Legge 328/2000 e trasformazioni legislative ed amministrative dei poteri e politiche dei servizi sociali, dispensa didattica di Paolo Ferrario – Docente di Legislazione sociale e sanitaria – Università di Milano-Bicocca, 2005

Le politiche legislative che orientano lo sviluppo dei servizi sociali e sanitari devono essere viste come una grande opportunità per modernizzare il nostro paese in riferimento alle grandi questioni ed ai problemi che coinvolgono  gli individui e le famiglie nei diversi momenti dei lori cicli di vita:  la nascita, la crescita, la vita attiva, la disabilità e l’invecchiamento.

Visti in questo quadro più ampio, i Piani di zona assumono un fortissimo significato: quello di essere l’unico caso di programmazione partecipata in situazioni che hanno  a che fare con i bisogni, le domande di servizio e le risposte istituzionali ([1]).

 

Significato istituzionale  e culturale della Legge 328/2000

La legge 328/2000 può essere vista sotto due profili: da una parte conclude un ciclo politico iniziato negli anni ’70, quando fu approvata la riforma sanitaria e non la collegata riforma dei servizi sociali; dall’altra parte essa si pone come strumento di regolazione del sistema socio-sanitario, in cui  sono coinvolti moltissimi soggetti, ognuno dei quali è fortemente caratterizzato con riferimento alle proprie funzioni, ruoli, appartenenze.

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La struttura amministrativa, programmatoria e tecnico professionale del sistema dei servizi è così articolata:

  • diversi Ministeri, fra cui 2 strategici per le politiche nazionali, e 27 Enti Nazionali di Previdenza e assistenza sociale, con i loro Uffici periferici
  • 21 Regioni, comprese le Province autonome
  • 103 Province, con specifici assessorati ed uffici per le Politiche sociali
  • 197 ASL e le loro articolazioni organizzative interne
  • 122 Enti Ospedalieri che gestiscono gli Ospedali
  • 8100 Comuni, di diversa struttura demografica almeno la metà dei quali dotati di Assessorati ed uffici per Servizi
  • 355 Comunità Montane con funzioni associative per i piccoli Comuni
  • 511 organizzazioni nonprofit operanti nella sanità e nell’assistenza censite dall’Istat, di diversissima forza organizzativa e cultura strategica
  • un numero estremamente variabile, ma comunque superiore a 100, di Centri Servizio per il Volontariato
  • circa 4200 IPAB, di cui una parte sono diventate ASP – Aziende di servizi alla persona o si sono trasformate in fondazioni private.

Raggiungere identità di obiettivi e di stili organizzativi per l’approntamento dei mezzi in questo pluralismo istituzionale non è facile. Sia nella lettura dei bisogni e della domanda, sia nella produzione dei servizi si confrontano identità forti: quella del valore pubblico dei beni; quella dei suoi costi e degli imperativi del mercato; quella valoriale delle persone che hanno possibilità di tempo e scelgono di dedicarlo al volontariato.

Si tratta di orientamenti culturali che tendono ad entrare talvolta in conflitto fra loro. Nei “tavoli” in cui si progettano i Piani di zona ciascuno tende a valorizzare e ad affermare il proprio punto di vista  e la comunicazione interpersonale, interistituzionale ed interorganizzativa può diventare molto complessa, conflittuale e può anche interrompersi.  L’esperienza di questi anni insegna che le politiche non sono solo azioni in rapporto ad obiettivi, risultati attesi e risorse, ma sono anche linguaggi e modi di ordinare e scambiarsi le informazioni [2].

L’importanza strategica della Legge 328/2000 è proprio stata quella di offrire una gamma di strumenti per agire in questo contesto plurale e fatto più di differenze che di identità. In estrema sintesi la regolazione dei servizi sociali si snoda in questi passaggi [3] :

  • identificazione di un Fondo sociale di finanziamento, concorrente con quelli già esistenti della finanza locale e della sanità;
  • mobilitazione coordinata e condivisa fra i vari soggetti che hanno responsabilità amministrative pubbliche, o sono portatori di risorse professionali o che, ancora, possono contribuire alla lettura dei bisogni;
  • definizione di un assetto istituzionale coerente con la struttura amministrativa italiana, soprattutto per quanto riguarda i ruoli di stato, regioni ed enti locali.
  • individuazione di una serie di strumenti amministrativi per la gestione dei servizi: flussi di spesa; gestione associata; riforma delle Ipab; regole di autorizzazione ed accreditamento; regole sugli appalti; carte dei servizi; titoli per l’acquisto di servizi sociali (poi ridefiniti “buoni servizio” o “voucher sociali”
  • elaborazione di un circuito programmatorio imperniato su Piano nazionale; Piani sociali e Piani di zona

La complessità del reticolo di questi processi e rappresentata nel Grafico 1

Grafico 1 – Mappa del funzionamento della Legge 328/2000

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Il Piano di zona è dunque uno strumento per la programmazione locale dei servizi alla persona che si connette a tutte le altre azioni di politica sociale previste nella legge. Esso ha vari obiettivi che tendono a sovrapporsi e ad interferire fra loro: deve essere molto curato sotto il profilo amministrativo poiché non è solo un  “rapporto di ricerca sociale”, ma è anche un atto amministrativo da adottarsi tramite “accordo di programma” [4]; inoltre diventa necessariamente una  forma di comunicazione fra operatori, amministratori, cittadini utenti e cittadinanza organizzata.

La condizione necessaria (ma non sufficiente) per l’elaborazione dei Piani è di curare gli snodi metodologici e tecnici dei gruppi di lavoro: composizione, distinzione fra livello politico e livello tecnico, interazioni fra questi ultimi, orientamenti culturali, strategie, individuazione dei “ruoli integrativi”, ossia di chi si assume il compito di tenere insieme il processo, rimettendo continuamente in gioco le informazioni e le decisioni intermedie che sono state prese durante il percorso. Quest’ultimo aspetto è spesso poco curato: eppure senza le persone che si assumono il doppio onere di far valere le ragioni del proprio ente e quelle del gruppo inter-istituzionale è difficile far procedere queste attività.

Nonostante le difficoltà operative, l’esperienza di questi anni ha al suo attivo una forte messa alla prova della capacità degli enti locali nel progettare la rete dei servizi sociali nei cosiddetti “ambiti territoriali”, che diventano così lo spazio amministrativo su cui realizzare le varie forme di gestione (diretta, esternalizzata, associata) [5].

 

Gli effetti delle riforme costituzionali  sulla politica dei servizi sociali

Un dato da mettere in rilievo è la velocità dei cambiamenti che si è manifestata nell’arco di questi anni e che ha accresciuto le responsabilità degli enti locali (e in modo molto accentuato quello dei Comuni) senza averli dotati delle risorse finanziarie necessarie a reggere la sfida.

Il forte significato riformatore della Legge 328/2000 è stato notevolmente compromesso nel periodo 2001-2005  da una serie di fattori:

  • il cambio di governo, che si è dato una diversa agenda politica: la riforma del mercato del lavoro e delle pensioni ed una sostanziale sottovalutazione della politica dei servizi sociali;
  • l’incertezza ed il ridimensionamento delle appostazioni di bilancio per il Fondo sociale;
  • la mancata cura nell’attuazione degli atti di competenza dello stato centrale;
  • le riforme costituzionali che hanno modificato in profondità l’assetto dei poteri legislativi [6]

Quest’ultimo punto è di particolare importanza e merita di essere approfondito, anche se in forma sintetica.

Nell’alveo del ciclo di  riforme legislative ed amministrative che iniziano nel 1997 sino a questi giorni [7],  i cambiamenti apportati al sistema possono essere riassunti attorno ai seguenti punti chiave:

  • Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni accrescono il loro ruolo di enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni [8]
  • lo Stato ha una funzione legislativa esclusiva per la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”  [9]
  • in materia di tutela della salute i poteri legislativi sono concorrenti: lo Stato determina i principi fondamentali e le Regioni hanno un’autonoma potestà legislativa, sia pure in un quadro generale. L’ulteriore riforma costituzionale in discussione nel 2004/2005 accentua in modo fortissimo questa tendenza: le Regioni avranno  “potestà legislativa esclusiva” in materia di “assistenza e organizzazione sanitaria” [10]
  • “federalismo fiscale”: abolizione dei trasferimenti fiscali per il finanziamento della spesa sanitaria e contemporanea compensazione delle entrate fiscali regionali (compartecipazione all’Iva; aumento delle aliquote regionali all’Irpef). Le Regioni  diventano più autonome nel governo della spesa sanitaria, anche se si rende necessario un “fondo perequativo nazionale”  per le regioni con minore gettito fiscale [11]
  • in materia di servizi sociali le Regioni hanno potestà legislativa esclusiva. Tuttavia in questo settore tale potere si confronta con la titolarità giuridica dei Comuni in materia di servizi sociali [12].

Da queste regole le Regioni escono ancora più rafforzate nel loro ruolo legislativo rispetto alle precedenti fasi della storia costituzionale italiana. Un effetto di questa situazione è riscontrabile anche nell’accresciuta responsabilità degli organi di interazione fra Stato e Regioni:  Conferenza Stato – Regioni; Conferenza Stato – Autonomie locali; Conferenza unificata.

A livello locale si deve osservare che nel sistema dei servizi si sta manifestando con grande forza la tendenza ad allargare l’area dell’offerta coinvolgendo soggetti del terzo settore ed anche soggetti privati “for profit”. Le regole del mercato tendono ad invadere anche il campo pubblico. La tendenza è quella della creazione di un “mercato sociale di servizi alla persona”.

Gli strumenti fondamentali per queste scelte di politica pubblica sono:

  1. l’accreditamento, ossia il processo attraverso il quale l’ente pubblico consente ad un soggetto privato, in possesso di requisiti predeterminati, di entrare a far parte della propria rete di fornitori di servizi [13]
  2. l’affidamento dei servizi sociali tramite i contratti di appalto [14]
  3. il ricorso ai titoli per l’acquisto di servizi sociali [15]

L’accreditamento è ampiamente utilizzato in sanità (laboratori diagnostici, medicina specialistica, cliniche private, ecc.) e recentemente anche per le residenze sanitarie assistenziali per anziani. In futuro potrà essere impiegato anche nell’ambito dei servizi sociali. In connessione a questi processi, si vanno a strutturare le seguenti aree di offerta: servizi sociali gestiti direttamente dai Comuni; servizi sociali gestiti mediante le regole dell’affidamento esterno con procedure di appalto; servizi sociali gestiti tramite le procedure  di accreditamento e incentivati dalle erogazioni monetarie costituite dai “buoni servizio” [16].

Queste modalità organizzative contribuiranno ad articolare ed ulteriormente frammentare l’offerta. Per questi motivi è assolutamente strategico identificare, organizzare e sviluppare  negli “ambiti territoriali” [17]  le funzioni di “servizio sociale professionale” e di “segretariato sociale” per l’informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari [18] . Si vuole affermare che in presenza  di una progressiva diversificazione del sistema d’offerta (servizi pubblici, servizi appaltati, servizi accreditati, servizi gestiti in convenzione, ecc.) è indispensabile elaborare una cultura dell’accompagnamento delle persone che si trovano in difficoltà. Nel processo programmatorio ed organizzativo è fondamentale definire le regole di accesso alle reti di servizio locali. Non solo l’offerta (o meglio le offerte) ma soprattutto “quali” e “come” utilizzarle. E’ qui che il “servizio” esprime il suo più profondo significato.

 

I processi di attuazione della riforma dei servizi sociali

Il contesto istituzionale ed amministrativo sopra delineato richiede un doppio senso di responsabilità: la condivisione di una prospettiva unitaria, per evitare che al centralismo statale si sostituiscano tanti regionalismi frammentati e, nello stesso tempo,  la capacità da parte delle Regioni stesse di interagire con i processi decisionali degli enti locali, al fine di evitare processi di neo-centralismo regionalista.

Nella discussione politica la parola – chiave che maggiormente sostiene questi processi è quella di “sussidiarietà”, la cui definizione più compiuta è:

“principio ideologico-istituzionale [..] secondo cui le strutture e le istituzioni politiche di livello superiore, in particolare quelle dello Stato nazionale, devono prendersi cura dei soli aspetti del bene comune […] a cui non possono adeguatamente provvedere le strutture e istituzioni di livello inferiore (corpi sociali intermedi) come le comunità locali, le organizzazioni professional-sindacali, del volontariato [..] e le altre organizzazioni “libere” ossia di diritto privato” [19]

Dal punto di vista culturale il principio di sussidiarietà sostiene i seguenti criteri di azione:

  • le istituzioni devono limitarsi a creare per la persona e per i gruppi sociali le condizioni per agire liberamente
  • le istituzioni pubbliche non devono sostituirsi a persone e gruppi nello svolgimento delle loro attività
  • lo stato può intervenire temporaneamente solo quando i singoli ed i gruppi non sono in grado di agire da soli
  • l’intervento sussidiario deve essere portato al livello più vicino ai cittadini.

Dal punto di vista giuridico si distingue una “sussidiarietà verticale”, quale criterio di distribuzione delle competenze fra Unione europea, Stato, Regioni e enti locali ed una “sussidiarietà orizzontale”, quale criterio di distribuzione delle funzioni fra enti pubblici e soggetti della società civile.

Occorre sottolineare che tale principio pone il cruciale problema delle politiche pubbliche: quello di poter definire con  certezza le responsabilità della corretta allocazione delle risorse, ossia, in forma più semplice, la risposta alla domanda “chi fa che cosa?”. Ma va anche osservato che quando un criterio etico-ideologico entra nel gioco delle regole legislative, dove dovrebbe prevalere la chiarezza e la riduzione della interpretabilità, il rischio è la perdita di capacità decisionali, l’irresponsabilità e la confusione sulle competenze. Già ora se ne vedono gli effetti: un paese policentrico, con modelli di funzionamento dei servizi socio-sanitari talvolta molto diversi [20].

Dopo le riforme costituzionali del 2001 e quella (per ora incompiuta) del 2005 si deve precisare che si è attenuata la forza di “legge quadro” della 328, ma si mantiene intatta la sua forza culturale ed orientativa sulle politiche di sviluppo dei servizi sociali [21].  Tuttavia il sistema socio-sanitario italiano oggi si caratterizza per un forte “particolarismo regolativo”, come testimonia la tabella 1

 

Tabella 1: Processi legislativi regionali di attuazione della Legge 328/2000

Regioni

Riordino dei servizi sociali prima della 328

Leggi regionali attuative delle 328

Riordino delle Ipab

Piani regionali sociali

Piani regionali sanitari o socio-sanitari

Piemonte

X

X

X

 

X

Valle d’Aosta

X

     

X

Lombardia

X

 

X

 

X

Veneto

X

     

X

Friuli V.G.

X

 

X

 

X

Prov. Bolzano

X

   

X

X

Prov. Trento

X

   

X

X

Liguria

X

 

X

X

X

Emilia-Romagna

X

X

X

 

X

Toscana

X

X

X

X

X

Umbria

X

   

X

X

Marche

X

   

X

X

Lazio

X

     

X

Abruzzo

X

   

X

X

Molise

X

   

X

 

Campania

X

   

X

X

Puglia

 

X

X

X

X

Basilicata

X

   

X

 

Calabria

X

X

X

 

X

Sardegna

X

   

X

 

Sicilia

X

     

X

Come si può vedere il quadro è assai diversificato e mostra un paese con politiche dei servizi che, pur tendendo agli stessi obiettivi (l’impegnativa realtà dei bisogni è infinitamente strutturante) lo fanno attivando processi particolaristici [22]. Non è una realtà istituzionale che giova al nostro sistema di welfare e la situazione sarebbe ulteriormente aggravata dalla cosiddetta “devolution” [23]. Tuttavia si deve apprezzare che, nonostante la debolezza delle politiche nazionali non siamo in presenza di una “mancata attuazione della 328”, come vorrebbero alcuni governanti [24], ma in quella che si potrebbe chiamare di “attuazione frammentata”.

Mentre quasi tutte le regioni italiane avevano approvato nei decenni precedenti leggi di riordino dei servizi sociali, solo 5 hanno dimostrato l’obiettivo di attuare la 328 tramite  un atto politico significativo.

Un indicatore importante è il processo programmatorio: maggiore propensione a governare il campo sanitario e socio-sanitario; minore propensione ad avviare una nuova fase (che invece si era manifestata negli anni ’80) di Piani dei servizi sociali.

Tale situazione di politiche frammentate dei servizi sociali, paradossalmente, rafforza il significato dei Piani di zona, quali situazioni di interscambio comunicativo ed amministrativo in cui è possibile” apprendere dall’esperienza”  per arricchire di capitale sociale le nostre comunità locali.

[1] Questo saggio fa riferimento a: Paolo Ferrario, Politica dei servizi sociali – Strutture, trasformazioni, legislazione, , Carocci Faber, Roma 2001, p. 498 e al sito www.segnalo.it, curato dall’autore, che aggiorna a largo raggio l’analisi delle politiche sociali in questi settori operativi.

[2] Sull’argomento si veda anche: Paolo Ferrario, “Condizioni per un efficace processo programmatorio dei piani di zona”, in Movi – fogli di informazione e di coordinamento n. 2 /3 Marzo-Giugno 2002, p. 21-23 (disponibile anche sul sito http://www.segnalo.it)

[3] Per un’analisi molto strutturata sul funzionamento della Legge 328/2000 si rimanda ancora a: Paolo Ferrario, “Dalla Legge 328/00 a oggi: riforma costituzionale e Piano nazionale dei servizi sociali“, in Prospettive sociali e sanitarie n. 3 2002, pag. 1-5; Paolo Ferrario, “Dalla Legge 328/00 a oggi: gestione dei servizi sociali e contratti di appalto; gestione dei servizi sociali e accreditamento sociale” Prospettive sociali e sanitarie n. 6 2002, pag. 1-5; Paolo Ferrario, “Dalla Legge 328/00 a oggi: Integrazione sociosanitaria e distribuzione della spesa fra Comuni e Asl”, in Prospettive sociali e sanitarie n. 12 2002, pag. 12 – 17

 

[4] Legge n. 328/2000, art. 19, c. 2

[5] Riferimenti normativi: Dlgs 267/2000, artt. 30 – 35 e artt. 113-117;  Dlgs 502/1992 e successive modifiche, art. 3/comma 3;  Legge 328/2000, art. 5, 6, 11

[6] L’argomento è trattato in modo specifico in : Paolo Ferrario, “Diritti in diaspora”, in Narcomafie n. 11, Gruppo Abele, Torino 2003, p. 19-20

[7] In particolare: Legge 59/1997 e Dlgs 112/1998 (sul ruolo delle regioni); Dlgs 229/1999 (sul ruolo dei comuni); Legge costituzionale n. 3/2001.

[8] Riferimento normativo: art. 114 della Costituzione, come modificata dalla Legge costituzionale n. 3/2001

[9] Art. 117 della Costituzione, come modificata dalla Legge costituzionale n. 3/2001. Sull’argomento: Paolo FerrarioI Livelli essenziali di assistenza nei servizi sociosanitari: la recente storia legislativa, in Prospettive sociali e sanitarie n. 15/16/17 2003, p. 21-23

[10] Idem

[11] Sull’argomento si veda: Stornaiuolo Gaetano, “Le prospettive del federalismo fiscale in Italia”, in Loiero Agazio, “Il patto di ferro: Berlusconi, Bossi e la devolution contro il sud con i voti del sud”, Donzelli, p. 2003, p. 115-187

[12] Legge 328/2000, art. 6

[13] Sull’argomento: Paolo Ferrario,  “I servizi socio-sanitari e le politiche amministrative dell’accreditamento“, in Appunti sulle politiche sociali n. 5 2002, a cura del Gruppo Solidarietà di Moie di Maiolati (Ancona) (per informazioni: http://www.comune.jesi.an.it/grusol )

[14] Legge 328/2000, art. 5; Dpcm 30.3.2001 sui “sistemi di affidamento dei servizi alla persona”

[15] Legge 328/2000, art. 17

[16] E’ ora disponibile una rilevazione statistica sulla situazione dell’offerta comunale: Istat, Prima indagine censuaria sugli interventi e I servizi sociali dei comuni, 2005

[17] Legge n. 328/2000 art. 8, c. 3.a; art. 6, c. 2.d

[18] Legge n. 328/2000 art. 22, c. 4

[19] In Grande Dizionario della lingua italiana del Battaglia

[20] Sull’argomento: Esposito Marco, Chi paga la devolution? , Laterza, 2003, p. 122

[21] Sulle politiche legislative nazionali connesse alla 328 si veda: Cristiano Gori (a cura di), La riforma dei servizi sociali in Italia, Carocci editore, 2004,  p. 279

[22] Il caso delle Regione Lombardia è oggetto di questa ricerca: Cristiano Gori (cur.),  Politiche sociali di centro-destra. La riforma del welfare lombardo, Carocci editore, 2005, p. 351

[23] Sull’uso di questo linguaggio per parlare del federalismo regionale italiano vale la pena di leggere: Claudio Magris, Devolution parola molesta, in Corriere della sera 18 ottobre 2005; Marco Belpoliti, L’immorale devolution, in La Stampa 27 ottobre 2005

[24] Una per tutti: Grazia Sestini, La 328 è superata, in Prospettive sociali e sanitarie n. 2, p. 3

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