Il servizio sociale in Italia ha radici profonde e complesse, che si intrecciano con la storia sociale ed economica del paese. Le origini del servizio sociale possono essere tracciate fino al XIX secolo, ma la sua strutturazione come professione riconosciuta è avvenuta nel XX secolo.
Origini e sviluppo iniziale
La nascita del servizio sociale in Europa è comunemente datata al 1869 con la fondazione delle Charity Organization Societies (C.O.S.) a Londra, che si proponevano di riformare l’assistenza sociale attraverso un approccio più scientifico e organizzato[1][2]. In Italia, le prime iniziative risalgono agli anni ’20, quando a Milano fu istituito l’Istituto Italiano di Assistenza Sociale. Qui si svilupparono le “segreterie sociali”, che avevano il compito di facilitare l’accesso dei lavoratori ai servizi sociali[1][3].
Formazione professionale e riconoscimento
Un momento cruciale nella storia del servizio sociale italiano è rappresentato dal Convegno di Tremezzo nel 1946, dove si definì per la prima volta l’assistente sociale come professionista dotato di un proprio corpus teorico e metodologico[2][4]. Nel 1944, don Paolo Liggeri e l’assistente sociale francese Odile Vallil fondarono la prima scuola per assistenti sociali a Milano, segnando così l’inizio della formazione professionale in questo campo[1][5].
Negli anni successivi, tra il 1945 e il 1949, furono create sette scuole di servizio sociale in Italia, con un crescente supporto da parte di enti privati e pubblici[1]. Nel 1987, il titolo di assistente sociale ottenne riconoscimento giuridico, seguito nel 1993 dall’ordinamento della professione e dall’istituzione dell’Albo professionale[1].
Evoluzione nel secondo dopoguerra
Il periodo post-bellico vide una forte espansione del servizio sociale, con un aumento delle scuole di formazione e una maggiore attenzione alle problematiche sociali emergenti. La legge 328/2000 rappresenta una tappa fondamentale nella modernizzazione del sistema assistenziale italiano, introducendo un approccio integrato ai servizi sociali e sanitari[2][3].
Situazione attuale
Oggi, il servizio sociale in Italia è caratterizzato da una rete complessa di servizi che rispondono a diverse esigenze sociali. Gli assistenti sociali svolgono un ruolo cruciale come mediatori tra i cittadini e le istituzioni, affrontando problematiche che spaziano dalla povertà all’emarginazione sociale[1][2]. La professione continua a evolversi, rispondendo alle sfide contemporanee e integrando nuove metodologie e approcci.
In sintesi, la storia del servizio sociale in Italia è una testimonianza dell’evoluzione delle politiche sociali e della crescente professionalizzazione nel settore dell’assistenza.
Citations:
[1] https://www.assistentisociali.org/servizio_sociale/storia_del_servizio_sociale.htm
[2] https://moodle2.units.it/pluginfile.php/368826/mod_resource/content/0/Storia%20ss.pdf
[3] https://static.erickson.it/prod/files/ItemVariant/itemvariant_sfoglialibro/197849_9788859032496_edi3189_principi-e-fondamenti-del-servizio-sociale.pdf
[4] https://www.youtube.com/watch?v=SMUOFn0yhyM
[5] https://www.viella.it/libro/9788883346941
[6] https://www.studocu.com/it/document/universita-degli-studi-del-piemonte-orientale-amedeo-avogadro/principi-e-fondamenti-del-servizio-sociale/la-storia-del-servizio-sociale-italiano/3699435
[7] https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/5907/1/Stradi_Carita.pdf
Evoluzione del servizio sociale in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il servizio sociale in Italia ha subito una trasformazione significativa, caratterizzata da un passaggio da un sistema assistenziale frammentato e caritatevole a un modello più strutturato e professionale. Questo cambiamento è stato influenzato da vari fattori, tra cui la necessità di ricostruire il paese e l’emergere di nuove ideologie sociali.
Contesto storico e normativo
Nel periodo immediatamente successivo alla guerra, l’Italia si trovava in una situazione di grande difficoltà economica e sociale. L’apparato assistenziale era estremamente parcellizzato e dominato da enti caritatevoli e istituzioni pubbliche che operavano in modo autonomo, senza un coordinamento efficace[5]. La figura dell’assistente sociale emerse in questo contesto come risposta alla necessità di superare la frammentazione del sistema assistenziale fascista, importando modelli già affermati in altri paesi, come gli Stati Uniti[5].
Riforme chiave degli anni ’40 e ’70
Un momento cruciale per il servizio sociale fu il Convegno di Tremezzo nel 1946, dove si gettarono le basi per un’assistenza sociale moderna e laica, introducendo figure professionali come gli assistenti sociali[2]. Negli anni ’70, con l’istituzione delle Regioni e il DPR 616/77, si avviò una profonda riforma del sistema dei servizi sociali, che definì ruoli e funzioni dello Stato e delle amministrazioni locali[2][3]. Questo periodo vide anche la creazione delle Unità Locali dei Servizi Sociali e Sanitari, che permisero una gestione più integrata dei servizi.
Sviluppo del welfare state
Il concetto di welfare state si consolidò in Italia con la Costituzione del 1948, che sancì principi di solidarietà sociale e giustizia economica. Il sistema di welfare italiano si basò su un mix di servizi pubblici e assistenza sociale, comprendendo sanità universale, pensioni pubbliche e sussidi[1]. Tuttavia, il sistema ha affrontato sfide significative negli ultimi decenni a causa di instabilità economica e cambiamenti demografici, portando a riforme volte a garantire sostenibilità finanziaria ed efficacia dei servizi[1].
Approccio comunitario e innovazioni recenti
Negli anni ’80 e ’90, il servizio sociale ha visto l’emergere di approcci comunitari, con un focus sulla partecipazione attiva dei cittadini nella gestione dei servizi sociali. In questo periodo sono stati avviati progetti di sviluppo comunitario nelle aree più vulnerabili del paese[4]. Le recenti politiche sociali hanno cercato di integrare metodologie relazionali per affrontare le problematiche contemporanee.
Conclusione
In sintesi, l’evoluzione del servizio sociale in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale è stata caratterizzata da una progressiva professionalizzazione, riforme istituzionali significative e un adattamento alle sfide sociali ed economiche emergenti. Oggi, il servizio sociale continua a evolversi per rispondere alle esigenze di una società in cambiamento.
Citations:
[1] https://www.day.it/approfondimenti/welfare-state
[2] https://mappeser.com/2020/01/29/luigi-colombini-evoluzione-normativa-dei-servizi-sociali-gennaio-2020/
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Stato_sociale_in_Italia
[4] https://static.erickson.it/prod/files/ItemVariant/itemvariant_sfoglialibro/155897_9788859017172_y123_il-servizio-sociale-di-comunita-in-italia.pdf
[5] https://gliasinirivista.org/ricerca-sociale-e-lavoro-di-comunita-nellitalia-del-dopoguerra-2/
[6] https://docenti.unimc.it/edoardo.bressan/teaching/2018/18563/files/lo-stato-sociale-in-italia
[7] https://www.youtube.com/watch?v=GyrlcaEHou0
[8] https://digilander.libero.it/gossrules/2cennistorici.htm
Influenza della Costituzione repubblicana del 1948 sul servizio sociale in Italia
La Costituzione italiana del 1948 ha avuto un impatto fondamentale nello sviluppo del servizio sociale in Italia, segnando una transizione decisiva verso un modello di Stato sociale che garantisce diritti sociali e assistenza a tutti i cittadini. Questa evoluzione si è manifestata attraverso diversi articoli della Costituzione che hanno stabilito le basi per l’organizzazione e la gestione dei servizi sociali.
Principi fondamentali
- Diritti inviolabili: L’articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come individuo sia nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua personalità. Questo ha posto le basi per un’assistenza sociale che non è più vista come un atto di carità, ma come un diritto fondamentale[1][2].
- Diritto all’assistenza: L’articolo 38 stabilisce che ogni cittadino inabile al lavoro e privo dei mezzi necessari ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Questo articolo ha trasformato l’assistenza da un’erogazione discrezionale a un diritto garantito dallo Stato, influenzando profondamente le politiche sociali e la creazione di servizi dedicati[1][3].
- Uguaglianza sostanziale: L’articolo 3, in particolare il secondo comma, promuove il principio di uguaglianza sostanziale, imponendo allo Stato il compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono lo sviluppo della persona. Questo principio ha guidato le riforme nel servizio sociale, spingendo verso una maggiore inclusione e accessibilità ai servizi[2][4].
Evoluzione delle politiche sociali
La Costituzione ha fornito una cornice normativa che ha permesso lo sviluppo di un sistema integrato di servizi sociali. Negli anni successivi alla sua approvazione, sono state introdotte leggi e riforme significative:
- Legge n. 328/2000: Questa legge ha istituito un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuovendo una gestione coordinata tra Stato, Regioni e Comuni. Ha rappresentato un passo importante verso la realizzazione di un welfare state più efficace e inclusivo[2][3].
- Riforma del Titolo V (2001): Questa modifica ha decentralizzato le competenze in materia di servizi sociali, trasferendo responsabilità agli enti locali per meglio rispondere ai bisogni specifici delle comunità. Ciò ha favorito una gestione più diretta e sensibile alle esigenze locali[1][4].
Risultati e sfide attuali
L’influenza della Costituzione si riflette oggi in un sistema di welfare che cerca di garantire diritti sociali a tutti i cittadini, affrontando sfide contemporanee come la povertà, l’emarginazione sociale e la disoccupazione. Tuttavia, il sistema deve affrontare anche criticità legate a risorse limitate e a una crescente domanda di servizi, rendendo necessarie ulteriori riforme per garantire l’efficacia e la sostenibilità del servizio sociale in Italia.
In sintesi, la Costituzione repubblicana del 1948 ha rappresentato un punto di svolta cruciale per il servizio sociale in Italia, stabilendo principi fondamentali che continuano a guidare le politiche sociali nel paese.
Citations:
[1] https://www.sintesidialettica.it/il-sociale-nella-costituzione-italiana/
[2] https://iris.unive.it/retrieve/handle/10278/43796/30053/Voce%20Diritti%20sociali%20ultima%20versione.doc
[3] http://www00.unibg.it/dati/bacheca/955/49199.pdf
[4] https://www.sissco.it/alle-origini-dello-stato-sociale-nellitalia-repubblicana-la-ricezione-del-piano-beveridge-e-il-dibattito-nella-costituente-1084/
Contributo delle Regioni italiane alla riforma del sistema dei servizi sociali
Le Regioni italiane hanno giocato un ruolo cruciale nella riforma del sistema dei servizi sociali, specialmente a seguito della legge n. 328 del 2000, che ha introdotto un sistema integrato di interventi e servizi sociali. Questo processo di riforma è stato influenzato da vari fattori, tra cui la necessità di superare un vuoto normativo e di rispondere in modo più efficace ai bisogni locali.
Decentramento e autonomia regionale
La riforma del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001, ha conferito alle Regioni maggiore autonomia nella programmazione e gestione dei servizi sociali. Le Regioni sono diventate responsabili della definizione delle politiche sociali sul loro territorio, potendo così adattare le strategie alle specifiche esigenze locali. Questo ha portato a una maggiore diversificazione nei modelli di assistenza e nella qualità dei servizi offerti[1][2].
Programmazione e coordinamento
Le Regioni hanno il compito di programmare, coordinare e valutare l’attuazione del sistema integrato dei servizi sociali. Ciò include la definizione degli obiettivi delle politiche settoriali e l’indirizzo delle risorse finanziarie destinate ai servizi sociali. Le leggi regionali spesso richiamano i principi stabiliti dalla legge n. 328/2000, delineando diritti degli utenti e modalità di accesso ai servizi[1][4].
Integrazione sociosanitaria
Un aspetto significativo della riforma è stata l’integrazione tra servizi sociali e sanitari. Le Regioni hanno istituito “zone sociosanitarie” per facilitare la programmazione congiunta delle attività sociali e sanitarie, promuovendo un approccio più olistico alla salute e al benessere dei cittadini. Questa integrazione è fondamentale per garantire che le persone ricevano supporto adeguato in situazioni di fragilità[1][3].
Criticità e disuguaglianze
Nonostante i progressi, le differenze tra le Regioni hanno portato a un “welfare delle disuguaglianze”, con variazioni significative nella qualità e nell’accessibilità dei servizi sociali. Alcune Regioni hanno adottato misure restrittive per l’accesso ai servizi, creando disparità che possono influenzare i diritti dei cittadini a seconda del territorio in cui risiedono[2][3]. Queste disuguaglianze evidenziano la necessità di un equilibrio tra autonomia regionale e garanzia di livelli essenziali di prestazione (LEP) su tutto il territorio nazionale.
Conclusione
In sintesi, le Regioni italiane hanno avuto un ruolo fondamentale nella riforma del sistema dei servizi sociali, contribuendo a una maggiore autonomia e personalizzazione delle politiche assistenziali. Tuttavia, le sfide legate alle disuguaglianze territoriali richiedono un continuo monitoraggio e interventi per garantire che tutti i cittadini possano accedere a servizi equi e di qualità.
Citations:
[1] https://www.astrid-online.it/static/upload/protected/Serv/Servizi-sociali-e-riforma-del-titolo-v.pdf
[2] https://www.dirittolavorovariazioni.com/assistenza-sociale-giurisprudenza-corte-costituzionale
[3] https://www.welforum.it/20-anni-dalla-legge-328-2000-nodi-aperti-per-gestire-il-welfare-locale/
[4] https://www.rivisteweb.it/download/article/10.1447/25545
[5] https://journals.openedition.org/qds/833?lang=en
[6] https://www.perplexity.ai/elections/2024-11-05/us/president
