TartaRugosa ha letto e scritto di:
Andrea Bajani (2006)
Mi spezzo ma non m’impiego
Einaudi, Torino
Da una dichiarazione di Pietro Ichino: “La Lista Monti è più a sinistra del Pd”.
Se guardiamo l’operazione Monti con gli occhi dei giovani, delle donne e degli over 55 esclusi dal mercato del lavoro e di tutti gli outsider – ha detto ancora Ichino – oserei dire che l’agenda Monti è più dalla parte dei deboli e degli ultimi di quanto non sia il programma del Pd.
Siamo a fine anno e già totalmente immersi nella prevedibile, tormentata campagna elettorale. Lo scenario però si è arricchito proprio nel momento in cui sembrava che all’orizzonte si profilassero i due classici blocchi l’uno contro l’altro armato.
Secondo il la mia opinione, il lavoro rappresenta il punto nodale su cui concentrare ogni sforzo per rimotivare gli italiani verso la politica. Mettere in agenda questo punto vuol dire uscire da visioni ormai ammuffite appartenenti a quelli che si definiscono di destra o di sinistra: li primi volti a tutelare gli interessi dei già arrivati, di quelli che se per caso perdono il lavoro ricevono in cambio cifre da sogno; i secondi a credere che debbano essere sì tutelati gli interessi del lavoratore, ma solo di quello dipendente.
Ho conosciuto solo recentemente l’autore Andrea Bajani (vedi Cordiali saluti) che affida a “Mi spezzo ma non m’impiego” un’analisi dettagliata, affilata come lama e colorata da un’ironia che rende ancora più tragica la descrizione di che cosa significa la modernità del lavoro d’oggi. In un modo singolare: una collezione di fotografie di vetrine di agenzie di lavoro e un anno di viaggio lungo lo Stivale nel mondo del precariato.
Se la vita per alcuni è la somma di una serie di soggiorni lavorativi, “per un viaggio bisogna prepararsi, non si parte così, improvvisando. Ci sono corsi di formazione, master e quant’altro. Ci sono gli uffici turistici del lavoro. Poi ci sono quelli che si organizzano giorno per giorno i propri viaggi da soli, ma in qualche modo devono partire anche loro. Tutti, in ogni caso, hanno pacchetti di viaggio: contratti a progetto, Partita Iva, contratti di inserimento”.
La formazione
La formazione qualifica, dà quel qualcosa in più a tutti, visto che a diplomarsi e laurearsi son capaci tutti. Fare i master è un buon modo per essere un po’ di più del professionista, e questo nel mondo del lavoro è importante.
“Un master può costare tra i 6.000 e i 12.000 euro all’anno. Ma che sarà mai? .. Se per farlo i figli dovranno spostarsi a Milano o Roma e pagare anche un affitto, che sarà mai? … Tra vitto e camera in affitto, sono 9.000 euro? Vada per 9.000. Più 6.000 che sono quelli del master. Segnamo 15.000 euro all’anno, che per due anni fanno 30.000 euro. … E che sarà mai? Alla fine però diventano professionisti. Ovvero: fanno uno stage gratuito in azienda”.
E la formazione per “vendere” se stessi?
Indispensabile quella di come si scrive il proprio curriculum:”per guadagnarsi un colloquio di lavoro è indispensabile un curriculum fatto a regola d’arte, come sono a regola d’arte le autobiografie solo quando sono scritte a dovere”.
Non meno importante è quella relativa a come sostenere un colloquio di lavoro “Seguire un corso di formazione in cui insegnano, tra l’altro, ad affrontare al meglio il colloquio è un investimento che vale la pena…. Bisogna arrivare in orario, prima di tutto. … E’ molto importante che lo spieghino, al corso, perché qualcuno potrebbe considerarlo un dettaglio trascurabile…. Altro dettaglio da non trascurare è la Postura sulla sedia. Anche questo è una fortuna, che venga specificato. C’è gente che gira la sedia e si siede con la spalliera in mezzo alle gambe”.
Il lavoro atipico
“Alcuni si manifestano per acronimi: co.co.co per Collaborazione Coordinata e Continuativa (ormai in dismissione e destinati all’archeologia del lavoro), co.pro per Collaborazione a Progetto (i collaboratori sono detti stroboscopicamente anche lap, ovvero Lavoratori a Progetto). Altri contratti hanno nomi meno esotici, ma a loro modo singolari: contratto di Lavoro Intermittente (lo vedo, non lo vedo più, lo vedo, non lo vedo più, lo vedo, non lo vedo più, lo vedo?, boh), contratto di Lavoro Ripartito (un po’ per uno, come si dice ai bambini scalmanati di fronte al padellone dei pop corn). Altri ancora hanno nomi da infermeria: contratti di Somministrazione di Lavoro. Altri hanno nomi ossimorici ed esilaranti: contratti di Collaborazione Coordinata e Continuativa occasionale. … Ci si incontra, ci si stringe la mano e ci si dice “sono una Partita IVA”, “sono un co.pro”, e via così. Quando arriva uno che si presenta dicendo “sono un tempo determinato” non si sa bene come reagire”.
La Partita IVA
Molti dei lavoratori dipendenti, quelli che si continuano a lamentare di essere gli unici a pagare le tasse perché appunto essendo dipendenti hanno la busta paga e non possono pertanto evadere, sono assolutamente convinti che chi possiede una Partita Iva sia un ricco borghese professionista che specula proprio sui lavoratori dipendenti. In genere si fa questa affermazione commentando la parcella di un medico specialista, ma ora che i lavoratori atipici stanno diffondendosi “su comando” anche all’interno delle aziende, appare ancora più convinta l’affermazione che l’azienda si preoccupa di affidare tutto alle partite IVA, trascurando gli avanzamenti dei dipendenti. Si commenta inoltre la cifra delle fatture, ignorando che di quel totale esposto, il 50% viene decurtato per ritenute varie e che non esistono compensi per le ferie, né tanto meno per le malattie. “Il mercato dei farmaci d’altra parte ha fatto sufficienti progressi da consentire di portare avanti il progetto aziendale anche con qualche linea di febbre. Ci si alza la mattina, ci si infila il termometro sotto l’ascella, si verifica di avere la febbre, ci si caccia in bocca una pastiglia di Tachipirina e si sale sull’autobus. I farmaci li hanno inventati apposta per questo”. Se qualcuno pensa al prestigio, beh, effettivamente “Grazie alla Partita Iva il collaboratore diventa una Ditta Individuale. Diventare una ditta è un privilegio che una volta avevano in pochi. Diventare addirittura il titolare (Titolare della Ditta Individuale Omonima) nemmeno nei sogni più rosei lo si poteva sperare. Per questo l’azienda insiste tanto che si diventi Partite Iva. E’ un modo per dare una forma di gratificazione ai lavoratori”.
Il cinquantenne che perde lavoro
“Il cinquantenne che comincia a fare vita precaria è una persona molto nervosa…. In cucina, la sera, chiede alla moglie perché mai, dopo aver fatto lo stesso lavoro per tutta la vita, dovrebbe cominciare adesso a farne uno diverso. E non capisce perché, come gli dicono, questa dovrebbe essere un’opportunità. …Nel frattempo anche la moglie ha cominciato a fare lavoretti per raggranellare un po’ di soldi, e alla fine del mese sono sue le entrate maggiori. E’ per questo che il cinquantenne che ha perso il lavoro si inalbera ogni volta che lei tenta di dargli conforto. … Dopo aver rifiutato un paio di chiamate dall’agenzia per lavori considerati poco degni … il cinquantenne decide di accettare il primo lavoro che arriva. … I primi tempi, lo trattano tutti come se fosse un fallito, perché uno che a cinquant’anni comincia a consegnare le pizze col motorino è sicuramente uno a cui qualcosa è andato per storto. … Ma poi le cose cambiano, e insieme alle cose cambiano anche i lavori, qualche volta più lunghi, qualche volta più brevi. .. Il giorno poi, che il cinquantenne si trova a fianci a fianco del figlio a fare lo stesso lavoro, a tutti e due scappa da ridere”.
E poi Bajani nel raccontare il suo viaggio nel mondo del precariato non trascura le mete dei posti di lavoro, gli orari degli spostamenti, l’orario complessivo di una giornata, i compensi, gli stage, la creatività e la varietà del lavoro occasionale. Dentro quindi nei call center, nei supermercati, nelle scuole, nei servizi editoriali, nelle imprese di pulizia, nelle palestre, nelle case con anziani, nelle fabbriche e persino nei teatri passando da radio e animatore turistico.
Si cimenta, nella conclusione, con qualche numero: “Quanti sono i precari in Italia? Sono tanti o sono pochi. Sono milioni, in ogni caso. Il numero esatto, poco importa. Sono milioni di uomini e donne che vivono in una situazione di costante incertezza. E se i milioni sono pochi, vorrà dire che questo libro è stato scritto per una ristretta cerchia di persone”.
Io sono una di quei milioni Della precarietà so che fa parte della vita e da quando sono precaria non me ne faccio spaventare più di tanto. Ma posso dirlo perché gli anni vissuti cominciano ad essere significativi.
Per i giovani di oggi, invece, sento di avere una responsabilità individuale forte nel creare condizioni diverse da quelle attuali. Ecco perché, nel 2013, sceglierò il programma di chi non si limita a considerare il lavoro un diritto inalienabile, ma parallelamente si occuperà di tutelare anche i diritti del lavoro “atipico” perché:
“Quel che è certo è che gli “atipici” sono dappertutto e … quando gli “atipici” cominciano a diventare sufficientemente “tipici”, perché continuare a definirli “atipici”? Detto altrimenti: se quella che sta diventando sempre di più una norma viene considerata una situazione di “eccezione”, non si sta forse sottovalutando, scientemente, il problema?”
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
"Mi piace""Mi piace"