Marco Biagi a dieci anni dalla morte – Il ricordo di Pietro Ichino – in Panorama.it

La bicicletta dI Marco Biagi subito dopo l'attentato (Credits: LaPresse)

La bicicletta dI Marco Biagi subito dopo l’attentato (Credits: LaPresse)

le parole che Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del Pd e compagno di “battaglie” politiche con Biagi (oggetto anche lui di minacce da parte delle Br e costretto a una vita sotto scorta) ha pronunciato in occasione del quinto anniversario della sua morte. E che oggi ricorda nella sua newsletter settimanale ancora come attuali.

“Della vita di Marco, del valore del suo contributo alla nostra cultura giuslavoristica, della sua spinta all’apertura di questa nostra cultura alla comparazione internazionale e alla contaminazione con le altre scienze sociali, è stato già detto e scritto tutto. Io non potrei proprio aggiungere nulla”.

Marco Biagi, giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002 (Credits: ANSA/BENVENUTI)

Marco Biagi, giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002 (Credits: ANSA/BENVENUTI)

“Posso solo dire di quello che mi ha legato a Marco in quegli ultimi anni della sua vita e, di ciò che dopo la sua morte mi ha fatto percepire quasi un debito verso di lui: quello di difendere la sua opera, il frutto del suo impegno, ciò per cui ha ritenuto che valesse la pena di mettere a rischio la sua vita”.

“È stato impegno etico prima ancora che impegno intellettuale, culturale e politico. Ricordo uno dei nostri martedì in cui, consumando, come sovente facevamo, il panino meridiano al bar davanti all’Università, prima della sua lezione al Master, Marco proruppe in un vero e proprio grido di indignazione contro il nostro establishment politico-accademico, incapace di scuotersi e di reagire di fronte alle macroscopiche disfunzioni e ingiustizie causate o consentite dal nostro ordinamento del lavoro o dal nostro sistema delle relazioni sindacali: assurdità che emergono con grande evidenza dalla comparazione con gli altri sistemi, ma alle quali i nostri studiosi, politici e sindacalisti si sono per lo più acconciati e assuefatti”.

“Essi non vogliono aprire gli occhi su di esse perché questo li costringerebbe a mettere in discussione mezzo secolo di politiche del lavoro. Forse è stata proprio la riluttanza ad aprire gli occhi su quelle gravissime inefficienze e ingiustizie del nostro sistema, che Marco metteva in evidenza soprattutto attraverso il confronto con i sistemi dei nostri partner europei più evoluti, a indurre quello stesso establishment a stendere intorno a lui una  sorta di cordone sanitario politico-culturale: un “cordone sanitario” di cui fu Marco a parlarmi con sofferenza, negli ultimi tempi”.

E ancora:

“La faziosità non necessita della mala fede, anche se a questa sovente si accompagna: la faziosità è essenzialmente figlia della paura. Così come, di fronte a un nemico alieno col quale non c’è modo di comunicare, la paura ci spinge a cercare soltanto di sparargli per primi, allo stesso modo, di fronte a ragionamenti che sconvolgono il nostro modo di pensare – schemi concettuali nuovi e procedimenti complessi che spiazzano il nostro catechismo semplificatore – proviamo la tentazione di squalificarepreventivamente chi li propone per chiudere il dibattito prima ancora che esso si apra”.

“È la tecnica del tabù, del “cordone sanitario”, contro la quale non c’è ragionamento efficace. Per superare quella barriera, le argomentazioni raffinate servono poco o nulla: l’arma più efficace è una testimonianza di disinteresse personale e di spirito di servizio – e di sacrificio – che induca gli interlocutori a comprendere intuitivamente la necessità del confronto. È questa la testimonianza che Marco ha dato al massimo grado”.

QUI IL DOCUMENTO INTEGRALE

da Marco Biagi a dieci anni dalla morte – Il ricordo di Pietro Ichino – Economia – Panorama.it.

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