenziaria, si ritiene che accanto al diritto alla salute (art. 32 della Costituzione) che è riconosciuto a tutti i cittadini quale universale ed inalienabile, va connesso il diritto all’assistenza, che si esprime nel servizio sociale penitenziario inteso come l’ insieme di professionisti, enti e strutture che supportano il reinserimento sociale delle persone sottoposte a un percorso giudiziario, sia all’interno che all’esterno delle carceri.

In estrema sintesi e avuto riguardo alla normativa vigente, il suo compito principale è l’attuazione di un programma di trattamento individualizzato che mira alla rieducazione del condannato, ai sensi dell’art. 27 della Costituzione.

In tale contesto gli Assistenti Sociali, in quanto operatori qualificati e preparati secondo i principi, i metodi e le tecniche del Servizio Sociale Professionale (per inciso: il principio dell’ accettazione; il principio della comunicazione; il principio della individualizzazione; il principio della partecipazione; il principio del segreto professionale), svolgono il loro lavoro sociale al fine di:  

  • Osservare e valutare la personalità del detenuto, contribuendo alla stesura del piano di trattamento.

  • Gestire le misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova, la messa alla prova e la semilibertà, monitorando il rispetto delle prescrizioni.

  • Interagire con la famiglia e gli altri ambienti di vita del soggetto per facilitare il suo reinserimento sociale.

  • Operare in sinergia con i servizi e le opportunità presenti sul territorio e gestiti a livello istituzionale dai Comuni, con il proprio servizio sociale, e con i piani sociali di zona;

  • Operare, secondo il metodo del servizio sociale di comunità, con gli Enti del Terzo settore presenti sul territorio (volontariato, associazionismo, cooperative sociali) garantire lo svolgimento di un programma orientato al recupero ed al reinserimento sociale. 

IL QUADRO DELLA TUTELA DEI DIRITTI DEI DETENUTI E GLI ORGANI DI GARANZIA DEI DIRITTI DEI DETENUTI

Già nel film “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy del 1971 fu denunciata la situazione di estrema precarietà e crollo di qualsiasi forma di tutela umana, esistenziale, privata, dei cittadini affidati al braccio secolare della giustizia penale, il carcere, che diventava la disumana sede di espiazione e di esecuzione della pena.

Peraltro negli anni ’70, sull’ onda di una generalizzata richiesta volta a rivendicare lo Stato dei diritti in chiave pro attiva, e quindi a determinare un rapporto Stato-burocrazia e cittadino basato sul riconoscimento allo stesso di reagire e ricorrere a misure di tutela giuridica per l’esercizio dei propri diritti soggettivi ed interessi legittimi, fu istituita in molte Regioni la figura del “Difensore civico”, sulla scia di una lunga tradizione avviata in Svezia, con l’istituzione già nel 1809 dell’ “Ombudsman”, una persona di comprovata indipendenza nominata dal Parlamento e incaricata di controllare i funzionari reali e di riferire all’assemblea parlamentare in merito all’attività dell’amministrazione.

In Italia fu la Toscana la prima Regione a introdurre tale istituto, nominando nel 1975 il primo “Difensore civico”.

Sono seguite tutte le altre Regioni che hanno approvato specifiche leggi in proposito, in un arco di tempo che va dal 1983 al 2009.

Una volta tracciata la strada di tutela dei diritti dei cittadini nei confronti delle Istituzioni e dei suoi provvedimenti ritenuti lesivi di diritti ed interessi, gradualmente sull’onda di un crescente movimento civico e politico volto a definire un sistema di garanzie e di tutela giuridica, sono state approvate specifiche leggi regionali volte a difendere e garantire i diritti dei detenuti.

A tale riguardo si sottolinea che è stata la Regione Valle d’Aosta la prima ad introdurre nella legge regionale 28 agosto 2001 n. 17 istitutiva del Difensore civico regionale, anche la sua specifica funzione di garante dei diritti delle persone detenute, modificata dalla legge regionale 1° agosto 2011, n. 19.

Il garante ha il compito di promuovere e garantire i diritti dei detenuti e può visitare gli istituti penitenziari e parlare con i detenuti senza bisogno di autorizzazione. 

È stata in seguito la Regione Lazio la prima fra le Regioni a Statuto ordinari ad approvare con la legge 6 ottobre 2003 n. 11 il difensore dei diritti dei detenuti, istituendo il ruolo del Garante presso il Consiglio regionale.

Il suo compito è promuovere e tutelare i diritti delle persone detenute negli istituti penitenziari e in altre strutture di privazione della libertà. La legge gli attribuisce poteri di vigilanza, di segnalazione agli organi regionali e di intervento per garantire prestazioni sanitarie, educative e professionali. A tale legge ha fatto seguito la legge regionale 8 giugno 2007, n. 7 “Interventi a sostegno dei diritti della popolazione detenuta della Regione Lazio”

Di seguito si elencano in ordine cronologico le Regioni che hanno istituito il Difensore o il garante dei diritti delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale, a riprova del crescente interesse verso tale problematica, e una breve sintesi dei relativi compiti.

Lombardia:

La legge regionale di riferimento per la tutela delle persone detenute è la legge regionale 14 febbraio 2005, n. 8.

Questa legge disciplina i compiti del Garante, che in Lombardia è svolto dal Difensore regionale. Il suo ruolo è tutelare i diritti delle persone ristrette, con particolare attenzione a sanità, formazione e inserimento lavorativo. 

Puglia:

La legge regionale n. 19 del 10 luglio 2006, n. 19,  istituisce l’Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.

Il Garante ha il compito di vigilare sul rispetto dei diritti di coloro che si trovano negli istituti penitenziari, minorili e per stranieri, assicurando che l’applicazione delle restrizioni avvenga in conformità alla Costituzione e alle leggi, intervenendo in caso di omissioni e proponendo soluzioni. 

Veneto:

La legge regionale 24 dicembre 2013 n. 37 ha istituito il Garante regionale dei diritti della persona, che ha competenze specifiche per i diritti delle persone private della libertà personale.

Questa figura opera attraverso procedimenti non giurisdizionali (come mediazione e facilitazione) per garantire, proteggere e promuovere i diritti di tali soggetti e ha autonomia e indipendenza.

Umbria:

La legge regionale n. 13 del 18 ottobre 2006 ha istituito l’ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale.

Questo organo di garanzia svolge funzioni di tutela per i detenuti e gli individui sottoposti a restrizioni di libertà, ricevendo segnalazioni e sollecitando le autorità competenti. Il Garante si occupa di migliorare la qualità della vita carceraria e di promuovere percorsi di reinserimento sociale e lavorativo. 

Emilia Romagna:

La legge regionale n. 3 del 19 febbraio 2008 istituisce l’Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, modificata poi dalla legge regionale n. 13 del 2011 che ne ha ampliato il mandato.

La legge mira a garantire i diritti delle persone detenute, promuovendo il loro reinserimento sociale e il mantenimento dei legami con la famiglia e la comunità. 

Campania:

La legge regionale n. 24 luglio 2006 n. 18 istituisce l’ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, con il compito di tutelare i loro diritti.

Il Garante opera in piena autonomia e indipendenza per assicurare le prestazioni relative alla salute, istruzione, reinserimento sociale e lavorativo, e segnala eventuali criticità agli organi regionali. L’ufficio è stato istituito presso il Consiglio regionale ed è soggetto a una specifica procedura di elezione e a un mandato per l’intera legislatura. 

Marche:

La legge regionale 28 luglio 2008 n. 23 ha istituito il “Garante regionale dei diritti della persona”, che include la specifica funzione di tutela per le persone detenute, operando come parte dell’istituto del Difensore Civico regionale

Toscana:

La legge regionale principale che istituisce il Garante dei detenuti in Toscana è la Legge Regionale 19 novembre 2009, n. 69.

Questa legge definisce il ruolo del Garante, che ha il compito di promuovere i diritti delle persone private della libertà personale, garantendo l’accesso a servizi e interventi in ambiti come la salute, l’istruzione, la formazione e il reinserimento sociale.

Altre leggi regionali rilevanti includono la L.R. 64/2005 sulla tutela del diritto alla salute e la normativa nazionale, come la Legge sull’Ordinamento Penitenziario (L. 354/1975)

Piemonte:

La legge regionale 2 dicembre 2009, n. 28 ha istituito il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, con sede presso il Consiglio regionale, con l’obiettivo di tutelarne i diritti. 

Sardegna:

La legge regionale 7 febbraio 2011 n. 7 istituisce il Garante dei diritti delle persone detenute, che prevede un sistema integrato di interventi a favore dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e l’istituzione del Garante. Il ruolo è svolto da un Garante regionale che, secondo la legge, può essere affiancato da Garanti comunali, come ad esempio quello della Città Metropolitana di Cagliari. 

Abruzzo:

La legge regionale 23 agosto 2011 n. 35 ha istituito l’Ufficio del Garante presso il Consiglio regionale. L’Ufficio ha il compito di vigilare e contribuire a garantire i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale in materie di competenza regionale, operando con autonomia e indipendenza

Calabria:

Il Garante dei diritti delle persone detenute è istituito come organismo indipendente per la tutela dei diritti delle persone private della libertà personale sul territorio regionale. Il Garante ha accesso libero a tutte le strutture di detenzione e può effettuare colloqui riservati. 

Friuli Venezia Giulia

La Legge Regionale 16 maggio 2014, n. 9 ha istituito il Garante regionale dei diritti della persona. Questo organo, che può intervenire anche a tutela dei detenuti, ha il compito di garantire i diritti, in particolare per i soggetti vulnerabili, in conformità alle normative nazionali e internazionali. 

Liguria

La legge regionale n. 10 del 1 giugno 2020 ha istituito il Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Questo organismo, eletto dal Consiglio regionale, ha il compito di vigilare sulle condizioni di vita dei detenuti e di altre persone sottoposte a misure restrittive, visitando istituti penitenziari, strutture sanitarie, centri di accoglienza e altre strutture deputate. 

Molise:

La legge regionale 9 dicembre 2015 n. 17 ha istituito il Garante regionale dei diritti della persona, con funzioni di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale.

Il Garante interviene d’ufficio o su istanza per sollecitare le amministrazioni, ma anche su iniziativa autonoma. La figura è monocratica, autonoma e indipendente. 

Sicilia:

Con la legge regionale LEGGE 19 luglio 2019, n. 13. Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’, all’art. 2 viene dato ampio rilievo alla istituzione del Garante dei diritti dei detenuti, ai titoli ed alle modalità di accesso alla carica, ed alle sue prerogative.

Basilicata:

La legge regionale della Basilicata che istituisce il garante dei detenuti è la Legge Regionale 3 febbraio 2025, che ha riorganizzato i garanti regionali. Questa legge ha istituito una serie di garanti, tra cui quello per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, che si occupa dei diritti delle persone detenute. Le funzioni sono svolte in autonomia e indipendenza dall’ufficio del Garante regionale dei diritti della persona. 

CONCLUSIONI

Il lungo percorso relativo all’ assistenza penitenziaria, connessa al diritto penitenziario, per come si è articolata sulla base della norma costituzionale di cui all’art. 27, sopra citato, da considerare il faro fondamentale per l’attuazione dei provvedimenti normativi intorno alle persone detenute, mette in evidenza che dal secondo dopoguerra si è sviluppato un progressivo avanzamento di una cultura penitenziaria che ha trovato proprio nel servizio sociale un adeguato riferimento volto a promuovere interventi ed azioni orientate al recupero ed al reinserimento sociale dei detenuti, ed in tale contesto sono assolutamente fondamentali i due perni sui quali si muovono: la prevenzione della recidività e il precipitare nel circuito della criminalità, e la promozione del delicatissimo e tormentato svolgersi della giustizia riparativa, che rappresenta l’ultima conclusione del compimento dell’azione delittuosa.

A tale riguardo si ritiene assolutamente importante individuare i protagonisti del lavoro sociale svolto nell’ ambito carcerario, e, richiamando anche le esperienze di Celso Coppola, di Giuseppe Certomà, si rappresentano i lavori della Dottoressa Isabella Mastropasqua, dirigente del Dipartimento Giustizia Minorile, che con le sue pubblicazioni: L’assistente sociale nella giustizia minorile e di comunità; Nuove esperienze di giustizia minorile; ed il recentissimo “Manuale di giustizia riparativa e lavoro sociale”, mette in assoluta evidenza la sarcina di cui devono provvedersi gli operatori del servizio sociale della giustizia e della giustizia riparativa per affrontare Il loro percorso professionale di assistenza e di aiuto alle persone detenute.

Lascia un Commento se vuoi contribuire al contenuto della informazione