la condanna di Dharun Ravi: lo studente indiano della Rutgers University, un ateneo del New Jersey, che un anno e mezzo fa riprese con la «webcam» del suo computer due incontri omosessuali dello studente diciottenne col quale divideva la stanza – l’italoamericano Tyler Clementi – e poi mise le immagini su Internet. Tre giorni dopo il secondo episodio, Tyler si suicidò lanciandosi nel fiume Hudson dal Washington Bridge, il gigantesco ponte che collega il New Jersey a Manhattan.
Nell’ottobre del 2010 il caso creò grande scalpore: tutti condannarono Dharun per il suo atto di «cyberbullismo». Il ragazzo, nato in India, ma trasferitosi con la famiglia negli Stati Uniti quando aveva due anni, venne subito incriminato. Ma non era giuridicamente possibile accusarlo della morte di Tyler. Oltre tutto il ragazzo, una persona sensibilissima (era anche un virtuoso del violino) con una personalità molto vulnerabile, era già in crisi: aveva confessato la sua omosessualità ai genitori e, mentre il padre aveva mostrato di comprendere, la madre aveva reagito malissimo.
Dharun, che non solo aveva acceso la telecamera ma aveva invitato con più messaggi messi su Twitter gli altri compagni a una specie di raccapricciante «video party», venne incriminato con ben 15 capi di imputazione sulla base della legge che punisce gli «hate crimes», i crimini di odio basati su vari tipi di discriminazione: razziale, religiosa ed etnica ma anche quella relativa alle tendenze sessuali. Quest’ultima fattispecie è prevista solo in 30 dei 45 Stati Usa che puniscono l’«hate crime»
da DUE COMPAGNI DI STANZA, UNA WEBCAM. UCCIDERSI PER UNA “BRAVATA”.
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