Quanto affermato oggi dalla Presidente Meloni durante il question time sul tema del salario minimo manifesta purtroppo una conoscenza dell’argomento che non va al di là del sentito dire.
“Il salario minimo legale può diventare non un parametro aggiuntivo delle tutele garantite ma un parametro sostitutivo che rischierebbe per paradosso di creare condizioni peggiori per i lavoratori” afferma, evidentemente avvisata dei dubbi e delle ostilità dei Sindacati ad una soluzione potenzialmente passibile di espropriare alle Parti Sociali la titolarità della contrattazione collettiva.
Aggiunge “Credo sia molto più efficace estendere la contrattazione collettiva anche nei settori dove non è prevista, tagliare le tasse sul lavoro e lavorare per combattere le discriminazioni”.
Lasciamo perdere la mitologia dell’abbassare le tasse sul lavoro (8.250.000 lavoratori dipendenti pagano IRPEF zero in forza di no tax area, esenzioni e bonus vari) e le discriminazioni, non meglio chiarite.
Concentriamoci sul “estendere la contrattazione collettiva anche nei settori dove non è prevista”: quali sarebbero? Con quasi 1.000 CCNL registrati al CNEL viene difficile scoprirli!
Ma questo è il meno: il peggio è che l’uscita della Meloni richiama una visione organica del mondo del lavoro, riconducibile a comparti (corporazioni?) identificabili a priori, cui delegare il darsi una regolamentazione contrattuale.
Ahimè, non è così, né nella teoria né nella prassi. Nella teoria l’art. 39 della Costituzione (la più bella del mondo, oibò) dice semplicemente che i sindacati possono “stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”, ma in nessun modo indica che vi debba essere a monte una tabella delle categorie destinatarie dei CCNL.
Nella pratica la Costituzione prevede la libera iniziativa dei sindacati di contrattualizzare le realtà lavorative, non l’incarico di dare sistemazione contrattuale ad una tavola di settori-comparti predefinita. Questo era l’impianto del sistema corporativo: che la Meloni vi faccia riferimento culturale non fa sorpresa né scandalo.
Basta rendersi conto che implica un sistema di relazioni industriali “di Stato” in luogo della libera contrattazione tra parti liberamente costituitesi. Anche ammesso che si individuino i settori non coperti da CCNL, come si comporterà lo Stato? Obbligherà le rappresentanze sociali interessate a contrattare? E se le rappresentanze aziendali e dei lavoratori non ci sono stabilirà un obbligo a costituirle?
Ripeto: l’obbligo alla contrattazione collettiva per settori predefiniti è un’utopia (neanche la peggiore, francamente) del sistema corporativo.
Magari nel tentativo di essere gradita alle Organizzazioni Sindacali respingendo l’intervento di legge sul salario minimo ha finito per fare peggio.
Ma sindacati e opposizione hanno una proposta migliore?