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Per comprendere il perché dei timori di Washington e di altri partner Nato sul memorandum d’intesa Italia-Cina, sulla riduzione del nostro impegno sugli F-35, sull’ambiguità nei confronti del Venezuela chavista e sulla narrativa antieuropea della coalizione gialloverde bisogna tenere presente che l’Italia è diventata l’anello debole di un Occidente in difficoltà davanti a due rivali strategici divenuti temibili: Cina e Russia. Dal crollo del Muro di Berlino nel 1989 Pechino e Mosca non sono mai stati così in crescita. Nel caso della Cina si tratta di una crescita soprattutto economica che consente di gareggiare testa a testa con Washington per la leadership sul pil globale disponendo al tempo stesso di un formidabile progetto di infrastrutture per estendere la propria influenza all’Euroasia e di una tecnologia – il 5G – capace di cambiare il modo in cui comunichiamo.
Se a tutto ciò aggiungiamo un apparato di intelligence che supera il milione di effettivi – il più numeroso al mondo – non è difficile arrivare alla conclusione che Pechino sia oggi portatrice di una sfida molto efficace all’Occidente perché punta a spostare il baricentro dello sviluppo del Pianeta dalla dorsale New York-Londra alla macroregione Pechino-Shanghai. Nel caso della Russia la crescita invece è in primo luogo strategica perché la leadership di Vladimir Putin, sostenuta dal contributo del consigliere per la sicurezza nazionale Nikholai Patrushev, consente a Mosca di adoperare con grande efficacia ciò che resta del suo arsenale della Guerra Fredda per tornare protagonista in Medio Oriente ed in Africa con interventi di tipo tradizionale – soldati, armamenti e intelligence – mentre in Europa dell’Est si è fatta largo imponendosi in Crimea e Donbass come protettrice dei russofoni e in Occidente è protagonista di operazioni cyber molto sofisticate capaci di generare instabilità interna nei partner delle alleanze occidentali
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