‘Il lavoro cambia, la sinistra no’ di Dario Di Vico. Dal blog Generazione Pro Pro di Dario Di Vico. Corriere Della Sera

La verità è che un pezzo importante della sinistra italiana fatica maledettamente a fare i conti con la società globale. Chiede che il lavoro torni al centro dell’ agenda politica ma stenta a comporre una nuova mappa delle disuguaglianze, ha una conoscenza limitata della condizione lavorativa moderna e delle sue mille sfaccettature. Il suo resta un laburismo degli insider.

Non è certamente un caso, infatti, la sottovalutazione che da anni la sinistra fa del caso Prato e più in generale della presenza cinese in Italia. Nella città toscana si scoprono a ritmo continuo laboratori clandestini in cui lavorano in condizioni di schiavitù cittadini asiatici che non sanno neppure di trovarsi a Prato.

C’è stata una mobilitazione o anche solo un appello di intellettuali indignati? Non ce n’ è traccia, tutto è stato lasciato alla destra che ha conquistato alla grande il Comune. L’ intellighenzia di sinistra vuole davvero ridare centralità al lavoro debole?

E allora perché non interrogarsi (e indignarsi) sulla condizione di qualche milione di partite Iva costretto a vivere sul mercato in regime di mono-committenza, senza tutele e con il rischio di avere a fine carriera (si fa per dire) una pensione da fame? Anche in questo caso si tratta evidentemente di lavoratori considerati di serie B e quindi non degni di attenzioni e appelli.

Meglio lasciarli alla destra. Se non si possiede una mappa aggiornata del lavoro si finisce anche per discriminare (intellettualmente, per carità) tra alimentaristi e metalmeccanici. Perché le deroghe e le flessibilità ampiamente negoziate per i primi, diventano un viatico al fascismo se applicate ai secondi?

E perché i lavoratori siderurgici garantiscono alle loro controparti il massimo utilizzo degli impianti e la massima flessibilità senza che nessuno li avverta di preparare così il tramonto della democrazia repubblicana? Un mese fa, non un secolo fa, i lavoratori della ceramica hanno sottoscritto un’ intesa che permette alle imprese di modulare l’ orario settimanale in presenza di esigenze produttive temporanee, tecnologiche e organizzative.

Non si sono resi conto i sindacalisti della Cgil, che pure hanno firmato l’ intesa, che stavano demolendo«un secolo di conquiste di civiltà»? Infine i chimici, categoria che Sergio Cofferati conosce benissimo per averne orientato negli Anni 80 la cultura contrattuale in chiave pragmatica in competizione intellettuale con i metalmeccanici torinesi di allora.

Ebbene le aziende chimiche possono spalmare i turni su 4, 5 o 6 giorni con orari più o meno elevati a seconda delle necessità produttive. E anche in questo caso a nessuno è venuto in mente un paragone con la temperie che rese possibile il delitto Matteotti.

Al di là delle polemiche cercare di ri-comporre una mappa aggiornata delle disuguaglianze e delle soluzioni contrattuali non ha la finalità di contrapporre lavoratori a lavoratori. Serve solo a dimostrare come l’ ideologia ai tempi della concorrenza globale non aiuti e rischi di assomigliare alla retorica dell’ ovvio.

Serve anche a sostenere che non esiste in linea di principio negoziato o accordo che un sindacato non possa sottoscrivere. Pessime intese si sono rivelate nel tempo dei buoni compromessi e viceversa. Dipende di volta in volta dai rapporti di forza, dai temi in discussione e soprattutto dalle alternative che si hanno a disposizione.

La società globale – e non Marchionne – obbliga tutti a essere pragmatici e a stilare un alfabeto dei diritti e delle tutele diverso da quello del passato. Si tratta di provarci.

Dario Di Vico

‘Il lavoro cambia, la sinistra no’ di Dario Di Vico. Dal blog Generazione Pro Pro di Dario Di Vico. Corriere Della Sera.

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