PAOLO FERRARIO
SERVIZI SOCIALI E RIORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO IN LOMBARDIA
Il dibattito e le politiche legislative in materia di servizi sociali hanno attraversato varie fasi.
Negli anni ’70 sono state costituite quelle che potremmo chiamare le impalcature istituzionali del sistema pubblico: con il DPR 616/1977 e con la L. 833/1978 è definito il ruolo del sistema pubblico nello sviluppo dei servizi sociali alla persona. Viene, infatti, completato il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e al Comune sono attribuite le funzioni amministrative relative all’organizzazione e all’erogazione dei servizi sociali. Nello stesso arco di tempo è creata la prima rete delle Unità Sanitarie Locali che va a sostituire ed unificare la precedente organizzazione sanitaria.
Negli anni ’80 le regioni italiane, in momenti diversi e attraverso normative che tengono conto delle specificità territoriali, avviano un processo di consolidamento istituzionale della rete dei servizi sociali, attraverso le cosiddette leggi di riordino. Nella nostra regione, in questa materia, ha giocato un significativo ruolo culturale, organizzativo e professionale la L.R. 1/1986.
Queste sintetiche premesse sono necessarie per inquadrare le problematiche connesse alla futura riorganizzazione della sanità lombarda che si apre con la Legge Regionale 11 luglio 1997 n. 31 “Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei servizi sociali”.
Obiettivo di questo articolo è pertanto quello di fornire alcuni criteri orientativi di lettura di questa normativa.
Sistema istituzionale e ambiti territoriali
La L.R. 31 determina gli ambiti territoriali e definisce l’assetto organizzativo delle Aziende Sanitarie e delle Aziende Ospedaliere, dando un’interpretazione per così dire estremizzata dei decreti legislativi 502/92 e 517/93. Questi ultimi hanno modificato in modo sostanziale la precedente struttura del Servizio Sanitario a livello locale, negando totalmente la centralità di ruolo dei Comuni rispetto alla gestione dei servizi sanitari, e facendo diventare le Unità Sanitarie Locali delle aziende pubbliche a carattere regionale. La normativa lombarda esaspera questi principi legislativi agendo su due cruciali aspetti:
– a livello territoriale sono create 14 Aziende Sanitarie con dimensioni territoriali estremamente ampie (in alcuni casi fino a 800.000 abitanti)
– a livello di politica dei servizi è introdotto il principio della “piena parità di diritti e di doveri fra soggetti erogatori accreditati di diritto pubblico e di diritto privato” (art. 1, c. 1.e) che potrebbe trasformare sempre di più le Aziende sanitarie da soggetti gestori di attività di servizio a soggetti con un progressivo compito di acquirenti di beni e servizi nei confronti di una pluralità di enti esterni.
La problematica delle dimensioni territoriali merita un approfondimento. Il territorio gioca un ruolo determinante nella costituzione dei servizi alla persona, in quanto l’attuale estensione demografica dei Comuni non consente, data la loro forte differenziazione, di individuare un livello adeguato sia alla gestione organizzativa sia allo sviluppo della partecipazione dei cittadini. La legislazione degli anni ’70 aveva tentato di risolvere questo problema con la creazione di una rete di unità sanitarie che svolgesse anche una funzione nell’ambito dei servizi sociali.
La Regione Lombardia, orientandosi verso aziende sanitarie dimensionate su base provinciale (tranne nel caso della Provincia di Milano, dove vengono costituite 4 aziende), necessariamente ottiene l’effetto di allontanare ulteriormente il sistema dei Comuni da quello della sanità. Sotto il profilo storico occorre ricordare che in Lombardia siamo passati dalle 85 Unità Socio-sanitarie Locali del 1980 alle 44 U.S.S.L. del 1993, per arrivare alle attuali 14 Aziende. Un simile processo di azzonamento ha una fortissima influenza sulle problematiche organizzative: mutamenti così rilevanti nel corso di circa un decennio comportano costanti ridefinizioni delle collocazioni professionali e, conseguentemente, del lavoro sociale.
E’ a questo proposito che diventa ancora più rilevante il ruolo del distretto sanitario. Nella L.R. 31/1997 esso è definito come “l’articolazione organizzativa su base territoriale, il cui scopo è di assicurare il coordinamento permanente degli operatori e delle relative funzioni, la gestione dell’assistenza sanitaria, dell’educazione sanitaria, dell’informazione e prevenzione e delle attività socio-assistenziali attribuite alla competenza delle ASL o delegate dai Comuni, dalle Province o dalla Regione”.
La seguente tabella mette in evidenza le sostanziali differenze della posizione funzionale ed organizzativa di tale organizzazione.
AMBITI TERRITORIALI DEI DISTRETTI
|
Anno |
Dimensioni demografiche |
| 1980 | 5.000-15.000 ab.; 15.000-40.000 ab. nelle aree urbanizzate |
| 1993 | 20.000-40.000 ab.; non meno di 40.000 ab. nelle aree urbanizzate |
| 1997-1998 | non meno di 40.000 ab.; non meno di 100.000 ab. in zone ad alta intensità abitativa; minimo 15.000 ab. in zone montane o a scarsa densità abitativa |
In particolare si vede che la soglia dimensionale dei distretti è cresciuta nel corso del tempo. E’ questo una problematica che meriterà grande attenzione nei mesi futuri. Occorre infatti ricercare nei territori della nostra regione spazi e luoghi di comunicazione per lo sviluppo dei servizi alla persona. Tali ambiti non sempre possono essere solamente i Comuni, data la già descritta eterogeneità demografica e funzionale, e neppure le macroscopiche Aziende sanitarie locali. In questo contesto il distretto sembra essere lo spazio culturale da ricercare e costruire. C’è tuttavia un problema di natura istituzionale di cui tenere conto: la distrettualizzazione dell’ASL sarà una decisione di competenza del direttore generale, che, inevitabilmente, sarà portato a considerare prevalentemente le esigenze interne al campo sanitario. Nello stesso tempo, una volta che saranno disegnati i confini organizzativi del distretto, in quello spazio si creerà una potenziale aggregazione di Comuni, i quali potrebbero avere, se opportunamente motivati e sostenuti, strategie associative e cooperative nell’interesse della cittadinanza. Occorre cioè rendere compatibile una decisione tecnica di competenza del direttore generale, nell’ambito del piano di organizzazione dell’Azienda con i più generali e complessivi processi di ascolto dei bisogni, di valorizzazione delle risorse sociali e di decisione democratica di pertinenza delle amministrazioni comunali.
Il rapporto Comuni – Aziende Sanitarie
La L.R. 31 afferma che “l’integrazione delle attività e delle funzioni sanitarie con quelle dei servizi socio-assistenziali è perseguita come obiettivo prioritario e qualificante della rete dei servizi” (art. 6, c.1). Questo obiettivo, che costituisce un tratto permanente della politica dei servizi di questi anni, deve necessariamente confrontarsi con le problematiche connesse all’assetto istituzionale esistente.
In proposito occorre ricordare che ai Comuni spettano le funzioni amministrative in materia di servizi sociali. Nei decreti 502 e 517 è contenuta una norma che prevede la possibilità della “delega di esercizio” delle funzioni: da una parte i Comuni potrebbero volontariamente affidare la gestione dei propri servizi sociali e dall’altra l’Azienda sanitaria potrebbe assumerne la gestione con oneri a totale carico degli enti locali. Queste operazioni amministrative richiedono una fiducia reciproca che è difficile realizzare nelle condizioni normative appena descritte. Infatti, nella Regione Lombardia si è venuta a creare una situazione assolutamente asimmetrica nelle reti locali dei servizi: da una parte i 1.546 Comuni lombardi e dall’altra le 14 ASL e le 27 Aziende ospedaliere.
Più precisamente, la normativa lombarda distingue fra:
– una “gestione integrata”, che si attuerebbe attraverso la delega di funzioni socio-assistenziali degli enti locali, cui restano a carico gli oneri relativi e
– una “gestione associata” che avverrebbe attraverso le forme associative previste dalla L. 142 sui Comuni (convenzioni intercomunali, accordi di programma, consorzi)
Il legislatore lombardo, nella consapevolezza di quanto sia carica di difficoltà la relazione Comuni/ASL, ha individuato alcune modalità che potrebbero favorire la comunicazione fra i due livelli amministrativi. Si tratta della “conferenza dei sindaci” e relativo “consiglio di rappresentanza”, istituiti a livello di ASL, e della “assemblea dei sindaci” e del “consiglio di indirizzo dei servizi sociali”, istituiti a livello di distretto.
Anche in precedenza si è sostenuto che i servizi sociali sono sistemi organizzativi complessi, che si costruiscono attraverso l’intreccio di varie dimensioni:
– crescita culturale della cittadinanza e delle formazioni sociali
– decisioni connesse a politiche di bilancio di competenza di svariati attori istituzionali (enti pubblici, soggetti del privato sociale, volontariato organizzato, soggetti privati)
– organizzazione dei servizi, collegata alle strategie operative dei vari gruppi professionali che agiscono nel sistema sociosanitario.
Non è facile trovare strategie comunicative efficaci in un sistema così complesso. Per farlo occorrono certamente obiettivi, risorse e motivazioni, ma è indispensabile anche un contesto istituzionale favorevole.
L’assetto appena descritto non è certamente vantaggioso per perseguire queste azioni e tuttavia è necessario utilizzarne fino in fondo le potenzialità.
La successiva tavola presenta una rielaborazione della normativa lombarda finalizzata a mettere in evidenza i contesti relazionali nei quali potrebbe essere possibile sviluppare l’analisi dei bisogni sociali, la ricerca delle risorse reali e potenziali, la strutturazione dell’offerta dei servizi.
LIVELLO TERRITORIALE |
ORGANI AMMINISTRATIVI E TECNICI |
FUNZIONI |
| Azienda Sanitaria Locale | – conferenza dei sindaci
– consiglio di rappresentanza dei sindaci |
– formulazione delle linee di indirizzo per l’impostazione programmatica
– analisi dei bilanci
– verifica dell’attuazione dei programmi e dei progetti |
| Distretto sanitario | – assemblea dei sindaci
– consiglio di indirizzo dei servizi sociali
|
– proposte e pareri alla conferenza dei sindaci in materia di linee di indirizzo e programmazione dei servizi socio-sanitari
– pareri sulla finalizzazione e sulla distribuzione territoriale delle risorse finanziarie
– definizione delle linee di indirizzo per l’impostazione delle attività sociali
– proposte al direttore generale per la predisposizione dei piani operativi in materia sociale
– esame del bilancio sociale di previsione e di esercizio |
Organizzazione dei servizi sanitari e sociali
Un punto importante da segnalare nella L.R. 31 è il modello di organizzazione sanitaria emergente. Il principio di parità fra pubblico e privato va a configurare un’Azienda Sanitaria che è innanzi tutto titolare delle risorse finanziarie derivanti dalla somma delle quote capitarie dei cittadini residenti. In tale modello l’ASL diventa un soggetto che svolge prevalentemente una funzione amministrativa dei servizi sanitari (allo stesso modo in cui svolgevano tale funzione gli enti mutualistici prima della riforma sanitaria): da una parte essa eroga direttamente le prestazioni per mezzo dei propri servizi, dall’altra acquista (o meglio finanzia) le prestazioni offerte dai soggetti erogatori esterni pubblici o privati. Tale sistema organizzativo si manifesta tramite l’istituto normativo dell’accreditamento. In una prima fase la Regione procede alla “autorizzazione” a svolgere attività sanitaria e in una seconda fase instaura “nuovi rapporti fondati sull’accreditamento, sulla remunerazione delle prestazioni e sull’adozione del sistema di verifica della qualità” (art. 12, c. 2). Attraverso tale modalità sono posti a carico del fondo sanitario regionale gli oneri relativi alle prestazioni sanitarie e quelli relativi alle prestazioni socio-assistenziali di rilievo sanitario (art. 4, c. 2). In tale modo la Regione diventa un soggetto istituzionale che legittima l’esercizio di funzioni da parte dei soggetti erogatori esterni.
In questo sistema l’ASL associa dentro di sé una pluralità di funzioni:
– esercizio delle attività sanitarie, tramite il dipartimento di prevenzione e il dipartimento dei servizi sanitari di base
– gestione delle attività sociali eventualmente delegate dagli enti locali e delle attività socio-assistenziali di rilievo sanitario, tramite il dipartimento per le attività socio-sanitarie integrate (A.S.S.I.)
– attività di vigilanza e controllo di tutte le unità di offerta, pubbliche e private, socio-assistenziali e socio-sanitarie e attività di vigilanza sul funzionamento delle istituzioni pubbliche e private di assistenza e beneficenza, sulle organizzazioni di volontariato socio-assistenziale e sulle persone giuridiche private operanti nel settore socio-assistenziale (art. 2, c. 7).
Sul piano organizzativo questo avviene tramite un “piano di organizzazione” adottato dal direttore generale dell’ASL.
Il dipartimento per le A.S.S.I. ha l’obiettivo di “assicurare l’integrazione delle funzioni sanitarie con quelle socio-assistenziali di rilievo sanitario, attribuite o delegate all’ASL” (art. 8, c. 10) ed il suo funzionamento è definito mediante un regolamento che dovrà essere approvato dal consiglio regionale.
Per la gestione delle suddette attività, il direttore generale dell’ASL nomina il direttore sociale con compiti di direzione e coordinamento.
Diventa importante nei prossimi mesi osservare con attenzione sui territori sia i processi di distrettualizzazione precedentemente descritti, sia la formazione dei piani di organizzazione: con riferimento a questi atti, infatti, sarà possibile ricostruire la politica dei servizi ed elaborare proposte e progetti.
Diritti e partecipazione
Da quanto sinteticamente rappresentato nel presente articolo, emerge con chiarezza la complessità degli atti e dei processi organizzativi che avverranno nei prossimi mesi.
L’ASL si configura come un soggetto tecnico fortemente caratterizzato attorno all’offerta sanitaria e sostanzialmente collegato alle politiche della Regione. In un simile contesto è probabile che i Comuni tenderanno a rafforzare il proprio ruolo e la propria presenza nella gestione dei servizi sociali: tale orientamento può manifestarsi a causa della difficoltà di delegare l’esercizio di proprie attività ad un ente sanitario così lontano dalle specifiche problematiche delle comunità locali. In questo senso l’obiettivo della gestione integrata si presenta aperto a diverse soluzioni organizzative. In situazioni di fiducia interistituzionale potrebbe essere utilizzato lo strumento della delega di esercizio, negli altri casi sarà invece opportuno lavorare nella direzione dello sviluppo di aggregazioni fra Comuni, individuando il distretto come punto di riferimento.
La cittadinanza organizzata e il volontariato possono fare molto per favorire i processi di comunicazione. La stessa L.R. 31, nel quadro delle norme statali, introduce alcune linee molto significative, fra cui:
– vincolo per tutti i soggetti erogatori di dotarsi di strutture e strumenti finalizzati alla costante verifica della qualità delle prestazioni, al potenziamento dell’umanizzazione dell’assistenza sanitaria, al mantenimento di corrette relazioni con il pubblico e con le rappresentanze delle associazioni di volontariato
– obbligo di adozione da parte dei soggetti erogatori delle “carte dei servizi” cui concorrono per la formulazione e il periodico aggiornamento le organizzazioni di volontariato
– istituzione nelle ASL di uffici di pubblica tutela e di uffici di relazione con il pubblico (art. 11)
Si tratta quindi di sviluppare relazioni collaborative tra più soggetti in uno scenario piuttosto difficile a causa delle diversità motivazionali degli attori coinvolti.
Lo strumento di cui si sente la maggior mancanza è un forte stimolo che motivi nuovamente la programmazione locale dei servizi. Infatti nello sviluppare queste attività è fondamentale mettere in atto sia strategie cooperative, sia una volontà di leggere e promuovere le risorse della comunità di appartenenza.
Quindi, anche all’interno di questo contesto istituzionale che appare non favorevole, occorre ricercare con attenzione spazi ed opportunità per lavorare attorno a progetti di sviluppo comunitario.
