La Costituzione del 1946-1947
e il Referendum del 25 giugno 2006
Voto NO alla riforma costituzionale della destra (e mi pento, tantissimo mi pento, di avere incautamente votato sì a quella della sinistra nel 2001).
Voto NO innanzitutto per i contenuti e gli effetti, ma anche per il modo con cui questa riforma è stata progettata e approvata.
Ricordo che la proposta di avvio è stata una “riflessione” estiva di 4 (quattro) autodefinitisi “saggi” (fra cui un personaggio da libri di Stephen King, come Calderoli) che si sono ritrovati per qualche giorno in una baita di montagna a Lorenzago di Cadore.
Voglio ricordare qui, in serie storica, i passaggi decisionali della nostra Costituzione della Repubblica:
• giugno1944: approvazione di una legge che afferma: “Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano, che a tal fine eleggerà a suffragio universale diretto e segreto, una Assemblea Costituente per determinare la nuova Costruzione dello Stato”
• giugno1946: elezione dei deputati alla Costituente e nomina della Commissione per la Costituzione composta da 75 deputati fra cui: Terracini, Basso, Bozzi, Calamandrei, Di Vittorio, Dossetti, Einaudi, Fanfani, Iotti, La Pira, Lussu, Mancini, Moro, Mortati, Paratore, Togliatti … (il meglio della politica di tutti i partiti post-fascisti)
• luglio1946, nomina di 4 sotto-commissioni: Diritti e doveri dei cittadini; Ordinamento costituzionale della Repubblica (poi suddivisa in due sotto-commissioni); Diritti e doveri economico-sociali
• agosto-dicembre1946: elezione di un Comitato di redazione. Proprio così: per scriverla meglio, in buon italiano. Letterati e linguisti hanno contribuito alla scrittura
• gennaio 1947: presentazione alla Assemblea Costituente
• restante 1947: l’Assemblea Costituente tenne 347 sedute; alla Costituzione furono dedicate 170 sedute; sui 140 articoli furono presentati 1663 emendamenti; durante la discussione parlarono 275 oratori, con un complesso di 1090 interventi
• 22 dicembre 1947: approvazione della Costituzione
• 1 gennaio 1948: entrata in vigore della Costituzione. Particolare irrilevante per la storia ma biograficamente rilevante per me: il 1948 è l’anno della mia nascita
Scrivo questa nota sotto la spinta della indignazione per la lettura del successivo resoconto su come, invece, è stata approvata la riforma di cui un pugno di elettori italiani deciderà la sorte.
Da: Emanuele Rossi e Vincenzo Casamassima, La riforma costituzionale tra passato e futuro, in Studi Zancan Politiche e servizi alle persone n. 2, 2006, p. 34-36
(Emanuele Rossi è professore di diritto costituzionale alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa).
Questo è il primo e fondamentale punto da sottolineare: la riforma recentemente approvata si presenta come una riforma «di parte», il frutto della contrattazione interna tra le forze di Governo (premierato fortissimo e reintroduzione dell’interesse nazionale in cambio della devolution), in gran parte, bisogna dire, estranee all’arco delle culture politiche rappresentate alla Costituente. Se si è d’accordo sul fatto che la Costituzione debba configurarsi come il quadro condiviso nel cui ambito possano incontrarsi e anche scontrarsi le forze politiche e sociali, si capisce di quale portata sarebbe il danno causato dall’entrata in vigore della suddetta riforma costituzionale.
Un ottimo motivo per respingere la proposta in sede referendaria è dato dunque in primis dalla necessità di sgombrare il campo da un testo approvato in primo luogo contro e non con le minoranze, e inoltre con una trasparenza e una linearità di condotta del tutto carenti.
La riforma in esame, infatti, è stata approvata senza alcun tentativo serio di mediazione con l’opposizione: alla Camera il progetto di legge è stato approvato con 295 voti a favore, tutti della maggioranza, e 202 contro; al Senato si è assistito addirittura al voto contrario di alcuni esponenti della stessa maggioranza, senza alcun voto favorevole proveniente dalle file dell’opposizione.
Con riguardo al procedimento seguito, occorre ricordare che la proposta iniziale è frutto di una «riflessione» estiva di quattro soi-disants «saggi»(i senatori Andrea Pastore, Forza Italia; Domenico Nania, Alleanza Nazionale; Roberto Calderoli, Lega Nord; Francesco D’Onofrio, Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) che si sono ritrovati per alcuni giorni in una baita di montagna in località Lorenzago di Cadore (per qualche straniero che leggesse questi avvenimenti per la prima volta occorre sottolineare che è tutto vero, e non stiamo scherzando): il testo da questi predisposto (la «bozza di Lorenzago») è stato poi rivisto e concordato dai partiti della maggioranza (non certo, si badi, attraverso un dibattito interno magari articolato su base locale, con coinvolgimento di esperti e votazioni interne: ma soltanto nel senso di un confronto tra le rispettive segreterie con al massimo la partecipazione di qualche «maggiorente»). Il Governo ha poi approvato il testo e l’ha presentato al Senato (come si è detto, è la prima volta che una riforma della Costituzione è proposta dal Governo), e il Senato l’ha approvato in prima lettura il 25 marzo 2004: ovviamente a maggioranza e senza troppa libertà di manovra nemmeno per i senatori della maggioranza. Basti pensare che in alcune circostanze si è addirittura pensato di porre la questione di fiducia: ciò avrebbe dovuto provocare un sussulto di dignità in coloro che avevano denunciato come fatto gravissimo la circostanza che la riforma costituzionale del 2001 fosse stata approvata dalla sola maggioranza.
Tornando alla cronaca, dopo il voto finale del Senato ci si sarebbe dovuti aspettare che quel testo andasse alla Camera e lo si prendesse in esame. Non è andata così. Si è provveduto a ulteriori vertici tra i partiti (leggasi sempre segreterie o loro diramazioni) per formulare un altro e diverso testo (per un periodo si è addirittura prospettata, dato che nel frattempo si era arrivati all’estate successiva, una riedizione del concistoro dei saggi in una baita di montagna, ma forse il caldo meno asfissiante dell’estate 2004 ci ha risparmiato questa eventualità). Quando è iniziata la discussione alla Camera, il 13 settembre, il nuovo ministro per le riforme sen. Calderoli ha illustrato le proposte di modifica elaborate dal Governo sotto forma di emendamenti al testo approvato (da quella stessa maggioranza) al Senato. Due giorni dopo, i capigruppo della maggioranza hanno depositato un «pacchetto di emendamenti» a prima firma Elio Vito.
La successiva discussione e approvazione ha poi seguito percorsi misteriosi: si è cominciato dall’art. 1 (e fin qui ci siamo), poi si è deciso di saltare all’art. 32 della proposta (che riguarda il titolo V), per poi ritornare all’art. 2. A ogni buon conto, il 15 ottobre 2004 la Camera ha approvato il «nuovo” testo, che assai differiva da quello approvato dal Senato: tali modifiche, lo si ripete, non sono state conseguenti a iniziative dell’opposizione (come potrebbe o forse dovrebbe avvenire in una logica di dialettica parlamentare), e nemmeno (salvo alcuni sporadici casi) a emendamenti di parlamentari della maggioranza, ma sono state conseguenti a ripensamenti delle segreterie politiche dei partiti di maggioranza (o forse a ridefinizione dei propri compromessi) di cui il Senato, attraverso la sua maggioranza, ha «preso atto».
A quel punto si è dovuti tornare al Senato per la prima lettura (il procedimento di revisione costituzionale prevede infatti, lo si ricorda, una doppia approvazione da parte di ciascuna Camera sull’identico testo): a quel punto il Senato, senza alcuna modifica, lo ha approvato in data 23 marzo 2005.
In seconda lettura il testo è stato poi esaminato e approvato prima dalla Camera (con approvazione finale in data 20 ottobre 2005) e successivamente dal Senato (in data 16 novembre 2005). Merita sottolineare la particolare «cura» con la quale il testo è stato esaminato alla Camera in questa seconda lettura, con specifico riguardo alla Commissione («Affari costituzionali») competente in materia. I lavori che detta Commissione ha dedicato all’esame del testo sono iniziati il giorno 26 luglio alle ore 14.30: dopo la relazione del presidente/relatore (on. Bruno, Forza Italia), che ha illustrato i contenuti della riforma, alle ore 15 si è passati ad altro argomento. L’esame è proseguito il giorno successivo alle ore 15.20: è intervenuto l’on. Marone dei Democratici di Sinistra, che ha duramente criticato il testo in e-same. Al termine del suo intervento (ore 15.50), la seduta è stata tolta. Il giorno ancora successivo (siamo al 28 luglio), l’esame è ripreso alle ore 15.15 con l’intervento dell’on. Zaccaria della Margherita, che si è espresso in senso fortemente contrario all’approvazione del testo, sottolineandone le numerose contraddizioni e i pericoli ad esso sottesi. Alle ore 15.45, vale a dire al termine del suo intervento, la seduta è terminata. La Commissione è stata riconvocata per il giorno ancora successivo, venerdì 29 luglio, alle ore 13.30, seduta nella quale sono intervenuti gli on. Bressa (Margherita), Leoni (Democratici di Sinistra), Boato (Misto-Verdi): tutti contrari alla proposta in discussione. In particolare l’on. Boato ha chiesto in quella sede di svolgere un’ulteriore attività istruttoria nel mese di settembre «al fine di disporre talune limitate audizioni di costituzionalisti ed esperti della materia». A tale richiesta ha replicato il presidente della Commissione, che ha escluso la necessità di procedere a tali audizioni.
Dopo gli interventi suddetti, il presidente ha dichiarato chiusa la discussione e ha posto in votazione il conferimento del mandato al relatore (cioè a sé medesimo) a riferire favorevolmente all’assemblea: dopo, lo si ricorda, che nessuno (salvo il presidente/relatore) era intervenuto a difesa del disegno di legge. La Commissione, ovviamente a maggioranza, ha accolto la richiesta del presidente. Alle ore 15.35 la seduta è stata tolta.
In totale, dunque, la Commissione ha dedicato all’esame della riforma di tutta la seconda parte della Costituzione un totale di 3 ore e mezza (concentrate nell’ultima settimana di luglio), senza alcun intervento a favore della riforma e con tutti interventi contrari. Si potrebbe obiettare a tali perplessità rilevando che in verità si trattava della seconda approvazione di un testo che era già stato approvato dalla stessa Camera: o-biezione fondata, ma alla quale si può replicare che se i regolamenti parlamentari la prevedono è perché si ravvisa la necessità di proseguire l’esame, dato che nulla esclude che in quella sede si possano approvare ulteriori modifiche al testo di legge.
Questo è stato dunque l’iter seguito per l’approvazione della riforma costituzionale: procedura che dovrebbe giustificare di per sé sola, e cioè indipendentemente dal merito della proposta, un rigetto in sede direferendum, per lo svilimento che in tal modo si è realizzato della Carta costituzionale come patrimonio comune e come testo di riferimento per tutto il Paese.
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