Con 321 sì e 259 no la Camera ha confermato la fiducia al governo Conte. I renziani (27) si sono astenuti. Oggi il presidente del Consiglio si sottoporrà al voto del Senato

Corriere della Sera: Primo sì, Conte alla sfida finale
la Repubblica: Conte, una fiducia fragile
La Stampa: L’appello di Conte: «Aiutateci»
Il Sole 24 Ore: Richiamo Ue: Recovery da rafforzare / Governo, oggi scontro finale in Senato
Avvenire: Volenteroso primo sì
Il Messaggero: Conte, maggioranza debole
Il Giornale: Voto di scambio
Qn: Conte, primo sì. Ma oggi si gioca tutto
Leggo: «Più soldi a chi ha più Pil»
Il Fatto: «Renzi chi?»
Libero: Non sa comprare i vaccini / però chiede la fiducia
La Verità: Conte si umilia per la poltrona
Il Mattino: Conte in bilico, sfida al Senato
il Quotidiano del Sud: L’ora X di Conte è a mezzogiorno
il manifesto: Buona la prima
Domani: Promesse un po’ a tutti / Conte si prende la Camera / nonostante Italia via
Conte supera la prima prova
«Tanto per inquadrare la giornata. Finora abbiamo dovuto contare 82.554 bare. Oggi il Covid ne ha uccisi altri 377. C’è un’intera popolazione da vaccinare, i disoccupati sono milioni, sulla presentazione del Recovery fund siamo in grave ritardo. Ma intanto eccoci qui. A Montecitorio. Per capire se l’Italia ha ancora un governo. E un premier» [Roncone, CdS].
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«Nei visi e negli atteggiamenti degli onorevoli, tutti gli onorevoli, sin dalle prime ore del mattino si legge un filo d’ansia. Quasi tutti sanno che se stavolta sbagliano la mossa, presto potrebbero non tornare più lì dentro. Maria Elena Boschi, che nella sua vita politica non ha mai dissentito da Matteo Renzi, propone un look total black – vestito e mascherina neri – e un atteggiamento riservato: sale e scende gli scalini dell’aula in un impenetrabile silenzio» [Martini, Sta].
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«I “responsabili” si riconoscono in fretta, di questi giorni. Per quell’aria un po’ sorniona con cui vivono la rinnovata centralità politica e l’abbandono della sofferta trasparenza cui erano stati relegati. Camminano tre metri sopra i “semplici” membri della maggioranza, che ora li guardano con un misto di gratitudine e di insofferenza. “Come ci siamo ridotti”, mastica amaro un membro del Movimento, vedendoli sfilare di prima mattina nel ristorante di Montecitorio per un caffè» [Capurso, Sta].
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«Le campane di Santa Maria in Aquiro hanno appena finito di scandire dodici rintocchi, quando la sottosegretaria agli Affari Europei Laura Agea varca il portone di Montecitorio indossando un paio di Timberland. Si ferma davanti ai carabinieri in alta uniforme, si fa aiutare dall’assistente per mantenere l’equilibrio, toglie gli scarponcini e indossa un paio di décolleté nere tirate fuori dalla borsa. Poi cammina veloce verso l’aula dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non è ancora arrivato. Sa già che sarà una giornata lunga» [Cuzzocrea, Rep].
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«Il premier arriva con dieci minuti di ritardo. Ha fatto le quattro di notte a scrivere e correggere il discorso, racconta chi è con lui» [Cuzzocrea, Rep].
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«Il primo che compare è però il suo portavoce, Rocco Casalino. Rumore di tacchi, gli enormi lampadari del corridoio accesi anche se manca poco a mezzogiorno: Rocco ha smarrito la sua aria spavalda da io sono io, goccioline di sudore gli scivolano sopra la mascherina, viene avanti con passo nervoso nel suo abito scuro, aderente, da bodyguard di provincia. Lui avanti, Giuseppe Conte subito dietro» [Roncone, CdS].
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Alle 12.13, quando Giuseppe Conte ha preso la parola, Montecitorio era quasi al completo.
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«Qui dentro il Covid pare non se lo ricordi nessuno. Sì, sono tutti distanziati e con le mascherine (perfino Vittorio Sgarbi, che tre sere fa cenava in uno dei ristoranti in rivolta contro il Dpcm, ne ha due: una sul volto, l’altra in mano)» [Zanca, Fatto].
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Per le regole sul distanziamento sui banchi del governo c’erano solo otto ministri: Azzolina, Bonafede, Franceschini, Gualtieri, Speranza, Di Maio, Fraccaro, De Micheli. Conte sembrava fisicamente un po’ solo.
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«Lì, in mezzo all’Aula, l’aplomb del presidente è quello di sempre. Parla a voce alta, con le pause “giuste”, la pochette e la mascherina bianche svettano sul completo carta da zucchero» [Martini, Sta].
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Il discorso è durato 55 minuti. Conte non ha mai nominato Matteo Renzi.
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Quattordici gli applausi dai banchi della maggioranza, il primo dopo sette minuti.
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«Il presidente del consiglio cita subito la sua prima data di insediamento: 9 settembre del 2019. E lo fa per ricordare i cardini della sua azione: la rispondenza alla costituzione e lo spirito europeista dall’azione di governo. Ora dice Conte, ancora oggi, “quel progetto ci dice che c’era una visione, un chiaro investimento di fiducia”. Poi all’inizio del 2020, “l’uragano della pandemia” ci ha spinto ad affrontare “una sfida epocale”» [Festuccia, Sta].
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Conte non ha usato né la parola «responsabili» né quella di «costruttori». Ha preferito parlare di forze parlamentari «volenterose che si vogliono mettere al centro del Paese […] Questa alleanza può già contare su una solida base di dialogo alimentata da M5s, Pd, Leu, che sta mostrando la saldezza del suo ancoraggio e l’ampiezza del suo respiro. Sarebbe un arricchimento di questa alleanza poter acquisire contributo politico di formazioni che si collocano nella più alta tradizione europeista: liberale, popolare, socialista».
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« Il governo si impegnerà a promuovere un impianto di riforma elettorale di impronta proporzionale, ovviamente quanto più condivisa».
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Alle parole «Chi ha idee, progetti, volontà di farsi costruttore insieme a noi di questa alleanza, votata a perseguire lo sviluppo sostenibile, sappia che questo è il momento giusto per contribuire a questa prospettiva….» dai banchi della Lega si sono alzate urla alternate. «A casa, a casa!». «Mastella, Mastella».
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In chiusura di discorso, Conte ha annunciato due rinunce: «Viste le sfide e gli impegni internazionali che ci attendono non intendo mantenere la delega all’Agricoltura se non lo stretto necessario e mi avvalgo della facoltà di definire un’autorità per l’intelligence di mia fiducia».
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«Conte ha pronunciato un intervento diversissimo da quello, aspro e frontale, col quale sfidò Matteo Salvini nell’agosto 2019 al Senato. Stavolta un discorso che sembrava scritto col “correttore automatico” anti-svarione: un intervento tutto pensato per andare a stanare, non subito ma nei prossimi giorni, quelli che il capo del governo ad un certo punto ha ribattezzato come “volenterosi”» [Martini, Sta].
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«Concavo e convesso, Conte si porta su tutto. È come il beige. Non stona, non lo noti. Può stare al fianco di Salvini o di Di Maio, di Trump, di Biden, di Mastella. Duttile, composto, sa usare le posate e non si offende se lo offendi. Austosufficiente, indifferente, è come i gatti che stanno con chi gli dà da mangiare ma non si affezionano davvero a nessuno» [D Gregorio, Rep].
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«Conte chiude con l’appello più accorato:
“Quando ci ricapita di far fuori
Salvini e Renzi in meno di due anni?”» [Spinoza, Fatto].
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«Non si è trattenuto […] il leghista Claudio Borghi che si rivolge sprezzante al premier: “Ma sa chi ha di fianco, lei? L’ex dj!” dice, riferendosi al ministro Alfonso Bonafede, prima di sostenere che Conte “se ne andrà come chi lascia la casa occupata, dopo aver rubato tutto e aver defecato al centro della stanza”. Né si contiene la forzista Licia Ronzulli, che ascolta Conte insieme ad Antonio Tajani da uno schermo della Corea (il corridoio dietro all’aula): “Che schifo! –sbotta, quando sente parlare dei ‘posti’ che il premier mette a disposizione – Ma questo è impazzito! Ma chi glielo ha scritto ’sto discorso?!”. I Pd non si fanno vedere. Qualche metro più in là un 5Stelle si avvicina a un renziano: “Quando Renzi ha aperto la crisi, la Fiorentina aveva vinto 3 a zero con la Juve. Ieri ha preso 6 gol dal Napoli: dobbiamo aspettarci la guerra termonucleare?”» [Zanca, Fatto].
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«Il più forte della giornata è però per Giorgia Meloni (una deputata del Pd: “Giuro: avrei voluto batterle le mani anche io”). Sentite il capo di Fratelli d’Italia: “Avvocato Conte, stamattina mi sono vergognata per lei, non solo per quell’‘aiutateci’ che tradiva la sua disperazione, ma per il mercimonio che ha inscenato in quest’Aula…”» [Roncone, CdS].
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Alle cinque del pomeriggio: pausa per permettere di sanificare l’aula, tutti fuori.
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«Alla fine la conta si è risolta con un verdetto che per i sostenitori del premier è decisamente positivo. A votare la fiducia sono stati infatti 321 deputati, sei in più rispetto alla maggioranza assoluta di 315. I no sono stati 259 e 27 (i renziani) gli astenuti. Di fatto lo scarto tra favorevoli e contrari è circa il 10% dei componenti della Camera. A sorpresa ha votato a favore la forzista Renata Polverini, che ha annunciato subito dopo l’addio al suo partito. Tra i sostenitori di Conte oltre all’ex renziano De Filippo (rientrato nel Pd) anche Rostan (sempre di Iv) mentre dal misto sono giunti i sì al premier degli ex M5s: Aiello, Aprile, Benedetti, De Giorgi, Ermellino, Fioramonti, Trano e dell’ex leghista Lo Monte. Ci sono stati anche alcuni assenti di peso: Portas di Iv ma anche due pentastellati (Sarli e Del Monaco)» [S24].
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«Forte di questo risultato, Conte ora si prepara alla battaglia di Palazzo Madama, dove i numeri sembrano meno benevoli» [Caratelli, Sta].
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«Auletta del gruppo Pd al Senato. Nella riunione col segretario parla per ultimo Alan Ferrari, non un volto televisivo, ma uno di quelli che dà le carte, il segretario d’aula del Pd. Colui che ha il polso delle votazioni, che tiene in mano il pallottoliere, che sa quando si rischia di andare sotto nelle commissioni. Disegna uno scenario da brividi. “Stiamo arrivando ad una situazione in cui in Senato non c’è maggioranza nelle commissioni, in capigruppo e in aula”. Ecco il punto debole di questa fragile impalcatura. Ferrari fa un esempio molto concreto: che succede se il centrodestra vota un emendamento di Renzi al Recovery plan? Magari sul Mes. In commissione Bilancio non ci sarebbe la maggioranza. Ecco l’elenco delle trincee perdute fatto dagli uffici del Pd: il governo da ora è alla pari (e quindi perdente) nelle commissioni Giustizia, Esteri, Difesa, Bilancio e Industria. Va peggio dove le opposizioni saranno in vantaggio: contando anche Renzi, nelle commissioni Scuola, Lavori Pubblici, Sanità e Ambiente. Lì può succedere il patatrac. E molto presto» [Bertini, Sta].
Agenda politica
Al Senato comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla situazione politica: a seguire, il voto di fiducia (ore 9). Alessandro Trocino sul Corriere della Sera: «Il pallottoliere è impazzito e la matematica, come spesso accade in questi casi, è tornata a essere un’opinione. I numeri della maggioranza al Senato […] restano ancora molto oscillanti, […] in una forbice compresa tra 151 e 160. Quanto basta, in realtà, per consentire al presidente del Consiglio Giuseppe Conte di portare avanti la sua azione di governo e superare la prima prova. […] L’opposizione ha 149 voti e, visto che non serve la maggioranza assoluta, a Pd-M5S e Leu basta raggiungere quota 150 per ottenere la fiducia (dipenderà, naturalmente, anche dalle assenze in Aula). C’è un altro rischio: che la truppa dei 18 renziani decida all’improvviso di cambiare la decisione annunciata dal leader, ovvero l’astensione. In quel caso, la maggioranza non ce la potrebbe fare. Ma, in assenza di colpi di scena, la maggioranza giallo-rossa può contare su una base di partenza di 151 voti. A questi bisogna aggiungere sei senatori a vita: tre sono sostanzialmente sicuri (Elena Cattaneo, Mario Monti e Liliana Segre), uno sarà assente (Giorgio Napolitano) e con altri due (Carlo Rubbia e Renzo Piano) sono in corso tentativi di convincerli a tornare a Palazzo Madama e schiacciare il pulsante. Considerandone prudenzialmente tre, siamo a 154. A questi sono da aggiungere la mastelliana Sandra Lonardo e l’ex M5s Gregorio De Falco. E siamo a 156. Per spingersi oltre, e sfiorare se non raggiungere la soglia psicologica della maggioranza assoluta di 161, bisogna pescare in altri gruppi. Le trattative sono frenetiche. Paola Binetti avrebbe assicurato a Palazzo Chigi il suo voto, che porterebbe a quota 157, mentre si sta cercando di convincere l’altro Udc Antonio Saccone, più riottoso. Due esponenti di Italia viva, Eugenio Comincini e Leonardo Grimani, sarebbero orientati a votare con la maggioranza. Quanto basta per ricominciare a navigare, con la consapevolezza che la maggioranza assoluta serve solo nei voti di bilancio: sullo scostamento, in arrivo, ci saranno probabilmente anche i voti dell’opposizione, mentre Nadef e Finanziaria arriveranno in pieno semestre bianco, quando il capo dello Stato non può sciogliere le Camere. Il reclutamento di quelle che Nicola Zingaretti chiama “forze democratiche, liberali ed europeiste” potrebbe avvenire giorni e settimane dopo la fiducia, per rinsaldare la maggioranza e magari ricompensare i nuovi arrivi con qualche poltrona ministeriale».
Mattia FeltriLa StampaIl sublime Giuseppe Conte ieri ha detto in Parlamento che l’agenda di Joe Biden è la sua agenda, dopo aver detto che la sua agenda era l’agenda di Donald Trump, poiché il multilateralismo di Joe Biden è una sciccheria, dopo aver detto che era una sciccheria il bilateralismo di Donald Trump. La moralità degli onesti ha le virtù dell’acrobata, ma a chi fosse capitato di leggere un paio di manualetti sa che da cinque secoli abbondanti la politica s’è separata dalla morale sull’insegnamento di Niccolò Machiavelli. Che non era né cinico né cattivo, non pensava che il principe dovesse praticare l’immoralità per conservare il potere e dominare sugli uomini a suo tornaconto, ma che la morale andasse subordinata all’interesse dello Stato, nell’interesse di tutti. Ci sono pagine illuminanti di Benedetto Croce in cui si spiega l’acre amarezza con cui Machiavelli accompagnava le sue considerazioni: se gli uomini fossero tutti buoni – diceva il fiorentino – questi precetti buoni non sarebbero, ma gli uomini sono «ingrati, volubili, fuggitori di pericoli, cupidi di guadagno» e, aggiungeva Croce, chiamano morale solo l’unzione moralistica e l’ipocrisia bacchettona. Dunque tocca imparare a non essere buoni e a mancare di fede quando convenga. In un mondo serio sarebbe tutto qui: per la sopravvivenza del governo e il bene dello Stato, Conte passa da Salvini a Zingaretti, e da Trump a Biden, come un altro passerebbe dal divano alla poltrona. Il guaio è che la doppiezza è un’arte per gran simulatori e dissimulatori, i quali sanno che il requisito minimo di una bugia è di essere credibile, se non vuol diventare burletta.Mattia Feltri