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Adozioni e legislazione sugli apolidi a parte, due sono i casi previsti dalla legge per i cittadini extracomunitari.
Il primo riguarda la persona nata in Italia (straniero alla nascita perché figlio di straniero) che abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno da tale data. È questa la formulazione dello ius soli ancora vigente: per tutti quei ragazzi che in Italia vivono, studiano, fanno progetti, questa è l’unica via per accedere alla pienezza dei diritti civili e politici. Solo a diciotto anni e mentre i loro genitori continuano a rimanere stranieri.
Il secondo caso che la legge prevede, infatti, riguarda le prime generazioni: coloro che in Italia sono arrivati adulti o, comunque, sono nati altrove. Dopo un periodo di residenza di dieci anni, continuativa ma soprattutto legale (annullando cioè la permanenza non regolare, clandestina, come si dice: la realtà della quasi totalità degli immigrati), lo straniero può richiedere la naturalizzazione, attraverso la quale il «presidente della Repubblica, sentito il consiglio di Stato, su proposta del ministro dell’interno» può «concedere» la cittadinanza. Una procedura altamente discrezionale, condotta essenzialmente dalle questure e dalle prefetture e, quindi, secondo criteri di pubblica sicurezza; che impiega in media tre anni per concludersi e finisce per scoraggiare buona parte degli stranieri “lungo-residenti”.
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