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Oltre i cigni neri
La civiltà ipertecnologica e ipercomplessa è una civiltà della razionalità e del controllo totale che continua a rappresentarsi, ad auto-rappresentarsi e ad essere rappresentata come una civiltà sempre più avanzata e in grado di semplificare tutto, oltre che di eliminare l’Errore e l’imprevedibilità dalle nostre vite, attraverso l’automazione e i processi di simulazione.
Il paradigma egemone, che ne è alla base, porta con sé una serie di grandi illusioni intimamente legate alla possibilità di marginalizzare l’Umano, delegandone le relative scelte e responsabilità a sistemi di intelligenza (?) artificiale e dispositivi tecnologici interconnessi.
Continuiamo a credere di saper/poter controllare e prevedere, perfino, pre-determinare tutto, invece di provare ad apprendere, proprio attraverso l’errore e l’imprevedibilità, come abitare l’ipercomplessità ed aprirsi all’indeterminato. La confusione sistemica e culturale tra “sistemi complicati” (meccanismi) e “sistemi complessi”(organismi) continua ad avere conseguenze profonde, a tutti i livelli.
Le scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche di questi ultimi decenni, oltre ad averci offerto straordinarie opportunità di determinare anche i meccanismi dell’evoluzione biologica, ci hanno fatto anche definitivamente entrare nel tempo della massima imprevedibilità, incertezza e obsolescenza (dei saperi e delle competenze). Dimensioni sistemiche e, ormai, anche esistenziali.
D’altra parte, l’Umano, il Sociale, il Vitale e, più in generale, i “sistemi complessi” non sono riducibili né semplificabili, né tanto meno misurabili, prevedibili, gestibili fino in fondo. Di conseguenza, occorre un ripensamento profondo delle epistemologie e delle metodologie che plasmano e caratterizzano insegnamento, educazione, formazione, ricerca, superando fratture, logiche di separazione e reclusione dei saperi che hanno mostrato tutti i loro limiti e le nostre inadeguatezze, anche durante la pandemia.
Piero Dominici (PhD), sociologo e filosofo, è professore associato presso l’Università di Perugia. Tra i numerosi riconoscimenti e incarichi internazionali, è delegato ufficiale all’UNESCO, UN Invited Expert and Speaker, Fellow della World Academy of Art & Science, Vice Presidente della WCSA e Fellow della Complex Systems Society. Direttore Scientifico di CHAOS (2011), ha insegnato e tenuto conferenze presso numerosi Atenei internazionali e partecipa a progetti di rilevanza internazionale. È membro dell’Albo dei Revisori MIUR e referee di prestigiose riviste scientifiche nel mondo, oltre a far parte di Comitati scientifici internazionali. Si occupa, da quasi trent’anni, di sistemi complessi, di educazione e formazione alla complessità ed all’imprevedibilità. È autore di libri e numerose pubblicazioni scientifiche, tradotte anche in altre lingue.
INDICE
Edgar Morin, Prefazione
– Cigni neri e paradigmi obsoleti. L’impossibilità di operare una sintesi e l’urgente apertura all’indeterminato
– E il legame sociale? Le grandi illusioni della civiltà ipertecnologica e l’interazione complessa dell’umano con la tecnica e le macchine
– Oltre la linearità. La complessità della complessità e l’epistemologia dell’errore
– Dilemmi e paradossi della Società Ipercomplessa
– Per un “nuovo contratto sociale”. La società asimmetrica e la centralità strategica di educazione e formazione
– La dittatura della concretezza e l’urgenza di una svolta radicale
– Varcare o abitare i confini della Società Ipercomplessa? Ripensare l’educazione e l’architettura complessiva dei saperi
– Il Pensiero e la civiltà ipertecnologica dell’automazione e della simulazione: l’Intelligenza Artificiale come nuova “frattura epistemologica”
– Ripensare l’Umano e ri-mediare il Sociale. Perché “democrazia è complessità”
– Riferimenti bibliografici.
PREFAZIONE DI EDGAR MORIN:
Mi convincono molto i presupposti, l’approccio e lo sforzo epistemologico e di comprensione che Piero Dominici cerca di sviluppare in questa sua nuova opera. Piero Dominici ha il merito di mostrarci l’importanza e le potenzialità di un trattamento sistemico del mutamento in atto e di ritornare, in una chiave originale e critica, sulle questioni fondamentali in termini di approccio e di metodo, sulle quali ho riflettuto e lavorato a lungo (cfr. Il Paradigma perduto e Il Metodo).
La comprensione di quella che definisce la “complessità della complessità” impedisce le tentazioni riduzionistiche e deterministiche e il lasciarsi andare alle lusinghe delle narrazioni egemoni e delle spiegazioni che semplificano fin troppo le questioni del nostro tempo, non ultime quelle della democrazia e della globalizzazione.
Egli è attento a tenere insieme un sistema di variabili e concause, evidenziandone le correlazioni e le connessioni, anche quando affronta le delicate questioni legate alla trasformazione digitale ed alla civiltà dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. Si tratta di dimensioni ed evoluzioni complesse che determinano l’ennesimo cambiamento dei paradigmi, dei linguaggi, delle culture, delle forme di vita e dei sistemi di relazione.
Le ricerche di Dominici conducono a ripensare in maniera radicale l’educazione, la formazione e la ricerca, ricomponendo alcune storiche, ataviche, fratture. Tra queste diverse fratture, Dominici si sofferma su quella esistente tra cultura e tecnologia, scaturita, come altre, da quella, altrettanto importante e devastante, tra formazione umanistica e formazione scientifica. Fratture e “logiche di separazione” sulle quali egli ritorna spesso, evidenziando le connessioni e le correlazioni, anche quelle meno evidenti.
Fratture e “logiche di separazione” che mostrano, in maniera ancor più evidente e imbarazzante, la totale inadeguatezza delle nostre scuole e università, proprio in questa nuova fase di trasformazione antropologica dove dobbiamo ricercare nuovi percorsi nell’educazione e, soprattutto, un nuovo pensiero[1].
Il pensiero e la ricerca di Dominici si spingono, con merito, oltre le retoriche della cosiddetta “rivoluzione digitale”, sottolineando – tra i pochi, se non l’unico, a farlo in questi anni – come il digitale abbia condotto le persone, le organizzazioni, i sistemi sociali e la vita stessa, verso una condizione di “complessità aumentata” e non verso la semplificazione.
La ricerca diventa così “strumento” essenziale per andare oltre la visione diffusa, per non dire egemonica, che fa coincidere il cambiamento di paradigma in atto, con una trasformazione soprattutto tecnica e tecnologica: in questo caso, l’Autore argomenta, in maniera estremamente chiara ed efficace come anche, e soprattutto, nei processi educativi e formativi, occorra una svolta radicale, ben oltre l’idea di una loro estensione o di un loro adeguamento alla natura del cambiamento tecnologico e della cosiddetta rivoluzione digitale.
Fratture cognitive, linguistiche, comunicative, sociali, culturali, esistenziali, antropologiche che trovano il loro ancoraggio in modelli educativi, pedagogici e culturali che, come sostiene anche Dominici, assolvono una serie di funzioni vitali per la stessa sopravvivenza delle comunità e dei sistemi sociali.
Se non opereremo questa trasformazione radicale dell’educazione e della formazione, ci ritroveremo, ancora una volta, nella condizione di poter soltanto subire la trasformazione tecnologica in atto: una trasformazione – ribadisce Dominici -che è, soprattutto, antropologica e che mette in discussione le identità e le soggettività in gioco, definendo peraltro nuove asimmetrie e disuguaglianze a livello globale.
Il mutamento globale in atto è profondo, radicale e invasivo e ci trova del tutto impreparati nel gestire questa fase di transizione così pericolosa; si tratta di una crisi che, come ho avuto modo di affermare in passato, è in primo luogo una “crisi del pensiero”, oltre che una crisi culturale.
Dominici, pertanto, in perfetta linea di continuità con il paradigma e l’approccio della complessità, da tempo continua a portare avanti lo sforzo di provare a ricomporre queste “fratture” fondamentali che la trasformazione antropologica ha reso ancor più evidenti, e inadeguate, proprio all’interno delle istituzioni educative e formative.
Fratture che sono divenute, nel tempo, anche esistenziali e che segnano le esperienze delle persone e dei gruppi, dentro e fuori le organizzazioni, dentro e fuori gli ecosistemi umani. Queste fratture, anche epistemologiche, sono state definite da Dominici, diversi anni fa, “false dicotomie”: esse continuano ad alimentare la produzione sociale di conoscenza e cultura e la stessa vita sociale, in tutte le sue forme e rappresentazioni.
Di conseguenza, l’apprezzamento è massimo per questo sforzo, continuo e incessante, di definire la natura complessa, ambigua e fino in fondo imprevedibile, della complessità e della vita (biologica, sociale e umana), pur lasciandosi sempre un margine importante per l’invisibile e l’indefinito, dal momento che non tutto è visibile e non tutto è misurabile.
Concordo pienamente con lui quando, come anche in altre sue precedenti pubblicazioni, ri-afferma con chiarezza l’errore che stiamo commettendo di volere trasformare, a tutti i costi, qualcosa che è qualitativo (l’Umano) in qualcosa che è quantitativo e misurabile, pertanto “oggettivo” e “scientifico”.
Egli denuncia le conseguenze negative di una “cultura della standardizzazione” che ha, ormai, preso possesso delle nostre organizzazioni e della vita pubblica. Di qui, l’importanza vitale, per Dominici, di non continuare a perpetuare “l’errore degli errori”, confondendo il “complesso” con il “complicato”, i sistemi complessi con quelli complicati; continuando a ricondurre la vita ad analisi riduzionistiche e deterministiche, nonché a sequenze infinite di dati e formule, illudendosi di poterne ridurre la varietà e la complessità e, allo stesso tempo, continuando a tenere separate cultura e tecnologia.
Nel libro viene sottolineata, più e più volte, l’importanza di “abitare l’ipercomplessità”, dal momento che questa (iper)complessità – secondo l’Autore – non può essere gestita, in alcun modo, neanche con il supporto decisivo delle tecnologie e dei nuovi ambienti iperconnessi. Da qui, l’urgenza di recuperare quelle che Dominici ha definito le “dimensioni complesse della complessità educativa”, educando e formando all’imprevedibilità, costruendo una vera “cultura dell’errore”, fin dai primi anni di vita e di studio. Senz’altro, si tratta di un’altra delle questioni su cui sono pienamente d’accordo con le tesi del sociologo e filosofo italiano.
Mi piace, in tal senso, riportarne alcuni brani:
Il cambiamento si annida sempre più nelle zone di tensione e conflitto, nelle nostre debolezze e inadeguatezze, nelle anomalie, nelle fluttuazioni e nei dilemmi che caratterizzano la conoscenza, l’azione sociale, i sistemi complessi (adattivi); il cambiamento si annida perfino nella nostra incompletezza che ci permette di essere creativi e ricorrere all’immaginazione, cercando percorsi alternativi, abbandonando, se necessario, le vie già percorse; il cambiamento si annida sempre più nei momenti di incertezza, in quegli errori e in quelle vulnerabilità che, spesso, ignoriamo e/o cerchiamo di non vedere. Un cambiamento (e un’innovazione) che rischia, tuttavia, di essere opportunità “per pochi”. Come ripeto spesso, occorre mettere in discussione i saperi, i confini tra i saperi, le pratiche consolidate, riconsiderando la valenza strategica delle emozioni e degli immaginari individuali e collettivi; in altri termini, è necessario avere (anche) il coraggio di rompere equilibri,spezzare le catene della tradizione, abbandonare il certo per l’incerto; scegliere, almeno provvisoriamente, di correre il rischio di essere vulnerabili. Abitando i confini, i territori inesplorati, oltrepassando quei vincoli e quelle logiche di separazione (tipiche delle istituzioni educative e formative) che ci impediscono di cogliere il senso più profondo del vitale, del sociale, del relazionale e di comprenderne la complessità e l’ambivalenza. Dimensioni appunto complesse, mai riducibili/riconducibili a formule matematiche e/o sequenze di dati».
La civiltà delle macchine intelligenti, ove artificiale e naturale coincidono, è segnata da una progressiva crescita della dimensione del tecnologicamente controllato che, come chiarisce Dominici, marginalizza l’Umano, svaluta il pensiero e restringe lo spazio della responsabilità, ridefinendo le sfide della complessità proprio nella direzione di ripensare/ridefinire la centralità della Persona e dell’Umano. Ciò significa anche – con le sue parole – ripensare lo spazio relazionale e comunicativo dentro le istituzioni formative ed educative, rilanciare l’educazione in una prospettiva che non può che essere sistemica e transdisciplinare. Continuiamo, d’altra parte, ad ignorare un aspetto importante: il fattore umano è/sarà sempre decisivo dal momento che è dietro ogni processo, dietro ogni meccanismo, dietro ogni intelligenza artificiale.
Sono ancora vive le possibilità e le prospettive dell’Umanesimo planetario di cui ho parlato per lungo tempo. In questa linea di discorso, trovo molto interessante la sua proposta di educare e formare “figure ibride”, avanzata già alla metà degli anni Novanta. Si tratta di figure con una preparazione di base logica, metodologica ed epistemologica, comune, al di là dei percorsi disciplinari; figure capaci di abitare l’ipercomplessità, e non soltanto di saper gestire/controllare le tecnologie e i nuovi ambienti iperconnessi, sfruttandone al massimo le potenzialità pratico-applicative.
Dominici comprende e spiega bene come sia tempo di “ripensare a come pensiamo”, la vera dimensione fondativa dell’Umano: una dimensione cruciale che porta con sé quella “di ripensare l’umano e la sua interazione con la tecnica e il tecnologico”, ricomponendo la frattura tra la cultura e la tecnologia e, quindi, tra la formazione umanistica e quella scientifica.
Oscilliamo tra nuove utopie e distopie e dobbiamo essere consapevoli che il futuro – come egli afferma – è di chi riuscirà a ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico, di chi riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tranaturale e artificiale; di chi saprà coniugare (non separare) conoscenze e competenze; di chi saprà coniugare, di più, fondere l’umanistico e con lo scientifico, sia a livello di educazione e formazione, che di definizione di profili e competenze professionali.
Sono d’accordo con Dominici anche quando afferma: «…la tecnologia
cultura) è entrata prepotentemente a far parte dellasintesi dei nuovi valori e criteri di giudizio. Siamo dentro un processo di trasformazione antropologica (1995) e nel mezzo di un cambiamento radicale dei paradigmi e dei linguaggi. Gettati nell’ipercomplessità, una ipercomplessità di cui non abbiamo ancora compreso le profonde implicazioni epistemologiche ed etiche. Poco consapevoli che possiamo soltanto provare adabitarla. Una civiltà che, sempre più segnata da paradossi e contraddizioni, da distanze e asimmetrie, deve fare i conti con l’assenza di un sistema di pensiero e di un modello teorico-interpretativo in grado di comprendere l’ipercomplessità del mutamento in atto.
I tradizionali confini tra natura e cultura, tranaturale e artificiale, tra formazione umanistica e formazione scientifica, tra i saperi, tra i vissuti sociali, tra i mondi vitali, sono completamente saltati. Numerose le implicazioni epistemologiche tuttora sottovalutate, nella fuorviante convinzione che la razionalità, la tecnica e le tecnologie, l’infinita disponibilità di dati/informazioni, possano, ancora una volta, ristabilire l’equilibrio perduto e il controllo.
Mai in passato, come nell’era degli ecosistemi interconnessi, ordine e caos coesistono, convivono, sono entrambi presenti, comunque e sempre, retroagiscono nel quadro sistemico di una complessità del vivente e, ancor di più, del sociale, che continua a rivelarsi mai comprensibile e intellegibile fino in fondo».
Nel libro, opportunamente, vengono affrontate le dimensioni di una complessità soggettiva, vitale, relazionale, organizzativa, sociale – ma anche linguistica e comunicativa – che, con le sue parole, non è oggettivabile in nessuna formula matematica e in nessun dato o sequenza di dati, pur infinita. Siamo nel mezzo di una trasformazione antropologica, che si sostanzia – così la definisce – nel ribaltamento dell’interazione complessa tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale; si tratta di una questione profonda anche, e soprattutto, in termini di “cultura della comunicazione”, resa ancor più complessa, e problematica, dall’assenza di un sistema di pensiero e di un modello teorico-interpretativo in grado di osservare, riconoscere e (provare a) comprendere l’ipercomplessità.
L’altra questione cruciale, che viene affrontata nell’opera, è quella relativa alle grandi illusioni della civiltà ipertecnologica, illusioni che incrociano, evidentemente, le tematiche della libertà e della democrazia. Egli afferma, in maniera netta: «La civiltà ipertecnologica, iperconnessa e delle macchine intelligenti (?), continua ad alimentare una vecchia e controproducente illusione: quella di poter espellere/eliminare l’errore (pre-requisito fondamentale di qualsiasi conoscenza, della vita e della stessa libertà) e l’imprevedibilità, non soltanto da educazione e formazione, ma dagli stessi sistemi complessi, oltre che dai processi sociali e organizzativi che li caratterizzano». In perfetta linea di continuità con quella convinzione (visione del mondo), ancora dominante, che fa coincidere il progresso tecno-economico con il Progresso umano e sociale e che alimenta, quello che ho definito, il “delirio euforico del transumanesimo”, attraverso il quale gli esseri umani si convincono di essere padroni del proprio destino, di poter arrivare, addirittura, all’immortalità e, appunto, come si argomenta efficacemente nel libro, di poter controllare e pre-determinare tutto attraverso l’automazione e l’intelligenza artificiale.
Temi e questioni di importanza cruciale che rendono il lavoro di Dominici importante, non soltanto per gli studi e le ricerche sulla complessità e la democrazia, ma anche per la ricerca di un Nuovo Umanesimo, che sappia andare oltre gli stessi presupposti della precedente esperienza culturale e storica.
Mettendoci in condizione di cogliere, meglio e più in profondità, le lezioni legate all’emergenza coronavirus e le sfide che ne stanno derivando: “L’avvenire imprevedibile è oggi in gestazione. Auspichiamo che sia per una rigenerazione della politica, per una protezione del pianeta e per un’umanizzazione della società: è tempo di cambiare strada”[2].
Perché, come si spiega efficacemente nel libro, nella società dell’intelligenza artificiale, dell’automazione e della simulazione, ad essere messi in discussione sono la nostra stessa umanità, il nostro “essere umani” e la nostra libertà e responsabilità di apprendere e migliorare le nostre vite, anche e soprattutto, commettendo errori.
E la speranza e l’augurio è che, prima o poi, gli esseri umani si rendano conto che la crescita della loro potenza va di pari passo con la crescita della lorodebolezza, imparando a convivere con l’incertezza che accompagna, da sempre, la grande avventura dell’umanità.
Edgar Morin
Il libro “Oltre i cigni neri. L’urgenza di aprirsi all’indeterminato” di Piero Dominici, con prefazione di Edgar Morin, è stato pubblicato da Franco Angeli nel 202312.
In quest’opera, Dominici affronta la crisi epistemologica e culturale della civiltà ipertecnologica e ipercomplessa contemporanea, dominata dalla razionalità e dal controllo totale, che si illude di poter semplificare, prevedere ed eliminare l’errore e l’imprevedibilità dalla vita umana e sociale. L’autore sostiene che l’umano, il sociale e i sistemi complessi non possono essere ridotti a modelli semplificati, misurabili e completamente gestibili. Per questo è necessario un profondo ripensamento delle epistemologie e delle metodologie di insegnamento, educazione, formazione e ricerca, superando le logiche di separazione e reclusione dei saperi che si sono dimostrate inadeguate12.
Dominici invita a superare il paradigma dominante che delega le scelte e le responsabilità all’intelligenza artificiale e ai dispositivi tecnologici, illudendosi di poter controllare e predeterminare tutto. Al contrario, propone di imparare ad abitare l’ipercomplessità accogliendo l’errore e l’imprevedibilità, aprendo così all’indeterminato. Questo approccio è fondamentale per distinguere tra sistemi complicati (meccanismi) e sistemi complessi (organismi) e per affrontare le sfide culturali e sistemiche attuali2.
Il libro è pubblicato nella collana “Laboratorio sociologico” di Franco Angeli, conta 296 pagine, ed è disponibile in edizione stampata al prezzo di circa 36,50 euro1.
Citations:
- https://www.francoangeli.it/Libro/Oltre-i-cigni-neri-L’urgenza-di-aprirsi-all’indeterminato?Id=28336
- https://emanueleseverino.com/2023/05/02/piero-dominiciprefazione-di-edgar-morin-oltre-i-cigni-neri-lurgenza-di-aprirsi-allindeterminato-franco-angeli-2023-indice-del-libro/
- https://www.maremagnum.com/it/libri-moderni/oltre-i-cigni-neri-l-urgenza-di-aprirsi-all-indeterminato/251974377/
- https://www.festivalcomplessita.it/oltre-i-cigni-neri-di-piero-dominici/
- https://takethedate.it/Eventi/41773-oltre-i-cigni-neri-l-urgenza-di-aprirsi-all-indeterminato.html
- https://www.abebooks.it/9788835146063/cigni-neri-Lurgenza-aprirsi-allindeterminato-8835146062/plp
- https://www.stultiferanavis.it/bibliografia/oltre-i-cigni-neri-lurgenza-di-aprirsi-allindeterminato
- http://stultifera.mediatria.com/la-rivista/oltre-i-cigni-neri-di-piero-dominici-errore-e-complessita

L’ha ripubblicato su Il pensiero di EMANUELE SEVERINO, a cura di Vasco Ursini (1936-2023).
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