Non è la lettura dell’elettroencefalogramma o di un qualsiasi esame clinico a fare la differenza. Tanto più si crede nel principio della “libera scelta”, tanto meno si considera viva una persona colpita da una malattia che limita lo stato di coscienza. Uno studio targato Università di Padova si inserisce nel dibattito sul testamento biologico, innescato dal caso di Eluana Englaro e non ancora giunto ad una conclusione che metta d’accordo le “fazioni” in lotta. La ricerca dimostra che la concezione di vita e morte non dipende da dati oggettivi, ma da un giudizio di valore precedente.
Una rivoluzione copernicana nel modo di intendere il dibattito sul fine vita, che spiega le difficoltà di raggiungere posizioni condivise. A tre anni dalla morte di Eluana Englaro non si è ancora spento l’eco del dibattito sul “diritto a morire”: è stato giusto interrompere l’alimentazione forzata, oppure sarebbe stato giusto tenerla artificialmente in vita perché, dal punto di vista clinico, Eluana era viva?
A questi interrogativi ha tentato di rispondere uno studio condotto da Lorella Lotto, Andrea Manfrinati, Davide Rigoni, Rino Rumiati e Giuseppe Sartori del dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Università di Tubinga, appena pubblicato sulla rivista “Plos one”.
PER L’ARTICOLO VAI A: PLoS ONE: Attitudes Towards End-of-Life Decisions and the Subjective Concepts of Consciousness: An Empirical Analysis.
- per alcune presentazioni della ricerca vai a: http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2012/03/11/news/fine-vita-e-biotestamento-uno-studio-svela-i-pregiudizi-1.3278368
- http://amindbodyproblem.org/2012/02/17/psicologia-etica-e-percezione-della-morte-the-daily-mirror-neurons-17-febbraio-2012/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=psicologia-etica-e-percezione-della-morte-the-daily-mirror-neurons-17-febbraio-2012
