Sarà *** e non più *** per l’anagrafe, cambiando sesso da femmina a maschio anche se minorenne. Soprattutto: può sottoporsi subito, sebbene non abbia raggiunto i diciott’anni, a un irreversibile e invasivo intervento chirurgico, che lo Stato sosterrà economicamente «per assicurargli il benessere psicofisico».
Lo ha stabilito il tribunale di Genova, pronunciandosi sul ricorso inoltrato dai genitori d’una quindicenne (nel frattempo ha compiuto diciassette anni) caratterizzata dalla «disforia di genere»: un transgender, da non confondere ovviamente con chi è omosessuale.
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«La richiesta è stata presentata dalla madre e dal padre (con la consulenza d’un legale, Andrea Martini, ndr) tenendo imprescindibilmente conto della volontà della figlia». Poi un passaggio che certifica il rispetto delle leggi italiane, della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul «consenso informato». Ma il cuore del pronunciamento ripercorre il lavoro dello psichiatra e dell’endocrinologo che seguono Ale dai 14 anni in avanti, Pietro Ciliberti e Diego Ferone: «Presenta una disforia di genere, non secondaria a condizioni di disturbo psicopatologico. L’identificazione con il sesso maschile è evidente e non appare legata a qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’eventuale riattribuzione… non sono emersi aspetti psicopatologici significativi o tali da controindicare l’inizio del trattamento ormonale (una somministrazione persistente di testosterone, con metamorfosi del corpo molto più evidente di ciò che accade nel passaggio da maschio a femmina, ndr). Durante gli incontri ha dimostrato coerenza alla decisione, evidenziando consapevolezza sulle conseguenze legali, ma soprattutto affettive e relazionali».
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