Luigi Colombini, LA LEGGE 26 GIUGNO 2024, N. 86, “DISPOSIZIONI PER L’ATTUAZIONE DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO”. RIPERCUSSIONI SULL UNITA’ D’ITALIA E SUL SISTEMA DEI SERVIZI ALLA PERSONA ED ALLA COMUNITA’, luglio 2024

LA LEGGE 26 GIUGNO 2024, N. 86, “DISPOSIZIONI PER L’ATTUAZIONE DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO AI SENSI DELL’ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE. SULLE RIPERCUSSIONI DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA” E LE RIPERCUSSIONI SULL UNITA’ D’ITALIA E SUL SISTEMA DEI SERVIZI ALLA PERSONA ED ALLA COMUNITA’

di Luigi Colombini.  Già Docente di Legislazione ed Organizzazione dei Servizi Sociali presso Università Statale Roma TRE, corsi DISSAIFE e MASSIFE

INTRODUZIONE STORICO-ISTITUZIONALE

Con la Repubblica è stato avviato Il lungo processo per la necessaria delineazione di competenze, fra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali alla luce del rispetto pieno della Costituzione della Repubblica (in particolare gli art. 5, 117, 118 e 119), dopo la constatata limitatezza dei provvedimenti disposti con il primo trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni (DPR n. 4 e n. 9 del 1971, in particolare per ciò che concerne i servizi sanitari e sociali).

A tale riguardo, peraltro, è ben nota la più che cinquantennale vicenda della continua ri-definizione dei rapporti fra i vari livelli istituzionali, avviata con l’avvio delle Regioni e non ancora conclusa.

Occorre ricordare che, a fronte delle tendenze secessioniste portate avanti da un partito della Repubblica (lega nord), che prospettava non già l’Italia, bensì l’ I-taglia – che accoglieva un largo consenso fra gli elettori del Nord del paese (in particolare Lombardia e Veneto, con la prospettiva di una nuova entità istituzionale indipendente, la Padania) – fu istituita una Commissione bicamerale, con la Presidenza affidata a Nilde Jotti, con il compito di ri-definire in senso più osservante delle autonomie regionali e locali, il quadro costituzionale di riferimento per la riforma del titolo V della Costituzione, fatta salva l’Unità della Repubblica.

Le fasi più significative del processo rimandano alla legge n. 59/97 ed al decreto attuativo n. 112/98, con cui si è avviato un processo di riforma amministrativa “a Costituzione vigente” – come veniva sottolineato all’epoca – e quindi ancor prima della modifica del Titolo V della Costituzione, e quindi nel rispetto della Costituzione stessa.

L’altro decreto che ha completato il processo di riforma è stato il d.lgs n. 127/98, che ha ulteriormente modificato il quadro politico-amministrativo.

Nello sviluppo successivo ulteriori scansioni normative sono state avviate a partire dalla prima legge sul federalismo fiscale (legge 133/99:“Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale”; D.lgs. n. 56/00 “Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’art.10 legge n. 133/99) e con la legge n. 328/00, relativa al sistema integrato dei servizi sociali, e sono state quindi gettate le basi per la modifica del titolo V della Costituzione (legge Costituzionale n. 3/01), che ha sancito in via definitiva l’assetto istituzionale del paese in ordine, fra l’altro, allo svolgimento delle politiche sociali.

La legge costituzionale n. 3/2001, che risale quindi a circa venticinque anni or sono, ha modificato profondamente l’assetto istituzionale della Repubblica, e, in estrema sintesi, secondo il principio di sussidiarietà (verticale: rapporto fra le istituzioni; orizzontale; rapporto fra le istituzioni e la società civile) ha disegnato un rinnovato quadro nei rapporti fra Stato, Regioni, Enti locali, Terzo settore.

Nel più generale riferimento dei principi che sono a monte dell’ attuazione dello stato in senso autonomistico, si ritiene opportuno richiamarne alcuni che si connettono alla conseguente necessità di definire un quadro coordinato ed articolato che fa riferimento sia alle competenze che alle risorse necessarie:

  • sussidiarietà verticale, partendo quindi dal livello amministrativo più prossimo al cittadino, e quindi con l’attribuzione, individuata dalla legge n. 265/99 e dal D. lgs. 267/00 (TUEL))della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane (disposizione confermata dall’art. 118 della Costituzione).

  • sussidiarietà orizzontale, in base alla quale è stato precisato che “i Comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali. (art. 118 della Costituzione).

  • adeguatezza, in relazione alla necessaria idoneità amministrativa, organizzativa e funzionale dell’amministrazione locale che esercita le funzioni.

  • differenziazione nell’allocazione delle risorse, in considerazione delle diverse caratteristiche, amministrative, strutturali e demografiche, degli enti locali.

  • responsabilità e unicità dell’amministrazione, con l’attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni e dei compiti connessi;

  • omogeneità, con l’attribuzione di funzioni e compiti omogenei allo stesso livello di governo.

  • copertura finanziaria dei costi, oltre che di efficienza e di economicità.

  • autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali nell’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi ad essi conferiti.

Con la legge sul federalismo fiscale (legge n. 42/2009) in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, sono state indicate le prospettive – nel rispetto dei principi di territorialità, di solidarietà, unitarietà, uguaglianza, sussidiarietà (verticale ed orizzontale), differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione – per la definizione dei fabbisogni standard necessari per finanziare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), fra i quali vanno sottolineate quelli relativi ai servizi sanitari, sociali, dell’istruzione e dei trasporti.

LA DEFINIZIONE DEI LIVELLI ESSENZIALI (LEP)

A distanza di circa venticinque anni circa dalla approvazione della legge costituzionale n. 3/01, e quindi quasi una generazione, non è stato ancora attuato quanto disposto dal legislatore costituzionale, in ordine alla determinazione dei livelli essenziali per l’esercizio dei diritti civili e sociali dei cittadini (LEP).

Come è noto tali diritti non si riferiscono solo alla sanità ed ai servizi sociali, ma anche, secondo vari studiosi, all’istruzione, alla formazione, all’edilizia, ai trasporti, e quindi a tutti i servizi sociali rivolti alla persona ed alla comunità, come indicato dal d.lgs. 112/98.

La definizione di tali livelli deve essere tale da rispettare i diritti soggettivi dei cittadini che debbono essere adeguatamente garantiti ed assicurati nell’erogazione di interventi e servizi, sul piano sanitario e sociale, perché i suddetti diritti sono da considerare diritti pieni che non ammettono deroghe, discriminazioni o tanto peggio disparità di trattamento a seconda che i cittadini risiedano al Nord, al Centro, al Sud, oppure che risiedano nelle grandi città, nei piccoli comuni, nelle comunità montane o nelle zone depresse.

E’ su tale scenario che quindi è intervenuta la legge n. 42/09 che in effetti si è proposta, in via definitiva, di fissare i parametri di riferimento che consentono di determinare gli standard dei servizi offerti.

L’ IMPEGNO VERSO LA DEFINITIVA REALIZZAZIONE DEI LIVELLI ESSENZIALI

A tale proposito si rileva l’impegno posto nella Legge 29 dicembre 2022, n. 197, “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023- 2025” che ha dedicato una particolare attenzione alla definizione del livelli essenziali (LEP), connessi al combinato disposto fra l’art. 116, terzo comma. e l’ art.117, lettera m) della Costituzione.

Infatti al comma 791 si dispone che “Ai fini della completa attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e del pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni, il presente comma e i commi da 792 a 798 disciplinano la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, quale soglia di spesa costituzionalmente necessaria che costituisce nucleo invalicabile per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, per assicurare uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, per favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato con il decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, e il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali e quale condizione per l’attribuzione di ulteriori funzioni. L’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili, ai sensi del comma 793, lettera c), del presente articolo, ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP).

Tale disposizione richiama in maniera perentoria il richiamo agli art. 2 e 3 della Costituzione, nonché l’art. 97, dove viene affermato, nel quadro del principio fondamentale non negoziabile dell’ Unità indivisibile della Repubblica, l’impegno dello Stato a garantire la parità dei diritti e dei doveri dei cittadini, a svolgere adeguate politiche per il superamento degli ostacoli che impediscono la piena realizzazione dei cittadini, e al superamento della disparità di trattamento nell’erogazione dei servizi.

LA CABINA D REGIA

Secondo i commi 792-796 è istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Cabina di regia per la determinazione dei LEP.

La Cabina di regia è presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri, che può delegare il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, e a essa partecipano, oltre al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, il Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa, il Ministro dell’economia e delle finanze, i Ministri competenti per le materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, il presidente dell’Unione delle province d’Italia e il presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, o loro delegati.

La Cabina di regia, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e in coerenza con i relativi obiettivi programmati, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge:

a) effettua, con il supporto delle amministrazioni competenti per materia, una ricognizione della normativa statale e delle funzioni esercitate dallo Stato e dalle regioni a statuto ordinario in ognuna delle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

b) effettua, con il supporto delle amministrazioni competenti per materia, una ricognizione della spesa storica a carattere permanente dell’ultimo triennio, sostenuta dallo Stato in ciascuna regione per l’insieme delle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per ciascuna materia e per ciascuna funzione esercitata dallo Stato;

c) individua, con il supporto delle amministrazioni competenti per materia, le materie o gli ambiti di materie che sono riferibili ai LEP, sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard;

d) determina, nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e, comunque, nell’ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente, i LEP, sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, ai sensi dell’articolo 1, comma 29-bis, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, predisposte secondo il procedimento e le metodologie di cui all’articolo 5, comma 1, lettere a), b), c), e) e f), del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, ed elaborate con l’ausilio della società Soluzioni per il sistema economico – SOSE Spa, in collaborazione con l’Istituto nazionale di statistica e con la struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle regioni e delle province autonome presso il Centro interregionale di studi e documentazione (CINSEDO) delle regioni.

Di assoluto rilievo l’impegno della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, che, sulla base della ricognizione e a seguito delle attività della Cabina di regia, trasmette alla Cabina di regia le ipotesi tecniche inerenti alla determinazione dei costi e fabbisogni standard nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

Inoltre è previsto che entro sei mesi dalla conclusione delle attività, la Cabina di regia predispone uno o più schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono determinati, anche distintamente, i LEP e i correlati costi e fabbisogni standard nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

A quanto risulta agli atti, a distanza di un anno e mezzo circa, non sono state disposte le conseguenti determinazioni.

I VINCOLI POSTI NEL PROCESSO DI AUTONOMIA

A fronte del processo tendente alla costituzione di un quadro rispettoso del’ unità inderogabile del paese e delle istanze che, sul piano politico-amministrativo, secondo l’art 5 della Costituzione, pongono la necessità di un aggiornamento della politica delle autonomie, va ricordato che già con il D.lgs n. 267/2000, si sono poste le basi per il riconoscimento dell’autonomia degli Enti locali nel contesto dell’apparato amministrativo dello Stato, e comunque va ricordato anche l’art. 119 della Costituzione, dove è specificato che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

In tale contesto, viene anche disposto che per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

Da tale assunto si ritiene di desumere che, nel quadro di un processo volto a ri-definire il sistema delle autonomie, devono essere fatti salvi i principi della solidarietà, e della differenziazione delle azioni volte alla perequazione territoriale.

A tale proposito si richiama la realtà venutasi progressivamente a costituire nel corso dei primi cento anni dall’Unità d’Italia (1861-1961) – determinata dalla abnegazione di tanti fautori ed artefici provenienti dalla Lombardia, dal Veneto, dal Piemonte, dalla Liguria, – che ha in effetti progressivamente impoverito il Mezzogiorno d’Italia, che, pur partendo all’inizio da livelli simili al Nord, ha portato nel corso di un secolo all’emigrazione di milioni e milioni di italiani, non solo verso l’estero, ma anche verso le regioni più ricche del nord, e che ha fatto esplodere negli anni ’50 la “questione meridionale”, a cui fu risposto con l’istituzione della “Cassa per il Mezzogiorno”, voluta dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi.

Pertanto, nell’osservanza di tali principi ed al fine di prevenire una ineluttabile sperequazione fra le Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane, si ritiene necessaria una azione volta ad evitare il perdurante divario fra le Regioni, specialmente per ciò che concerne l’esercizio dei diritti civili e sociali.

Si richiama anche l’art.120 della Costituzione, che prevede che il “Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.

Dalla analisi della legislazione Costituzionale, Statale e Regionale, nel corso di cinquanta anni e più, i diritti fondamentali dei cittadini italiani sono quindi a monte di tutto il sistema dello Stato delle autonomie, già preconizzato dall’art. 5 della Costituzione, e si collegano a quanto già in varie Regioni è ampiamente riconosciuto nei propri Statuti regionali susseguenti alla legge costituzionale n. 3/2001: ossia il diritto di cittadinanza sociale, che consiste nell’insieme di facoltà e di poteri che permettono al cittadino di vedere realizzati nella sua persona quanto indicato nell’art. 2, 32 e 38 della Costituzione (politica delle tutele, come fondamentale diritto all’esercizio del diritto alla salute e all’assistenza) e nell’art. 3 (politica delle opportunità, che permette alla persona stessa di realizzarsi in piena autonomia, e di partecipare alla vita della comunità).

Pertanto il diritto di cittadinanza sociale comprende le prestazioni, i servizi e gli interventi che ai vari livelli istituzionali devono essere garantiti nell’ambito delle politiche di welfare (sanità, assistenza, previdenza).

In tale contesto si sottolinea quanto affermato dall’economista francese prof. Thomas Piketty, che illustrando le conquiste dello Stato sociale, lo lega alla affermazione parallela dello Stato fiscale, che in base ad un equo ed articolato sistema di tassazione assicura le entrate necessarie per finanziare i servizi rivolti alla persona ed alla comunità.

Si richiamano altresì i due principi fondamentali che riguardano la sussidiarietà verticale, ossia il rapporto funzionale fra le istituzioni. con una chiara definizione di competenze e di attribuzioni, secondo la logica della prossimità e dell’efficienza, e la sussidiarietà orizzontale, che definisce il rapporto fra le istituzioni e la società civile.

Tali principi sono ampiamente indicati nella Costituzione, proprio con riferimento al principio etico-politico volto da una parte a garantire ai cittadini l’esercizio dei diritti di cittadinanza sociale e dall’altra di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attività di interesse generale, come sancito negli articoli 117 e 118.

Accanto a tali principi fondamentali va anche tenuto presente il principio della solidarietà, che è chiaramente specificata nell’art. 119 della Costituzione, con il richiamo all’obbligo dello Stato a intervenire con interventi perequativi per superare lo squilibrio esistente fra le Regioni ricche e quelle povere.

Il grave e sempre crescente divario fra le Regioni del Nord e quelle del resto dell’Italia deve essere assolutamente superato, e quindi, proprio nello spirito e secondo i principi indicati nell’art. 119 della Costituzione, si determina quindi la necessità di operare per il superamento di tale situazione, che comporta di conseguenza il rilancio di una politica meridionalistica che proprio nel principio di solidarietà istituzionale deve vedere applicati realmente i riferimenti dell’art. 119, nel federalismo solidale deve trovare una soluzione definitiva.

Non si può non dimenticare a tale proposito che fu proprio il ligure Giulio Pastore, Ministro della Presidenza del Consiglio dei ministri (Presidente del Comitato dei ministri per la Cassa del Mezzogiorno) dal 1959 in poi, a battersi per promuovere lo sviluppo e il benessere del mezzogiorno.

Pertanto la costituzione del fondo perequativo adeguato e in grado di garantire la fruizione del sistema di welfare da parte di tutti i cittadini è di fondamentale importanza; lo stesso Statuto della Regione Lombardia ha dedicato uno specifico articolo (7) all’impegno posto a osservare il principio della solidarietà interregionale, e quindi a concorrere al superamento degli squilibri economici, sociali e culturali esistenti nella varie aree del paese.

GLI ATTI VERSO LA DISUNIONE D’ITALIA

Già con appositi referendum le Regioni Lombardia e Veneto, hanno chiesto ai propri cittadini il loro parere su una maggiore autonomia, ottenendo ovviamente un largo consenso, e con un primo tentativo avviato nel giugno 2018, allo stato attuale, con la Legge sul regionalismo differenziato, viene in effetti trasformato e sconvolto il sistema della forma dello Stato italiano e la sua unità, così come prefigurato dalla Costituzione della Repubblica.

A tale proposito si ritiene opportuno ricordare, peraltro, che dall’attuale Presidente del consiglio fu presentato nel 2014 un progetto di legge da parte del suo partito, per l’eliminazione delle Regioni, sostituite da 36 distretti con funzioni amministrative e non legislative sulla base di aree omogenee per tradizione, cultura, tessuto sociale, individuate dalla società geografica, e con un diretto rapporto con lo Stato centrale, sconvolgendo tutto il sistema istituzionale sancito dagli art. 5, 114, 116, 117, 119 della Costituzione, basato sullo Stato, Regioni, Enti locali.

Con atto n. 615 , il 23 marzo 2023 al Senato della Repubblica è stato presentato dal Presidente del Consiglio MELONI e dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto CALDEROLI, il disegno di legge ed approvato definitivamente il 19 giugno 2024, e quindi approvato con la LEGGE 26/06/2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

Con tale Legge In particolare viene stravolto l’articolo 3 della Costituzione che garantisce il principio di uguaglianza sostanziale fra tutti i cittadini, e quindi, come denunciato in sede di dibattito parlamentare dal Sen. Castiello, invece che garantire l’esercizio dello “ius civitatis” viene contrapposto lo “ius domicili” in ordine al quale, tenuto conto che la Regione “ricca” incamera direttamente il gettito fiscale, il cittadino ivi residente gode di servizi sociali e sanitari, finanziati direttamente dalla stessa Regione, assolutamente non realizzabili nelle Regioni povere, tutte identificabili nel Mezzogiorno.

Rimane comunque l’impegno solenne indicato nella legge che, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, definisce i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, relativi a 14 materie.

OSSERVAZIONI

  • Già esiste il regionalismo differenziato a vantaggio delle Regioni settentrionali, così che mentre le Regioni del Nord per la spesa pubblica incassano 16 milioni di euro pro capite dallo Stato, le Regioni del Sud ne ottengono 14;

  • Per il SSN le Regioni del Nord, attraverso i propri servizi sanitari presenti sul territorio, in cui convivono il pubblico ed il privato d’eccellenza, a causa delle correnti di ricovero” dal Sud verso il Nord, determinano una “bilancia sanitaria” per loro estremamente positiva, con un passivo pesantissimo per le regioni del Sud, che trasferiscono proprie ricchezze al Nord con un aggravio annuale di 4 miliardi di euro. In definitiva è il Sud che finanzia il servizio sanitario nazionale del Nord, proprio a causa del de-finanziamento progressivo del Sud (che peraltro non ha le risorse sufficienti per investire nella sanità), e ne favorisce l’eccellenza.

  • Per i servizi sociali si va da una spesa pro-capite di 583 euro a Bolzano a 53 euro a Messina.

  • La legge a distanza di circa 25 anni rinvia la definizione ed il finanziamento dei LEP, che sono alla base dell’uguaglianza giuridica e sociale di tutti i cittadini in termini universalistici.

LE TEMIBILI CONSEGUENZE

A distanza di circa 150 anni da quando fu costruita con il sacrificio umano di tanti cittadini lombardi, veneti, liguri, l’Unità d’Italia, si ritorna alla configurazione della nostra penisola quale “espressione geografica”, con il ritorno all’ Italia pre-unitaria ed al medio-evo.

Si oltraggia la memoria di tanti patrioti del Nord che hanno dato la loro vita per un ideale maturato nel corso di otto secoli.

Vengono calpestati i diritti soggettivi ed inderogabili dei cittadini: art. 2, 3, 32, 38 della Costituzione, e si ritorna all’Editto di Rotari, che distingueva fra Longobardi ed italici le norme del diritto.

Si preferisce estrarre dalla bocca i denti cariati e non curarli, a vantaggio di quelli ritenuti sani, non comprendendo che in tal modo si porta a rovina tutto il sistema digerente che alimenta la vita di tutto il corpo.

La tendenza è quella di un egoismo regionale da rendere “istituzionale”, non ricordando che l’ Italia è una e che proprio i primi lombardi, autentici italiani, come Cattaneo, la volevano unita, pur nel rispetto delle differenze regionali che comunque dovevano essere rispettate.

La risposta fu uno Stato accentrato, che solo dopo la Costituzione ha avviato la politica delle autonomie, che peraltro vanno riconosciute e potenziate, ma nel rispetto e nella salvaguardia dei diritti civili e sociali uguali per tutti, dalla Vetta d’Italia a Capo Passero.

L’aspetto ancora più antistorico è che si ritorna al Medio Evo, con i Vassalli (le Regioni forti), che possono imporre proprie gabelle, spezzettando territori, fiumi, spiagge, mari, Valvassini (le Regioni di medio peso) ed i Valvassori (Regioni povere ed avviate allo spopolamento).

LA MIA PERSONALE ESPERIENZA

Mio Padre, bresciano, dottore in agraria, non ebbe alcuna remora, alla fine degli anni ‘30, a recarsi nel Sud, a Sarno, per dirigere la Scuola professionale di Avviamento agrario “Guido Baccelli” , e, con l’entusiasmo, la passione, la lucidità e la preparazione professionale, si prodigò non solo a salvarla dai bombardamenti aggirandosi fra le macerie, ma anche per trasformarla in Scuola di Avviamento Agrario ed Industriale, facendone un polo didattico di eccellenza verso il quale confluivano molti piccoli studenti provenienti dai paesi vicini (Lavorate, Castel S. Giorgio, Episcopio, Palma Campania, S. Valentino Torio ecc. ecc.) e adoperandosi per contribuire con attività di consulenza a sviluppare il Consorzio agrario di Sarno. La Sua capacità ed impegno professionale incessante, era tale che veniva chiamato con rispetto ed ammirazione “o preside Colombini” e che già era il presupposto per una Sua piena integrazione ed esempio di “uomo del Nord” venuto nel profondo Sud.

Proprio per il suo amore ed attaccamento al Suo lavoro e alla Sua Scuola del Sud, dove si impegnava dalla mattina fino alla sera, fu stroncato da un infarto proprio nella Scuola, ed a distanza di tanti e tanti anni, tornando a Sarno da Roma, dove ci eravamo trasferiti, quelli che mi riconobbero mi chiesero: ma vuie site ‘o figlie d’o preside Colombini?

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